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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
 
19
 5-11 Mag.

  2006
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Editoriale

Innovazione sì, ma che sia incisiva
Geremia Gios

Le politiche per l’innovazione devono non solo aumentare la dotazione di risorse per la ricerca, ma dare il giusto rilievo alle interazioni con gli utenti ai quali le ricerche sono destinate. Aiuti pubblici solo a quelle iniziative che possono contare su un minimo di finanziamenti privati

Negli ultimi anni l’innovazione ha assunto, anche in campo agroalimentare, un ruolo centrale. Alla capacità di innovare processi produttivi e prodotti è, infatti, legata la capacità di rimanere competitivi. Ma cosa si intende per innovazione? Semplificando si potrebbe dire che l’innovazione è la capacità di mettere in pratica un’idea nuova.
Di solito l’innovazione viene collegata con la ricerca. Vale a dire si ritiene che con elevati investimenti in ricerca, automaticamente, prima o poi, si avranno ricadute positive a livello economico e sociale. Si tratta del cosiddetto modello lineare dell’innovazione. Questo rappresenta un punto di vista popolare tra i politici e ovviamente tra gli stessi ricercatori.
Tuttavia, se nessuno può negare che la ricerca svolge un ruolo essenziale nel processo che porta all’innovazione, la natura dei legami tra la prima e la seconda non è immediata. Così diverse indagini hanno dimostrato che per le aziende le fonti di innovazione più significative sono costituite da clienti e fornitori, mentre i contatti con centri di ricerca pubblici sono molto meno importanti. È quindi evidente che la condivisione delle conoscenze e i contatti tra i diversi soggetti che in una qualche misura formano il sistema agroalimentare risultano altrettanto, se non più importanti, della ricerca in sè per promuovere le innovazioni.
Al fine di cercare di impostare una strategia adeguata è, quindi, necessario tenere conto che:
- vi sono diverse tipologie di innovazione quali, ad esempio, quelle relative al processo produttivo, ai prodotti, al sistema organizzativo. Queste ultime, spesso sottovalutate, in realtà possono avere un’incidenza superiore alle prime. Basti pensare, in proposito, alle conseguenze della diffusione della grande distribuzione organizzata in campo agroalimentare;
- il grosso delle innovazioni è attualmente costituito da una miriade di migliorie relativamente piccole, ma che nel complesso hanno un’incidenza superiore alle innovazioni spettacolari che colpiscono la fantasia della gente. Così, ad esempio, il miglioramento della qualità dei vini deriva da tante piccole modifiche nel modo di coltivare e vinificare;
- l’innovazione è un processo lungo e complesso il cui risultato finale è condizionato da ciò che si apprende durante il processo stesso. Alcune innovazioni rendono, tuttavia, obsolete conoscenze già acquisite per cui non sempre è facile distinguere tra ciò che deve essere conservato e ciò che è opportuno cambiare;
- le innovazioni modificano l’importanza relativa dei diversi fattori produttivi. Conviene quindi puntare, nella misura in cui ciò è possibile, su innovazioni che esaltano il ruolo dei fattori di cui si ha una maggiore dotazione. Così per il settore agricolo conviene avere innovazioni che esaltano il ruolo delle risorse naturali dal momento che queste sono difficilmente trasferibili altrove a differenza, ad esempio, del capitale;
- la logica seguita dai ricercatori è frequentemente quella di avere riconoscimenti dalla comunità scientifica piuttosto che quella di contribuire a migliorare la competitività del settore produttivo.Da tale quadro emerge, in primo luogo, che le politiche per l’innovazione non possono limitarsi ad aumentare la dotazione di risorse per la ricerca, ma devono intervenire dando la giusta importanza alle interazioni con gli utenti e tra questi e i clienti, i fornitori, i concorrenti. In secondo luogo l’innovazione, per essere efficace, deve avere necessariamente un forte legame con il contesto locale. Quindi l’organizzazione del sistema della ricerca e le modalità con cui vengono individuati gli obiettivi sono altrettanto se non più importanti delle risorse a essa destinate.
In proposito si può osservare che l’inserimento di rappresentanti del mondo agricolo nei direttivi degli enti di ricerca, quando è stato tentato, non sembra aver dato i risultati sperati in termini di ricadute sul settore. Forse la soluzione migliore, anche se apparentemente paradossale, è quella di garantire aiuti pubblici solo a quelle iniziative che possono contare su un sia pur minimo finanziamento da parte dei privati. Finanziamento che potrebbe limitarsi alle ricerche non di base, essere graduato in funzione del reddito dei potenziali utenti ed essere contenuto entro percentuali minime del costo complessivo. Sarebbe questo un modo per incentivare l’organizzazione di un sistema adeguato senza il quale, nel migliore dei casi, i fondi destinati all’innovazione vengono ad avere un’efficacia nettamente più bassa di quella possibile e auspicabile.
 

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