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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
16
 20 - 26 Apr.

  2007
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Editoriale

L’acqua, una questione cruciale
G. Zanni

L’Italia è in forte ritardo rispetto agli altri Paesi europei nella programmazione e nella gestione di questo bene fondamentale. L’agricoltura ha un ruolo assai importante per contribuire a risolvere i problemi di scarsità delle risorse idriche

Aprile, ogni giorno un barile», si diceva una volta. Oggi non lo si dice quasi più e non bastano le poche recenti piogge per smentire il fatto che l’acqua sta diventando un bene sempre più scarso. Al punto che quest’anno lo slogan della Giornata mondiale dell’acqua è stato «Fronteggiare la scarsità d’acqua».
Le preoccupazioni vertono non solo sulla quantità bassa, resa sempre più evidente dai cambiamenti climatici, ma anche sulla scarsa qualità.
L’agricoltura è il settore maggiormente chiamato in causa, poiché è quello che preleva più acqua nel mondo.
Più del 70% dei prelievi idrici è per l’irrigazione, con consumi prossimi al 100% nei Paesi in via di sviluppo, dov’è situata la maggioranza dei terreni irrigui.
Se teniamo conto che la popolazione mondiale sta crescendo a ritmi vertiginosi (da 6 a 8 miliardi nei prossimi vent’anni), è evidente che l’acqua rappresenterà una delle questioni cruciali del futuro del pianeta.
Non si tratta solo di produrre più alimenti con meno acqua, il che potrà essere ottenuto grazie a un augurabile miglioramento delle tecnologie, ma anche di assicurare ai popoli l’accesso all’acqua per risolvere i gravi problemi di potabilità e di igiene, che oggi portano a livelli tragici la mortalità nei Paesi poveri. L’agricoltura, però, non sta solo dietro al banco degli imputati, ma anche tra i possibili risolutori del problema idrico mondiale.
Secondo il professor Tony Allan, il commercio internazionale di prodotti agricoli può giocare un ruolo importante in questo senso. Quando un Paese con scarse disponibilità idriche importa derrate da un Paese ricco d’acqua, implicitamente acquisisce anche una certa quantità di «acqua virtuale» (l’acqua necessaria a produrre quel bene).
Se le cose sono ben organizzate, l’esportatore usa soprattutto acqua «verde» (la pioggia, che non costa nulla) mentre l’importatore risparmia acqua «blu» (l’acqua irrigua, che costa molto), che potrà quindi essere destinata ad altri usi prioritari.
Si tratta, in sostanza, di un’applicazione del principio del vantaggio comparato, ben conosciuto dagli economisti. In verità, le cose sono un po’ più complicate, perché vi sono in gioco interessi nazionali strategici, che vanno al di là del puro meccanismo economico. In ogni caso, l’ampia diffusione sociale del concetto di acqua virtuale ha il merito di tenere vivo un dibattito globale sull’interazione tra gestione delle risorse idriche, lotta alla povertà, sicurezza alimentare e commercio agricolo internazionale.
E in Italia, a che punto siamo? L’Italia fa parte dell’Europa e la politica idrica europea è sostanzialmente regolata dalla direttiva quadro n.60/2000, che si prefigge obiettivi di tutela della qualità delle acque e di razionalizzazione dell’utilizzo delle risorse idriche, nel rispetto dei principi di «riduzione del danno alla fonte», «chi inquina paga» e «recupero del costo pieno».
Il fine pratico, molto ambizioso, è di conseguire un «buono stato delle acque superficiali e sotterranee» entro il 2015, integrando le misure di tutela della qualità con quelle che regolano le quantità impiegate.
Pochi giorni fa è stato presentato il primo rapporto di monitoraggio dello stato di attuazione della direttiva quadro presso l’Unione Europea. La situazione complessiva è molto variegata, ma quella italiana è piuttosto chiara: siamo quasi sempre nelle ultime posizioni. Ciò vale sia riguardo all’organizzazione amministrativa (la ripartizione in distretti idrografici è definita «illogica e non in linea» con la normativa), sia all’elaborazione delle analisi economico-ambientali (ci segnaliamo per i molti casi di «assenza di dati»).
Le indagini fatte a livello nazionale indicano, accanto a situazioni non del tutto sconfortanti sulla qualità media delle acque, anche gravi debolezze: insufficienza delle valutazioni di impatto; ritardi nei servizi di monitoraggio da parte delle Arpa; basso livello di applicazione dei principi di «recupero costo pieno» e «chi inquina paga»; ridotta partecipazione delle parti interessate, quali gli agricoltori. Insomma, nella programmazione siamo molto indietro.
Il primo passo per risolvere un problema è quello di comprenderne a fondo la struttura e le dimensioni. Perciò, non sarà certo rimanendo gli ultimi della classe in Europa che sapremo risolvere i tanti problemi della gestione delle acque nel nostro Paese e nel mondo.
Finora abbiamo dormito un po’ troppo, ma c’è tempo per recuperare.
«Aprile, dolce dormire», si usa dire. Sarà dolce, ma sarebbe diabolico dormire anche gli altri undici mesi.
 

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