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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
 
16
 14-20 Apr.

  2006
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Attualità POLITICA

Il mercato selvaggio del latte italiano

Produttori in balìa degli acquirenti

La legge sulla regolazione dei mercati ha stabilito un modello di relazioni interprofessionali che nel settore del latte bovino è completamente disatteso. Servono iniziative concrete per riequilibrare i rapporti di forza in campo e rendere più trasparente il mercato

I rapporti tra gli industriali del latte e gli allevatori sono assai tesi in questa fase, per effetto della pretesa dei primi di praticare una sensibile riduzione dei prezzi pagati per le consegne della materia prima nel corso della campagna di commercializzazione 2006-2007.
Nelle scorse settimane, gli acquirenti hanno prospettato una doppia mossa: la riduzione del prezzo base del latte crudo e la modifica in senso restrittivo per i produttori della tabella utilizzata per il calcolo dei premi della qualità. Nel complesso, si chiede un sacrificio di circa 4 centesimi di euro/kg, portando così il prezzo del latte italiano a 30 centesimi di euro/L, un livello certamente non remunerativo che costringe oltre i margini della sopravvivenza numerose aziende zootecniche, già provate da un periodo difficile che dura da cinque anni.
Sacrifici ingiustificati
Il mondo agricolo ha reagito con unità e ha bollato le intenzioni dell’industria come ingiustificate e fuori della realtà. In Lombardia, le tre organizzazioni sindacali si sono rivolte all’assessore regionale all’agricoltura al quale hanno chiesto di effettuare delle verifiche sull’utilizzo delle risorse finanziarie della politica di sviluppo rurale destinate all’industria di trasformazione, per accertare l’esistenza delle previste ricadute positive a favore del mondo agricolo, in mancanza delle quali, hanno precisato Coldiretti, Confagricoltura e Cia, i finanziamenti vanno revocati senza indugio.
In Veneto e in Piemonte hanno denunciato l’arroganza dell’industria che ha minacciato di interrompere il ritiro del latte, ove l’allevatore non accetti dei ribassi sensibili del prezzo. La mancanza dell’accordo interprofessionale per il 2006-2007, dicono i rappresentanti dei produttori di latte delle regioni del Nord, mette in difficoltà la componente agricola e la espone al ricatto degli acquirenti.
Una grande impresa multinazionale ha scritto ai propri conferenti di considerare nullo l’impegno di fornitura sottoscritto in passato e ha invitato gli allevatori ad accettare un prezzo di 30 centesimi di euro/L, con pagamento a 60 giorni e con l’impegno a consegnare per due campagne di commercializzazione: quella in corso e la successiva.
Al Sud la situazione non è affatto migliore. È vero che il prezzo del latte è superiore rispetto ai valori medi che si riscontrano nella Pianura Padana, ma è anche vero che il mercato del latte opera in un contesto di interdipendenza e i problemi si diffondo nell’intero Paese.
L’eccesso dell’offerta e la facilità di accesso alla materia prima rallenta la propensione all’acquisto da parte dell’industria meridionale e tende a riflettersi in maniera negativa sui prezzi.
Le penalizzanti proposte degli industriali non sono concertate in alcun tavolo di confronto istituzionale. Si tratta di posizioni unilaterali che vengono prospettate ai singoli allevatori, per sollecitarli a firmare contratti di conferimento assolutamente svantaggiosi.
Il modello di relazioni interprofessionali concepito nella recente legge sulla regolazione dei mercati, che si fonda sul ricorso alle intese di filiera, ai contratti quadro e ai contratti di conferimento, è disatteso in ogni senso. Oggi, ci sono da una parte i diversi gruppi industriali, alcuni dei quali con una chiara posizione dominante sul mercato, e dall’altra il singolo produttore che si trova chiaramente in posizione di difficoltà, non essendo facile collocare la materia prima da un giorno all’altro, tenuto conto che da diversi mesi il mercato italiano del latte bovino è condizionato dal fenomeno della sovrapproduzione.
Proposte
Nonostante il modello concreto di relazioni economiche dentro la filiera latte sia distante anni luce da quello teorico, non c’è alcun tentativo di rimediare: né da parte del mondo politico, né dalle organizzazioni di rappresentanza.
A questo punto una soluzione potrebbe esserci e passa attraverso uno studio serio sui rapporti di forza all’interno del sistema produttivo e dei canali commerciali dove transitano i prodotti lattiero-caseari.
Nel Regno Unito l’hanno fatto nel 2004 e hanno scoperto l’esistenza di una possibile situazione di abuso di posizione dominante sul mercato, in particolare da parte della distribuzione. Negli ultimi 10 anni, la quota di valore aggiunto intercettata dal trade si è triplicata. Nello stesso tempo quella dell’industria di trasformazione è rimasta bloccata. A farne le spese sono stati i due anelli deboli del sistema: gli allevatori che hanno visto assottigliarsi sensibilmente i propri margini e i consumatori che hanno sostenuto prezzi al consumo più elevati.
Una verifica su come si forma e si distribuisce la ricchezza nel settore del latte in Italia dovrebbe poi condurre a elaborare proposte concrete per riequilibrare i rapporti di forza e rendere più trasparente il mercato.
Nel breve termine, invece, sarebbe opportuno mettere in atto delle misure tendenti a una piena applicazione del regime delle quote latte e a un rispetto dei tetti produttivi a livello individuale e nazionale.
Ove non si proceda in tale direzione, si assisterà al rapido e completo allineamento dei prezzi del latte italiano a livello dei Paesi del Nord Europa, il che comporta una situazione di difficile sopravvivenza per molti nostri allevamenti.

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