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Vino: il mercato che verrà, progetto de
«L’Informatore» presentato in occasione del Vinitaly |
L’obiettivo è di raccogliere le indicazioni degli operatori della
filiera vitivinicola individuando le strategie da adottare per rimanere
competitivi sui mercati del futuro
Ci siamo assunti una «piccola» responsabilità sul futuro del vino italiano.
Non vogliamo apparire presuntuosi, ma siamo convinti che il progetto di
ricerca che L’Informatore Agrario ha presentato a Vinitaly, durante il
convegno sul tema «Vino: il mercato che verrà», possa servire a pianificare
le strategie future del vino italiano.
Sui motivi che hanno portato il nostro settimanale a impegnarsi su questo
progetto di ricerca – in collaborazione con il Dipartimento di economia
agraria dell’Università di Napoli e, in particolare, con Eugenio Pomarici,
uno dei più qualificati economisti agrari del nostro Paese nonché presidente
della Commissione economica dell’Oiv – si è soffermato nei saluti
introduttivi Giovanni Rizzotti, direttore responsabile de L’Informatore
Agrario. «Siamo convinti – ha spiegato Rizzotti – che sia fondamentale
raccogliere le indicazioni degli operatori del settore sul mercato e
affrontare gli scenari futuri individuando le strategie da adottare per
rimanere competitivi».
Il progetto di ricerca è stato descritto alla fine del convegno da Pomarici.
Per i dettagli rimandiamo i lettori al Supplemento de L’Informatore Agrario
n. 12/2007.
Il convegno, comunque, non ha rappresentato «solo» l’occasione per
presentare il progetto di ricerca, ma anche quella di verificare, grazie
alla partecipazione di alcuni dei principali attori del settore vitivinicolo
italiano, lo stato di salute attuale del comparto e, soprattutto, analizzare
le aspettative future.
Per Piero Mastroberardino, presidente di Federvini, «la polverizzazione
delle aziende, accanto a una frammentazione dei sistemi locali, come quelle
delle denominazioni, continuano a rappresentare elementi problematici della
nostra offerta. Allo stato attuale – ha detto Mastroberardino – sembra
improbabile per il nostro sistema vitivinicolo la rincorsa verso grosse
aggregazioni.
Appare invece più efficace una strategia di sviluppo della media impresa. La
continua proliferazione di denominazioni di origine, inoltre – ha
sottolineato Mastroberardino – rischia di creare confusione sui mercati dove
le aziende italiane, al di là della loro massa critica, fanno ancora fatica
a posizionarsi in maniera efficace».
Come sempre, particolarmente lucida ed efficace è apparsa l’analisi di
Emilio Pedron, amministratore delegato del Gruppo Italiano Vini, la maggior
impresa vitivinicola italiana.
Pedron ha sottolineato come oggi, alla fine di un quinquennio «in cui
abbiamo continuato a ripeterci: meno regole, più mercato, viva il marchio,
ci accorgiamo che se siamo ancora competitivi, nonostante le difficoltà di
questi ultimi anni, probabilmente lo dobbiamo anche a certi lacci imposti
dalle nostre normative sulle denominazioni».
«Cosa ci sarebbe potuto succedere se avessimo scelto una totale deregulation
come qualcuno auspicava – ha aggiunto Pedron – lo vediamo nei Paesi del
Nuovo mondo, Australia in primis, che sta vivendo una crisi profonda al
punto che stanno studiando modelli normativi simili ai nostri, che vincolino
le produzioni enologiche al territorio e non più solo al nome del vitigno».
Pedron, inoltre, ha smorzato alcuni venti eccessivamente ottimistici. «Non
mi sono abbattuto negli anni scorsi, quando molti parlavano di crisi
profonda, ma non mi esalto nemmeno ora quanto vedo che sono sì aumentate le
nostre esportazioni ma in gran parte perché abbiamo abbassato drasticamente
i prezzi dei nostri vini. E si è trattato di una reazione a difficoltà di
mercato che è gravata soprattutto sulle spalle dei viticoltori».
Alessio Planeta, titolare della nota casa vinicola siciliana, ha invece
affrontato il complesso tema dei mercati emergenti per il vino italiano.
«Spesso sopravvalutiamo certi mercati – ha detto Planeta– e ne sottostimiamo
altri. Sono necessarie, pertanto, analisi più approfondite di molti mercati,
quali, ad esempio, Cina, Messico, India, decisamente promettenti ma ancora
non perfettamente decifrabili».
Sul tema delle denominazioni di origine si è soffermato Giuseppe Liberatore,
vicepresidente di Federdoc. «È vero, c’è stata un’eccessiva proliferazione
di riconoscimenti di doc nel nostro Paese, ma questo più per pressioni
politiche, campanilistiche, che per vera volontà dei produttori. La realtà,
infatti, dice che sono solo una settantina le denominazioni rivendicate e
realmente vincenti. E guarda caso sono quelle dove i Consorzi di tutela
funzionano e svolgono al meglio il loro ruolo».
Per Cesare Cecchi, responsabile commerciale della Casa vinicola Cecchi, «è
necessario un ulteriore salto di qualità dell’imprenditoria vitivinicola
italiana e per realizzarlo serve una maggior disponibilità ad attuare un
miglior gioco di squadra. La frammentazione, infatti, si vince con
l’organizzazione, con la capacità, ad esempio, di proporsi alla gdo in
maniera aggregata».
A conclusione del convegno è intervenuto anche il noto produttore Angelo
Gaja che ha sottolineato come «l’Europa del vino non è più in tempo per
darsi un assetto strategico diverso imitando modelli del Nuovo mondo e
questo, visto a posteriori, appare come un vantaggio competitivo». Gaja si è
inoltre detto totalmente contrario all’ipotesi di introduzione di una igt
Italia «non solo perché porterebbe soltanto a una ulteriore confusione e la
possibilità di fare un vino con uve provenienti da tutta la Penisola, ma
anche perché andrebbe a impattare con il pregresso delle nostre igt
regionali, molte delle quali vincenti, come la Sicilia, prima fra tutte».
In attesa della nuova ocm vino, che dovrebbe essere approvata entro dicembre
2007, Giuseppe Castiglione, europarlamentare relatore dell’ocm vino alla
Commissione europea, ha illustrato la posizione italiana, contraria in
particolare all’estirpazione incontrollata.
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