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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
17
 27 Apr. - 3 Mag.

  2007
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Attualità PRIMA PAGINA

La ricerca agricola italiana a rischio Cra(c)

La ristrutturazione degli ex irsa non riesce a decollare.
Tra dimissioni, cambi ai vertici e mutamenti di rotta il settore della ricerca in agricoltura resta ancora un nodo tutto da sciogliere. Una situazione tanto più grave in un contesto mondiale in cui la competizione è sempre più difficile.


La storia del Cra (Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura) si è arricchita di un nuovo colpo di scena: le dimissioni del direttore generale Vincenzo Pilo e la reintegrazione della precedente direttrice Ida Marandola.

Una vicenda lunga 10 anni
Si tratta dell’ultima tappa di una vicenda dalla trama intricata che si trascina da quasi 10 anni, ricca di colpi di scena, che andiamo a riassumere nei suoi passaggi principali.
Il tutto ha inizio nel dicembre 1999 con la pubblicazione del decreto legislativo 454, frutto della volontà riformatrice dell’allora ministro competente Paolo De Castro. Con questa normativa, 23 Irsa (Istituti di ricerca e sperimentazione agraria) e altri cinque enti o uffici tutelati e vigilati dal Ministero delle politiche agricole vengono riorganizzati in un unico ente pubblico nazionale con ampia autonomia statutaria, amministrativa, finanziaria e scientifica denominato Consiglio per la ricerca e la sperimentazione agraria o Cra.
Nell’aprile dell’anno successivo De Castro è sostituito dal ministro Alfonso Pecoraro Scanio, il quale impiega circa un anno per nominare gli organi e insediare, a marzo 2001, il Cda del nuovo ente, con Sergio Zoppi alla presidenza ed Esilio Desiderio alla direzione generale. Le elezioni del mese successivo portano Silvio Berlusconi alla guida del Governo e Gianni Alemanno al Mipaf: essi non approvano lo statuto e i regolamenti del nuovo ente, atto necessario per l’attivazione del Cra, ma al contrario lo «congelano» fino all’approvazione della legge n. 137 del luglio 2002. Questa legge modifica in parte il decreto 454, istituisce i Dipartimenti e il Consiglio dei dipartimenti e scioglie gli organi in carica.
Segue un anno convulso che vede la nomina di un commissario, 4 sub-commissari e un nuovo direttore generale, le dimissioni di quest’ultimo e del commissario, seguite dalla nomina di un direttore generale e di un dirigente del Mipaf, rispettivamente come commissario e direttore generale. Nel dicembre 2002 Giuseppe D’Ascenzo, rettore dell’Università La Sapienza di Roma, è nominato presidente del Cra ma solo nel luglio 2003 si insedia insieme con il nuovo Cda e procede all’assunzione del nuovo direttore generale nella persona di Ida Marandola.
Il 10 aprile 2004 e l’1 ottobre 2004, a distanza di poco meno di 4 anni dalla pubblicazione del decreto 454/99, sono approvati rispettivamente lo statuto e i regolamenti del Cra e nasce ufficialmente il nuovo ente.
In un articolo de L’Informatore Agrario, in cui ci celebrava la nascita dell’ente, ricordavamo anche i principali problemi degli Irsa (esiguità e anzianità del personale, elevato numero di sedi e bassa densità di personale, finanziamenti scarsi e di breve durata, strutture e strumentazioni obsolete, ridotta partecipazione alle attività comunitarie) auspicando una loro rapida soluzione affinché «il Cra possa entrare a far parte della rete europea di ricerca, che l’Ue indica come lo strumento operativo della futura ricerca comunitaria».

Il Piano di riorganizzazione
Ma la vicenda Cra non è ancora conclusa. Manca infatti un piano di riorganizzazione delle strutture, che continuano a sopravvivere come Istituti centrali e sezioni periferiche per complessive 82 sedi, con un personale scientifico complessivo (ricercatori e tecnologi) di circa 450 unità, mediamente 5 per sede. A questo scopo un gruppo di 7 esperti viene incaricato di condurre un’indagine conoscitiva e di formulare una proposta di riorganizzazione delle strutture esistenti.
Tuttavia il Cda preferisce non dar seguito alle proposte degli esperti e approva nell’ottobre 2005 un piano di riforma alternativo. Questo però viene sonoramente bocciato dal ministro Alemanno, il quale ne approva una successiva versione nel marzo 2006.
Il riordino prevede 15 Centri di ricerca (insediati in 19 località) e 32 Unità di ricerca (in 35 località) per complessive 54 strutture operative. Considerato l’organico in servizio, la densità di ricercatori passa a circa 7,5 per sede.
Anche in questa occasione, un articolo de L’Informatore Agrario, pur considerando l’evento un timido passo, si augurava che fosse nella direzione giusta. Lo stesso articolo denunciava lo «tsunami» generazionale che si stava abbattendo sul Cra, cioè il considerevole esodo per pensionamento del personale tecnico-scientifico, e auspicava un massiccio e rapido ricorso al reclutamento. Effettivamente, nel maggio dello stesso anno il Cra assumeva 18 nuovi ricercatori, un numero esiguo rispetto alle necessità e largamente inferiore a quello dei ricercatori andati in pensione nei 6 anni trascorsi dall’avvio del processo di riforma.

