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La ricerca agricola italiana a rischio Cra(c) |
La ristrutturazione degli ex irsa non riesce a decollare.
Tra dimissioni, cambi ai vertici e mutamenti di rotta il settore della
ricerca in agricoltura resta ancora un nodo tutto da sciogliere. Una
situazione tanto più grave in un contesto mondiale in cui la competizione è
sempre più difficile.
La storia del Cra (Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in
agricoltura) si è arricchita di un nuovo colpo di scena: le dimissioni del
direttore generale Vincenzo Pilo e la reintegrazione della precedente
direttrice Ida Marandola.
Una vicenda lunga 10 anni
Si tratta dell’ultima tappa di una vicenda dalla trama intricata che si
trascina da quasi 10 anni, ricca di colpi di scena, che andiamo a riassumere
nei suoi passaggi principali.
Il tutto ha inizio nel dicembre 1999 con la pubblicazione del decreto
legislativo 454, frutto della volontà riformatrice dell’allora ministro
competente Paolo De Castro. Con questa normativa, 23 Irsa (Istituti di
ricerca e sperimentazione agraria) e altri cinque enti o uffici tutelati e
vigilati dal Ministero delle politiche agricole vengono riorganizzati in un
unico ente pubblico nazionale con ampia autonomia statutaria,
amministrativa, finanziaria e scientifica denominato Consiglio per la
ricerca e la sperimentazione agraria o Cra.
Nell’aprile dell’anno successivo De Castro è sostituito dal ministro Alfonso
Pecoraro Scanio, il quale impiega circa un anno per nominare gli organi e
insediare, a marzo 2001, il Cda del nuovo ente, con Sergio Zoppi alla
presidenza ed Esilio Desiderio alla direzione generale. Le elezioni del mese
successivo portano Silvio Berlusconi alla guida del Governo e Gianni
Alemanno al Mipaf: essi non approvano lo statuto e i regolamenti del nuovo
ente, atto necessario per l’attivazione del Cra, ma al contrario lo
«congelano» fino all’approvazione della legge n. 137 del luglio 2002. Questa
legge modifica in parte il decreto 454, istituisce i Dipartimenti e il
Consiglio dei dipartimenti e scioglie gli organi in carica.
Segue un anno convulso che vede la nomina di un commissario, 4
sub-commissari e un nuovo direttore generale, le dimissioni di quest’ultimo
e del commissario, seguite dalla nomina di un direttore generale e di un
dirigente del Mipaf, rispettivamente come commissario e direttore generale.
Nel dicembre 2002 Giuseppe D’Ascenzo, rettore dell’Università La Sapienza di
Roma, è nominato presidente del Cra ma solo nel luglio 2003 si insedia
insieme con il nuovo Cda e procede all’assunzione del nuovo direttore
generale nella persona di Ida Marandola.
Il 10 aprile 2004 e l’1 ottobre 2004, a distanza di poco meno di 4 anni
dalla pubblicazione del decreto 454/99, sono approvati rispettivamente lo
statuto e i regolamenti del Cra e nasce ufficialmente il nuovo ente.
In un articolo de L’Informatore Agrario, in cui ci celebrava la nascita
dell’ente, ricordavamo anche i principali problemi degli Irsa (esiguità e
anzianità del personale, elevato numero di sedi e bassa densità di
personale, finanziamenti scarsi e di breve durata, strutture e
strumentazioni obsolete, ridotta partecipazione alle attività comunitarie)
auspicando una loro rapida soluzione affinché «il Cra possa entrare a far
parte della rete europea di ricerca, che l’Ue indica come lo strumento
operativo della futura ricerca comunitaria».
Il Piano di riorganizzazione
Ma la vicenda Cra non è ancora conclusa. Manca infatti un piano di
riorganizzazione delle strutture, che continuano a sopravvivere come
Istituti centrali e sezioni periferiche per complessive 82 sedi, con un
personale scientifico complessivo (ricercatori e tecnologi) di circa 450
unità, mediamente 5 per sede. A questo scopo un gruppo di 7 esperti viene
incaricato di condurre un’indagine conoscitiva e di formulare una proposta
di riorganizzazione delle strutture esistenti.
Tuttavia il Cda preferisce non dar seguito alle proposte degli esperti e
approva nell’ottobre 2005 un piano di riforma alternativo. Questo però viene
sonoramente bocciato dal ministro Alemanno, il quale ne approva una
successiva versione nel marzo 2006.
Il riordino prevede 15 Centri di ricerca (insediati in 19 località) e 32
Unità di ricerca (in 35 località) per complessive 54 strutture operative.
