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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
18
 4 - 10 Mag.

  2007
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Editoriale

Agroenergie, non è tutto oro quello che luccica
G. Gios

Investimenti consistenti in campo agroenergetico dovrebbero essere effettuati solo dopo una sperimentazione che consideri anche il bilancio energetico e un’analisi economica che scorpori le ingenti provvidenze pubbliche attuali.

Cresce l’interesse da parte del mondo agricolo verso la coltivazione di biomasse al fine di ricavare energia.
Trattandosi di utilizzazione di risorse rinnovabili in un settore in cui ogni giorno vi sono allarmi relativi al probabile rapido esaurimento delle fonti fossili e ai gravi fenomeni che l’inquinamento causato dalle stesse provoca, può sembrare che tutto sia semplice.
La contemporanea difficoltà che incontrano alcune colture e/o alcune destinazioni finali dei prodotti tradizionali, in conseguenza sia dei mutamenti nella politica agricola comunitaria sia dell’andamento dei mercati globali, non fanno che accentuare l’interesse per un settore che alcuni ritengono possa costituire una ragionevole opportunità per numerose aziende agricole.
Le informazioni relative ai costi e ai ricavi, peraltro frequentemente non complete e basate su rese e prezzi che, in diversi casi, appaiono ottimistici, sembrano confermare tale orientamento.
Finalmente un settore che presenta una domanda in crescita e per il quale il futuro non sembra dipendere dalle scelte della politica agricola comunitaria, si è portati a pensare. Avanti c’è spazio, quindi. Sarà veramente così?
Pur non sottovalutando gli aspetti positivi di tali colture, si ritiene opportuno invitare a valutare con cautela l’eventualità di investimenti consistenti in questa direzione.
Tale cautela è suggerita da un’osservazione banale, ma che viene frequentemente trascurata. Infatti, se queste colture sono destinate alla produzione di energia risulta importante valutarne, in primo luogo, la resa energetica, vale a dire il rapporto tra l’energia necessaria per portare a termine il ciclo produttivo e quella che si può ricavare dai prodotti ottenuti.
Non vi sono, in proposito, molte ricerche relative all’ambiente italiano. Tuttavia l’analisi dei risultati disponibili porta a ritenere che, in diversi casi, il quantitativo di energia ricavabile dalle coltivazioni sia di poco superiore a quello necessario per portare a termine le stesse. In alcuni casi si avrebbero addirittura, sotto il profilo del bilancio energetico, risultati negativi. Solo nei casi di trasformazione di sottoprodotti o di poche colture ad altissima produttività si avrebbe una resa energetica interessante.
Sarei contento se questa mia valutazione potesse essere confutata con dati attendibili e generalizzabili.
In caso contrario, va da sé che lo spazio per colture a orientamento energetico non sarebbe molto ampio. Ci si può chiedere, allora, perché molti invitino a seguire tale strada. Le motivazioni, a mio giudizio, sono almeno tre.
La prima è relativa alla circostanza che, per alcuni tipi di utilizzo, l’energia ricavabile dalle biomasse, come ad esempio l’etanolo, sembra inquinare molto meno che non la benzina o il gasolio. Tale circostanza può risultare importante soprattutto nel caso dei mezzi di trasporto in ambiente urbano.
La seconda ragione sta nell’esistenza di consistenti interventi pubblici a favore dell’energia da fonti rinnovabili e, quindi, anche da biomassa. Basti pensare in proposito ai certificati verdi o alla non tassazione dei carburanti di provenienza vegetale. Gli interventi si giustificano con la necessità di favorire la diffusione delle nuove fonti energetiche. Tuttavia, mentre per altre fonti, come il fotovoltaico, vi è la speranza che, in tempi ragionevoli, si rendano disponibili nuove tecniche atte a ridurre drasticamente i costi di produzione, nel caso della produzione di biomassa tale speranza è molto più flebile. Pertanto la competitività di queste produzioni è probabile resti legata alla presenza di generosi incentivi che si ritiene, peraltro, destinati a una rapida riduzione.
La terza ragione sta nell’interesse di poche grandissime aziende che dispongono di migliaia di ettari di terreno a orientarsi verso colture che garantiscano un reddito certo, anche se attestantesi su valori/ettaro ridotti.
Per tali aziende le colture energetiche possono sostituire altre produzioni di massa per le quali l’intervento comunitario si è fortemente ridotto.
Meglio lasciare perdere tutto, quindi?
Sicuramente no. Tuttavia prima di effettuare investimenti consistenti è necessaria una seria sperimentazione nei diversi ambienti e per le diverse colture. Una sperimentazione che non si limiti a valutare gli aspetti agronomici e produttivi, ma consideri anche il bilancio energetico e, perché no, metta a disposizione alcune valutazioni economiche, scorporando gli effetti delle provvidenze pubbliche dai costi e ricavi dipendenti dal mercato.
 

Sommario rivista di Geremia Gios


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