La storia recente
A seguito delle elezioni politiche, nel giugno 2006 ritorna al Mipaaf il ministro Paolo De Castro, padre della riforma Cra. Il mese seguente porta un altro coupe de théatre: il direttore generale Marandola, per «ragioni di opportunità» non meglio precisate, si dimette ed è sostituita da Vincenzo Pilo, ben noto direttore ministeriale e conoscitore degli Irsa pre-riforma afferenti all’ufficio da lui diretto.
Nel novembre 2006 un concorso nazionale per l’assunzione di 4 direttori per altrettanti Dipartimenti (non ancora operativi per mancanza dei Centri e delle Unità di ricerca) riesce a individuare solo due candidati validi. Nel frattempo scade il mandato del presidente D’Ascenzo e nel dicembre 2006 è nominato un nuovo presidente nella persona di Romualdo Coviello, professore associato di economia agraria presso l’Università della Basilicata. Quest’ultima nomina sembrerebbe segnare l’assestamento ai vertici dell’ente. Al contrario, lo scorso febbraio il direttore generale Vincenzo Pilo si dimette (indotto a dimettersi, dicono i soliti anonimi bene informati, per divergenze di vedute con il presidente) e Marandola ritorna alla direzione generale dell’ente. Nel prossimo luglio scadrà il mandato del Cda, il quale prima di questa data dovrebbe dare seguito al piano di riorganizzazione, individuando con una specifica delibera la missione dei Centri e delle Unità di ricerca, che tuttavia non saranno operative prima del prossimo anno.
Nel frattempo, la sede centrale romana di via Nazionale 82, presa in affitto nell’aprile 2005, verrà abbandonata perché troppo costosa e insufficiente a ospitare il personale amministrativo dell’ente. Quest’ultimo infatti è cresciuto notevolmente attraverso assunzioni a tempo indeterminato e soprattutto attraverso numerose forme atipiche di assunzione a tempo determinato. In realtà negli ultimi 15 anni di assenza di turnover, queste ultime sono state utilizzate anche dagli Istituti per reclutare ricercatori e tecnologi a cui affidare le attività di ricerca e sperimentazione.
Attualmente il Cra ha oltre 500 dipendenti precari di questo tipo, ai quali si aggiungono oltre 250 beneficiari di borse di studio o assegni di ricerca. Mentre si moltiplicano i contratti atipici, decine di ricercatori di grado elevato hanno maturato la pensione o hanno dato le dimissioni, lasciando scoperti interi importanti settori della ricerca e della sperimentazione che si trovano ora senza guida.
La lunga e intricata vicenda Cra ha lasciato insoluti molti problemi di particolare rilevanza, quali l’inquadramento di una quota cospicua del personale (operai, «centocinquantunisti», ma anche ex direttori di Istituto o Sezione), il futuro del personale scientifico precario di maggiore anzianità e professionalità, la programmazione integrata triennale, il rinnovo delle strutture e delle attrezzature, la direzione di alcuni Dipartimenti, il collegamento con gli Istituti europei del settore e molti altri ancora.
Il piano di riorganizzazione del Cra difficilmente reggerà la prova della sua reale applicazione perché soffre di quella polverizzazione amministrativa e scientifica che appesantiva gli ex Irsa, ma fortunatamente ci sarebbero procedure sufficientemente snelle per apportare le opportune modifiche. Rimane tuttavia il timore di ulteriori ritardi e interventi inadeguati. Ma è certo che altri «colpi di scena» potrebbero essere fatali, indebolendo la capacità operativa del nostro sistema di ricerca in un momento in cui ha inizio la sfida per una nuova agricoltura.

 

Sommario rivista

Giovanni Rizzotti


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