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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
14
 6 - 12 Apr.

  2007
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Editoriale

La bella sorpresa dell’agricoltura «trainante»
G. Piccinini

In Italia vi è una minoranza di aziende, che produce ben il 90% del fatturato del settore, caratterizzata da buona efficienza, innovazione e propensione al mercato. In parte si rovescia così il luogo comune dell’agricoltura assistita

Trilussa è stato un arguto poeta romano del primo Novecento il quale con i suoi sonetti ha raccontato molte più cose che con discorsi importanti.
Famoso è il sonetto dei «polli di Trilussa» che chiarisce come la statistica assegni un pollo a testa anche se a qualcuno non va alcun pollo e ad altri ne vanno due.
Le statistiche italiane sull’agricoltura affermano che abbiamo un milione e mezzo di aziende di superficie non superiore ai 6 ha e di reddito modesto se non negativo.
Il Censis, un istituto di ricerca famoso nel nostro Paese che da quarant’anni sforna analisi fantasiose e intelligenti sulla società italiana, ha presentato nei giorni scorsi al Forum di Confagricoltura a Taormina uno studio che capovolge alcuni luoghi comuni sulla nostra agricoltura (www.censis.it).
Giuseppe De Rita, segretario generale della Fondazione Censis, ha presentato il lavoro con tutto il suo carisma.
Come nella premessa di questo editoriale, il lavoro si occupa di colui che mangia «due polli» trascurando i «poverelli» con «zero polli».
Trattando di imprese economiche e non di consumatori, la cosa è positiva, di grande interesse e speranza. Il 27% del totale delle aziende italiane, 490.000, realizza il 90% del fatturato dell’agricoltura italiana. E fin qui niente di nuovo. È un dato noto, ma volutamente trascurato dai politici e dai sindacati per mille ragioni. Vi è dunque una concentrazione di aziende ad alto fatturato; potrebbero essere solo aziende grandi, latifondiste si diceva negli anni Cinquanta, e nient’altro.
De Rita sostiene invece cose ben più interessanti. Tra queste aziende con alto fatturato De Rita ha scoperto aziende efficienti, rivolte al mercato e innovative.
Sono definite, con giusto compiacimento, come la «minoranza trainante». Il Censis non entra elegantemente nei calcoli economici, ma si sofferma su elementi di fondo.
Non è cosa da poco, quando da tempo l’insieme delle aziende italiane è in crisi.
L’analisi di un campione di queste aziende «trainanti» con un fatturato medio di circa un milione di euro rivela elementi di notevole interesse.
Innanzitutto, nonostante la dimensione, la presenza famigliare è forte: non solo una buona parte della famiglia si occupa dell’azienda, ma quasi la metà ha nei figli e famigliari giovani eredi determinati a continuare l’attività.
Dunque, se vi sono motivazioni economiche non vi è la fuga dei figli. Si tratta di aziende che hanno costruito reti di collaborazione e scambio con altre aziende, agricole e no.
Anche questo suona nuovo: da secoli si stigmatizza l’isolamento dell’azienda agricola. Il rapporto non parla «espressamente» di filiera corta, da molti teorizzata come una soluzione per incamerare valore aggiunto, si parla piuttosto di grande apertura verso il mercato con sistemi diversificati di fidelizzazione verso i clienti e sistemi di produzione e vendita mediati dall’industria. Inoltre è importante il controllo dei processi produttivi, con innovazioni di processo e di prodotto e la politica di valorizzazione del proprio marchio.
Queste aziende praticano una politica di mercato definita «proattiva», che interpretiamo come «piena di iniziative».
Relativamente al rapporto con le altre aziende, appare che la maggioranza di esse trovi dalla collaborazione l’ispirazione e la forza per innovazioni di processo e di prodotto. L’emulazione ha grande importanza.
Ci pare di poter concludere con gli autori che nel Paese esiste un gruppo di aziende, in genere grandi, almeno per fatturato, che hanno accettato la sfida dello smantellamento della pac, dell’internazionalizzazione dei mercati, pur essendo su basi famigliari. E già questa è una bella sorpresa.
Le loro richieste non sono la domanda di sussidi, che pure non disdegnano, ma piuttosto un coro di minore burocrazia, manodopera più qualificata e specializzata.
Vi è poi il problema bancario: gran parte di queste aziende si rivolge infatti al credito ordinario. Così non va.
Qualsiasi speculatore edilizio viene accolto dalle banche a braccia aperte, come notizie recenti testimoniano, perché gli agricoltori capaci, invece, no?
In sintesi, dunque, abbiamo un panorama che è tutto l’inverso di quello dei «padroni dalle belle braghe bianche», come un tempo venivano dipinte queste aziende. È evidente che il modello di questi nuovi imprenditori non può essere esteso più di tanto, ma è già molto.
 

Sommario rivista Antonio Piccinini


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