POLITICA |
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Il mercato selvaggio del latte italiano |
Produttori in balìa degli acquirenti
La legge sulla regolazione dei mercati ha stabilito un modello di
relazioni interprofessionali che nel settore del latte bovino è
completamente disatteso. Servono iniziative concrete per riequilibrare i
rapporti di forza in campo e rendere più trasparente il mercato
I rapporti tra gli industriali del latte e gli allevatori sono assai tesi in
questa fase, per effetto della pretesa dei primi di praticare una sensibile
riduzione dei prezzi pagati per le consegne della materia prima nel corso
della campagna di commercializzazione 2006-2007.
Nelle scorse settimane, gli acquirenti hanno prospettato una doppia mossa:
la riduzione del prezzo base del latte crudo e la modifica in senso
restrittivo per i produttori della tabella utilizzata per il calcolo dei
premi della qualità. Nel complesso, si chiede un sacrificio di circa 4
centesimi di euro/kg, portando così il prezzo del latte italiano a 30
centesimi di euro/L, un livello certamente non remunerativo che costringe
oltre i margini della sopravvivenza numerose aziende zootecniche, già
provate da un periodo difficile che dura da cinque anni.
Sacrifici ingiustificati
Il mondo agricolo ha reagito con unità e ha bollato le intenzioni
dell’industria come ingiustificate e fuori della realtà. In Lombardia, le
tre organizzazioni sindacali si sono rivolte all’assessore regionale
all’agricoltura al quale hanno chiesto di effettuare delle verifiche
sull’utilizzo delle risorse finanziarie della politica di sviluppo rurale
destinate all’industria di trasformazione, per accertare l’esistenza delle
previste ricadute positive a favore del mondo agricolo, in mancanza delle
quali, hanno precisato Coldiretti, Confagricoltura e Cia, i finanziamenti
vanno revocati senza indugio.
In Veneto e in Piemonte hanno denunciato l’arroganza dell’industria che ha
minacciato di interrompere il ritiro del latte, ove l’allevatore non accetti
dei ribassi sensibili del prezzo. La mancanza dell’accordo
interprofessionale per il 2006-2007, dicono i rappresentanti dei produttori
di latte delle regioni del Nord, mette in difficoltà la componente agricola
e la espone al ricatto degli acquirenti.
Una grande impresa multinazionale ha scritto ai propri conferenti di
considerare nullo l’impegno di fornitura sottoscritto in passato e ha
invitato gli allevatori ad accettare un prezzo di 30 centesimi di euro/L,
con pagamento a 60 giorni e con l’impegno a consegnare per due campagne di
commercializzazione: quella in corso e la successiva.
Al Sud la situazione non è affatto migliore. È vero che il prezzo del latte
è superiore rispetto ai valori medi che si riscontrano nella Pianura Padana,
ma è anche vero che il mercato del latte opera in un contesto di
interdipendenza e i problemi si diffondo nell’intero Paese.
L’eccesso dell’offerta e la facilità di accesso alla materia prima rallenta
la propensione all’acquisto da parte dell’industria meridionale e tende a
riflettersi in maniera negativa sui prezzi.
Le penalizzanti proposte degli industriali non sono concertate in alcun
tavolo di confronto istituzionale. Si tratta di posizioni unilaterali che
vengono prospettate ai singoli allevatori, per sollecitarli a firmare
contratti di conferimento assolutamente svantaggiosi.
Il modello di relazioni interprofessionali concepito nella recente legge
sulla regolazione dei mercati, che si fonda sul ricorso alle intese di
filiera, ai contratti quadro e ai contratti di conferimento, è disatteso in
ogni senso. Oggi, ci sono da una parte i diversi gruppi industriali, alcuni
dei quali con una chiara posizione dominante sul mercato, e dall’altra il
singolo produttore che si trova chiaramente in posizione di difficoltà, non
essendo facile collocare la materia prima da un giorno all’altro, tenuto
conto che da diversi mesi il mercato italiano del latte bovino è
condizionato dal fenomeno della sovrapproduzione.
Proposte
Nonostante il modello concreto di relazioni economiche dentro la filiera
latte sia distante anni luce da quello teorico, non c’è alcun tentativo di
rimediare: né da parte del mondo politico, né dalle organizzazioni di
rappresentanza.
A questo punto una soluzione potrebbe esserci e passa attraverso uno studio
serio sui rapporti di forza all’interno del sistema produttivo e dei canali
commerciali dove transitano i prodotti lattiero-caseari.
Nel Regno Unito l’hanno fatto nel 2004 e hanno scoperto l’esistenza di una
possibile situazione di abuso di posizione dominante sul mercato, in
particolare da parte della distribuzione. Negli ultimi 10 anni, la quota di
valore aggiunto intercettata dal trade si è triplicata. Nello stesso tempo
quella dell’industria di trasformazione è rimasta bloccata. A farne le spese
sono stati i due anelli deboli del sistema: gli allevatori che hanno visto
assottigliarsi sensibilmente i propri margini e i consumatori che hanno
sostenuto prezzi al consumo più elevati.
Una verifica su come si forma e si distribuisce la ricchezza nel settore del
latte in Italia dovrebbe poi condurre a elaborare proposte concrete per
riequilibrare i rapporti di forza e rendere più trasparente il mercato.
Nel breve termine, invece, sarebbe opportuno mettere in atto delle misure
tendenti a una piena applicazione del regime delle quote latte e a un
rispetto dei tetti produttivi a livello individuale e nazionale.
Ove non si proceda in tale direzione, si assisterà al rapido e completo
allineamento dei prezzi del latte italiano a livello dei Paesi del Nord
Europa, il che comporta una situazione di difficile sopravvivenza per molti
nostri allevamenti.
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