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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
 
16
 14-20 Apr.

  2006
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Editoriale

Cantine cooperative, un successo «speciale»
Corrado Giacomini

Nessuna impresa, come quella cooperativa, è in grado di determinare ricadute economiche così importanti sul territorio in cui è inserita. Prima di tutto per la sua base sociale, che spesso corrisponde a una parte importante della comunità civile a cui la cantina appartiene 

Descrivere un fenomeno con dei dati percentuali è facile, ma rischia qualche volta di trarre in inganno. Per fare un esempio, si potrebbe dire che il 50% del vino italiano passa per la cooperazione vitivinicola, ma qual è il suo significato? Vuol dire, forse, che la cooperazione vitivinicola controlla il mercato del vino in Italia? Su questo avrei qualche dubbio, perché quel dato vuol dire soltanto che il 50% del vino italiano viene lavorato e commercializzato dalle cantine cooperative, imprese che sul mercato agiscono molto spesso con strategie diverse e spesso in competizione tra loro.
Se si legge, però, nell’ultima indagine di Mediobanca sul settore vinicolo che tre cooperative (Caviro, Giv e Cavit) sono le prime tre società del settore per volume di vendite, con fatturato nel 2005, rispettivamente, di 264,2, 258 e 161,5 milioni di euro, seguite al quarto posto da Antinori con 115,6 milioni di euro, il dato del 50% del vino italiano che passa per la cooperazione diventa molto più ricco di significati.
Il Tavernello di Caviro, di cui vengono venduti in un anno 145 milioni di brik, è diventato ormai un caso di studio dei manuali di marketing; Giv, il Gruppo italiano vini, è riuscito a raggiungere il controllo di molte delle più note marche di vini italiani nel mondo, basti ricordare: Lamberti, Santi, Formentini, Calissano, Folonari, Conti Serristori,
Melini, Rapitalà, Fontana Candida e altre ancora; Cavit è un tutt’uno con i vini della sua terra, Trento, ed è il più grande esportatore di vino italiano nel mercato degli Stati Uniti.
L’immagine di una cooperazione vitivinicola che si limita a trasformare l’uva in prodotto intermedio, a diverso stato di affinamento e da vendere agli industriali imbottigliatori, funzione che resta tuttora importante e di grande utilità per il mondo agricolo, viene promossa a un livello molto più avanzato di strategia di business non solo dagli esempi di Caviro, Giv e Cavit, ma di molte altre cantine cooperative diventate oggi tra gli interlocutori più importanti delle grandi catene della gdo italiana ed estera attraverso la quale passa più del 70% del vino venduto al dettaglio.
Nella scelta della strategia da adottare per ottimizzare gli obiettivi d’impresa, la cooperazione vitivinicola mantiene, tuttavia, alcuni fattori «distintivi» che la caratterizzano.
Come è noto, lo stato della competizione in un settore per un’impresa dipende dalle altre imprese concorrenti, dai clienti, dai fornitori, dai potenziali entranti e dai prodotti sostitutivi. Ogni impresa per affrontare queste forze e scegliere la propria strategia non è sola all’interno del settore a cui appartiene, ma deve tenere conto del sistema di portatori di interessi che sull’impresa possono influire e ai quali deve rendere conto.
In relazione a queste componenti del quadro competitivo, emerge immediatamente la specificità della cooperazione di trasformazione; infatti, se l’obiettivo dell’impresa è il profitto, inteso come massimizzazione della differenza costi-ricavi, nel caso dell’impresa cooperativa l’obiettivo è, invece, la massimizzazione del valore di trasformazione, vale a dire la massimizzazione della remunerazione del fattore fornito dai soci, quindi di un costo.
Per quanto riguarda il rapporto dell’impresa con i diversi portatori di interesse, non c’è forse nessun tipo d’impresa, come la cooperativa di trasformazione, che è così legata all’ambiente in cui è inserita. I fornitori, in quanto soci conferenti, formano anche il soggetto economico che fissa i suoi obiettivi. Inoltre, nel caso di una cooperativa agroalimentare, e tanto più in quello di una cantina cooperativa, il rapporto con il territorio è strettissimo, in quanto la sua base sociale corrisponde spesso a una parte importante della comunità civile a cui appartiene; l’immagine e la reputazione del territorio si riflettono sull’immagine e la reputazione del marchio d’impresa; la qualità della materia prima dipende in larga misura dalle decisioni delle imprese conferenti che riflettono sia politiche pubbliche di sviluppo sia gli indirizzi dati ai soci da parte dell’impresa cooperativa.
Se la formulazione di una strategia competitiva è diretta a collegare un’impresa con il proprio ambiente, questo vale soprattutto per le cantine cooperative, il cui successo deve tenere conto delle relazioni che l’impresa ha a monte e a valle: praticamente delle relazioni che intrattiene lungo la «catena del valore», perché sono le diverse attività, dalla produzione dell’uva fino alla trasformazione in vino e alla sua commercializzazione, che possono garantire il successo della strategia di business che l’impresa ha adottato.

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