Considerato l’organico in servizio, la densità di ricercatori passa a circa
7,5 per sede.
Anche in questa occasione, un articolo de L’Informatore Agrario, pur
considerando l’evento un timido passo, si augurava che fosse nella direzione
giusta. Lo stesso articolo denunciava lo «tsunami» generazionale che si
stava abbattendo sul Cra, cioè il considerevole esodo per pensionamento del
personale tecnico-scientifico, e auspicava un massiccio e rapido ricorso al
reclutamento. Effettivamente, nel maggio dello stesso anno il Cra assumeva
18 nuovi ricercatori, un numero esiguo rispetto alle necessità e largamente
inferiore a quello dei ricercatori andati in pensione nei 6 anni trascorsi
dall’avvio del processo di riforma.
La storia recente
A seguito delle elezioni politiche, nel giugno 2006 ritorna al Mipaaf il
ministro Paolo De Castro, padre della riforma Cra. Il mese seguente porta un
altro coupe de théatre: il direttore generale Marandola, per «ragioni di
opportunità» non meglio precisate, si dimette ed è sostituita da Vincenzo
Pilo, ben noto direttore ministeriale e conoscitore degli Irsa pre-riforma
afferenti all’ufficio da lui diretto.
Nel novembre 2006 un concorso nazionale per l’assunzione di 4 direttori per
altrettanti Dipartimenti (non ancora operativi per mancanza dei Centri e
delle Unità di ricerca) riesce a individuare solo due candidati validi. Nel
frattempo scade il mandato del presidente D’Ascenzo e nel dicembre 2006 è
nominato un nuovo presidente nella persona di Romualdo Coviello, professore
associato di economia agraria presso l’Università della Basilicata.
Quest’ultima nomina sembrerebbe segnare l’assestamento ai vertici dell’ente.
Al contrario, lo scorso febbraio il direttore generale Vincenzo Pilo si
dimette (indotto a dimettersi, dicono i soliti anonimi bene informati, per
divergenze di vedute con il presidente) e Marandola ritorna alla direzione
generale dell’ente. Nel prossimo luglio scadrà il mandato del Cda, il quale
prima di questa data dovrebbe dare seguito al piano di riorganizzazione,
individuando con una specifica delibera la missione dei Centri e delle Unità
di ricerca, che tuttavia non saranno operative prima del prossimo anno.
Nel frattempo, la sede centrale romana di via Nazionale 82, presa in affitto
nell’aprile 2005, verrà abbandonata perché troppo costosa e insufficiente a
ospitare il personale amministrativo dell’ente. Quest’ultimo infatti è
cresciuto notevolmente attraverso assunzioni a tempo indeterminato e
soprattutto attraverso numerose forme atipiche di assunzione a tempo
determinato. In realtà negli ultimi 15 anni di assenza di turnover, queste
ultime sono state utilizzate anche dagli Istituti per reclutare ricercatori
e tecnologi a cui affidare le attività di ricerca e sperimentazione.
Attualmente il Cra ha oltre 500 dipendenti precari di questo tipo, ai quali
si aggiungono oltre 250 beneficiari di borse di studio o assegni di ricerca.
Mentre si moltiplicano i contratti atipici, decine di ricercatori di grado
elevato hanno maturato la pensione o hanno dato le dimissioni, lasciando
scoperti interi importanti settori della ricerca e della sperimentazione che
si trovano ora senza guida.
La lunga e intricata vicenda Cra ha lasciato insoluti molti problemi di
particolare rilevanza, quali l’inquadramento di una quota cospicua del
personale (operai, «centocinquantunisti», ma anche ex direttori di Istituto
o Sezione), il futuro del personale scientifico precario di maggiore
anzianità e professionalità, la programmazione integrata triennale, il
rinnovo delle strutture e delle attrezzature, la direzione di alcuni
Dipartimenti, il collegamento con gli Istituti europei del settore e molti
altri ancora.
Il piano di riorganizzazione del Cra difficilmente reggerà la prova della
sua reale applicazione perché soffre di quella polverizzazione
amministrativa e scientifica che appesantiva gli ex Irsa, ma fortunatamente
ci sarebbero procedure sufficientemente snelle per apportare le opportune
modifiche. Rimane tuttavia il timore di ulteriori ritardi e interventi
inadeguati. Ma è certo che altri «colpi di scena» potrebbero essere fatali,
indebolendo la capacità operativa del nostro sistema di ricerca in un
momento in cui ha inizio la sfida per una nuova agricoltura.
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