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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
17
 27 Apr. - 3 Mag.

  2007
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Editoriale

Basta sprechi con l’art. 69
G. Canali

Fino a oggi l’Italia ha applicato così male lo strumento dei pagamenti supplementari da renderlo inefficace. Servono interventi più selettivi e lungimiranti che promuovano concreti miglioramenti nelle filiere prescelte.

La riforma della pac del 2003, tra i diversi elementi innovativi introdotti, ha incluso anche la possibilità di destinare fino al 10% del massimale nazionale corrispondente a ciascuna misura prevista per i diversi comparti, per effettuare un pagamento supplementare agli agricoltori che si impegnano in tipi specifici di agricoltura ritenuti importanti per tutelare o valorizzare l’ambiente o per migliorare la qualità e la commercializzazione dei prodotti.
Queste misure, contenute nell’articolo 69 del regolamento Ce n. 1782/2003, sono quindi uno strumento potenzialmente significativo anche per qualificare meglio la spesa del «primo pilastro», in un’ottica di politica agraria pro-attiva e non solo redistributiva.
Il nostro Paese, come noto, ha deciso di applicare queste misure e fin dall’avvio dell’applicazione della riforma, nel 2005, ha fissato le quote di risorse: il 7% per i bovini, il 5% per gli ovicaprini, l’8% per i seminativi e uguale misura percentuale per lo zucchero.
Tutto ciò poteva far pensare, legittimamente, che il nostro Paese volesse finalmente utilizzare queste nuove possibilità con flessibilità, ma soprattutto con la determinazione necessaria per uscire da una mera redistribuzione degli aiuti, compensativa rispetto a una data situazione del passato. Ma la realtà dei fatti ha mostrato il contrario.
Fino allo scorso anno, infatti, l’Italia ha applicato così male tale provvedimento da renderlo non solo inefficace, ma praticamente uno spreco di risorse.
Per le carni bovine, ad esempio, i quasi 29 milioni di euro disponibili sono stati distribuiti talmente ad ampio spettro da far scendere il premio unitario a livelli trascurabili e quindi ininfluenti sui comportamenti aziendali; nel 2005 l’importo liquidato è stato pari a 22,80 euro/capo. In questo caso, se si considerassero i costi amministrativi complessivi, pubblici e privati, forse i benefici di questa misura sarebbero molto prossimi a zero, se non addirittura negativi. Per gli ovicaprini, similmente, il criterio di un numero di animali superiore a 50 e di un numero minimo di 120 giornate di pascolo ha portato ad avere un aiuto pari a circa 1,3 euro/capo sia nel 2005 che nel 2006. Un valore risibile.
Ma qual è la causa? Il meccanismo decisionale italiano per le politiche agricole, infatti, se da un lato è molto opportunamente decentrato a livello regionale, dall’altro, per queste stesse ragioni, rischia talvolta di dimostrarsi incapace di assumere decisioni sufficientemente lungimiranti. Infatti, di fronte a proposte di applicazione necessariamente più selettive ma per questo anche assai più efficaci, le Regioni tendono a fare una semplicistica quanto distorsiva valutazione basata sui «conti della serva»: la regione «x» o «y» guadagna o perde, immaginando di applicare il provvedimento «nella situazione attuale»?
Ecco la trappola: tutte le valutazioni sono di tipo meramente finanziario e soprattutto sono statiche, si basano, cioè, su una situazione priva di possibilità di cambiamento. Ma il cambiamento è proprio quanto questo strumento vuole favorire e quanto esso potrebbe e dovrebbe promuovere!
Così, valutare le misure in base alla ricadute finanziarie sui produttori regionali «immaginati» in questa condizione statica è doppiamente sbagliato. Anzitutto essi sono sempre pronti a cogliere le opportunità offerte dai cambiamenti delle misure e delle politiche; secondariamente, i vantaggi per il sistema produttivo, anche solo su base regionale, devono essere valutati in base agli effetti economici sull’intera filiera.
Ad esempio, già da tempo gli allevatori di bovini da carne, anche quelli più grandi, segnalano con forza la difficoltà di reperimento di vitelli da ristallo, non solo sul mercato nazionale, ma anche su quello europeo. Per questa ragione essi sarebbero ben lieti di rinunciare a un aiuto a capo di entità trascurabile sui propri capi allevati, specialmente se tutte le risorse dell’articolo 69 andassero a promuovere la produzione di vitelli da ristallo mediante un intervento mirato ed efficace (si avrebbe un aiuto decisamente più elevato) sulla linea vacca-vitello di razze pregiate da carne. È quanto servirebbe in questo caso alla competitività della filiera, a promuovere produzioni di più alta qualità e a valorizzare anche le aree interne (collina e montagna) con attività produttive che in quel contesto sarebbero ancora possibili e interessanti. Anche sull’ovicaprino ci sono analoghi spazi di miglioramento: basterebbe favorire i capi iscritti a Libri genealogici. Le Regioni (e in qualche misura il Ministero) non possono più perdere questa occasione a causa di calcoli chiaramente miopi e sbagliati.
 

Sommario rivista Gabriele Canali


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