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Innovazione sì, ma che sia incisiva |
Le politiche per l’innovazione devono non solo
aumentare la dotazione di risorse per la ricerca, ma dare il giusto rilievo
alle interazioni con gli utenti ai quali le ricerche sono destinate. Aiuti
pubblici solo a quelle iniziative che possono contare su un minimo di
finanziamenti privati
Negli ultimi anni l’innovazione ha assunto, anche in campo
agroalimentare, un ruolo centrale. Alla capacità di innovare processi
produttivi e prodotti è, infatti, legata la capacità di rimanere
competitivi. Ma cosa si intende per innovazione? Semplificando si potrebbe
dire che l’innovazione è la capacità di mettere in pratica un’idea nuova.
Di solito l’innovazione viene collegata con la ricerca. Vale a dire si
ritiene che con elevati investimenti in ricerca, automaticamente, prima o
poi, si avranno ricadute positive a livello economico e sociale. Si tratta
del cosiddetto modello lineare dell’innovazione. Questo rappresenta un punto
di vista popolare tra i politici e ovviamente tra gli stessi ricercatori.
Tuttavia, se nessuno può negare che la ricerca svolge un ruolo essenziale
nel processo che porta all’innovazione, la natura dei legami tra la prima e
la seconda non è immediata. Così diverse indagini hanno dimostrato che per
le aziende le fonti di innovazione più significative sono costituite da
clienti e fornitori, mentre i contatti con centri di ricerca pubblici sono
molto meno importanti. È quindi evidente che la condivisione delle
conoscenze e i contatti tra i diversi soggetti che in una qualche misura
formano il sistema agroalimentare risultano altrettanto, se non più
importanti, della ricerca in sè per promuovere le innovazioni.
Al fine di cercare di impostare una strategia adeguata è, quindi, necessario
tenere conto che:
- vi sono diverse tipologie di innovazione quali, ad esempio, quelle
relative al processo produttivo, ai prodotti, al sistema organizzativo.
Queste ultime, spesso sottovalutate, in realtà possono avere un’incidenza
superiore alle prime. Basti pensare, in proposito, alle conseguenze della
diffusione della grande distribuzione organizzata in campo agroalimentare;
- il grosso delle innovazioni è attualmente costituito da una miriade di
migliorie relativamente piccole, ma che nel complesso hanno un’incidenza
superiore alle innovazioni spettacolari che colpiscono la fantasia della
gente. Così, ad esempio, il miglioramento della qualità dei vini deriva da
tante piccole modifiche nel modo di coltivare e vinificare;
- l’innovazione è un processo lungo e complesso il cui risultato finale è
condizionato da ciò che si apprende durante il processo stesso. Alcune
innovazioni rendono, tuttavia, obsolete conoscenze già acquisite per cui non
sempre è facile distinguere tra ciò che deve essere conservato e ciò che è
opportuno cambiare;
- le innovazioni modificano l’importanza relativa dei diversi fattori
produttivi. Conviene quindi puntare, nella misura in cui ciò è possibile, su
innovazioni che esaltano il ruolo dei fattori di cui si ha una maggiore
dotazione. Così per il settore agricolo conviene avere innovazioni che
esaltano il ruolo delle risorse naturali dal momento che queste sono
difficilmente trasferibili altrove a differenza, ad esempio, del capitale;
- la logica seguita dai ricercatori è frequentemente quella di avere
riconoscimenti dalla comunità scientifica piuttosto che quella di
contribuire a migliorare la competitività del settore produttivo.Da tale
quadro emerge, in primo luogo, che le politiche per l’innovazione non
possono limitarsi ad aumentare la dotazione di risorse per la ricerca, ma
devono intervenire dando la giusta importanza alle interazioni con gli
utenti e tra questi e i clienti, i fornitori, i concorrenti. In secondo
luogo l’innovazione, per essere efficace, deve avere necessariamente un
forte legame con il contesto locale. Quindi l’organizzazione del sistema
della ricerca e le modalità con cui vengono individuati gli obiettivi sono
altrettanto se non più importanti delle risorse a essa destinate.
In proposito si può osservare che l’inserimento di rappresentanti del mondo
agricolo nei direttivi degli enti di ricerca, quando è stato tentato, non
sembra aver dato i risultati sperati in termini di ricadute sul settore.
Forse la soluzione migliore, anche se apparentemente paradossale, è quella
di garantire aiuti pubblici solo a quelle iniziative che possono contare su
un sia pur minimo finanziamento da parte dei privati. Finanziamento che
potrebbe limitarsi alle ricerche non di base, essere graduato in funzione
del reddito dei potenziali utenti ed essere contenuto entro percentuali
minime del costo complessivo. Sarebbe questo un modo per incentivare
l’organizzazione di un sistema adeguato senza il quale, nel migliore dei
casi, i fondi destinati all’innovazione vengono ad avere un’efficacia
nettamente più bassa di quella possibile e auspicabile.
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