POLITICA |
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Nel Regno Unito la gdo tende la mano agli
allevatori |
La politica di Tesco sul latte fresco dimostra che collaborare è
possibile.
I rapporti tra grande distribuzione organizzata e agricoltori sono
conflittuali o inesistenti, a seconda dei casi in tutti i Paesi dell’Unione
Europea. Una cosa è però certa: quello che fa la distribuzione moderna è
fondamentale per gli interessi della componente agricola.
Le scelte di rifornimento dei punti di vendita, la politica dei prezzi (in
entrata e in uscita), le strategie di marketing adottate influiscono sulle
fortune o, sarebbe meglio dire, sulle sfortune dei produttori agricoli.
Da tempo, in Italia e ovunque in Europa si sta cercando di porre rimedio
allo strapotere della distribuzione.
A Bruxelles è stato creato un comitato delle organizzazioni agricole che si
pone come obiettivo quello di promuovere un maggior equilibrio nell’ambito
della catena alimentare.
La stessa Commissione europea è assai sensibile al tema, tanto che negli
anni scorsi ha realizzato dei rapporti nei quali si effettuava un
monitoraggio sui rapporti di forza tra agricoltori, industria alimentare e
distribuzione.
Il valore dell’origine
In Italia è stata varata una normativa specifica, poi mai applicata, pare
per le contestazioni provenienti da Bruxelles, con la quale si introduceva
per legge l’obbligo alle catene della distribuzione organizzata di riservare
una certa percentuale di spazio alle produzioni alimentari di origine
locale.
Sempre da noi in Italia, nel 2004, c’è stata l’approvazione della legge
sull’indicazione dell’origine della materia prima agricola negli alimenti,
come strumento per differenziare la produzione nazionale e per sfuggire
dalla «tirannia» degli operatori che, nella filiera, detengono il potere
contrattuale. Il provvedimento è stato contestato dalla Commissione europea
che ne ha preteso la cancellazione, intervenuta di recente con la legge
comunitaria per il 2007.
I tentativi di trovare una soluzione che sia adeguata sono molteplici e
reiterati, ma finora il dilemma resta e alla componente agricola è sempre
più difficile mantenere inalterata la quota di valore aggiunto che
intercetta.
Una soluzione alternativa è stata di recente trovata nel Regno Unito: la
strada della mano tesa della grande distribuzione nei confronti dei
produttori agricoli locali. Lo schema è stato messo a punto dalla principale
catena distributiva del Paese (Tesco) e si applica al settore del latte
alimentare.
La proposta di Tesco
Sarà per le dure proteste dei produttori di latte negli anni scorsi,
culminate anche con manifestazioni clamorose dirette nei confronti dei
distributori, oppure per la situazione di acuta crisi nella quale si dibatte
la zootecnia da latte del Regno Unito, o ancora per le reiterate indagini
parlamentari e di apposite commissioni sulla concorrenza che denunciano la
progressiva perdita di potere contrattuale dei produttori agricoli, fatto
sta che Tesco (poco meno di 1 milione di tonnellate di latte alimentare
fresco venduto ogni anno) ha deciso di uscire allo scoperto con una proposta
che ha lasciato piacevolmente impressionate le stesse organizzazioni degli
agricoltori.
La politica di Tesco sul latte fresco consiste nel sottoscrivere dei
contratti diretti di fornitura con gli allevatori locali e corrispondere
loro un prezzo più elevato, rispetto al latte standard.
Ai consumatori Tesco offre la possibilità di scegliere un prodotto ottenuto
e commercializzato a livello locale, senza ritoccare verso l’alto il prezzo
di vendita.
A fronte di un prezzo di riferimento pagato agli allevatori di 26,5
centesimi di euro per litro, Tesco offre quasi 33 centesimi, con contratti
di durata annuale, rivedibile ogni sei mesi, sulla base dell’evoluzione dei
costi di produzione che gravano sull’azienda zootecnica. Al momento queste
condizioni sono state offerte a 850 allevatori.
Se nel Regno Unito è stato possibile mettere in atto una politica di
collaborazione tra produttori agricoli e distributori, perché la stessa cosa
non può essere fatta anche in Italia? Magari sperimentandola su settori
diversi, dove però la dimensione locale del mercato e il legame tra
consumatore e territorio giocano un ruolo ugualmente elevato, come accade,
ad esempio, nel caso della frutta e degli ortaggi.
La grande catena distributiva inglese ha coniugato in modo creativo e
coraggioso la minaccia del progressivo declino della produzione locale di
materia prima agricola con l’opportunità di soddisfare l’emergente esigenza
del consumatore di poter scegliere le produzioni locali.
Una soluzione che potrebbe assicurare interessanti risultati.
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