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Troppa fretta per il Codice sull’ambiente |
Il corposo Testo unico deve essere rivisto per diversi ordini di
motivi, tra i quali le rilevanti conseguenze spesso negative indotte sul
settore agricolo, riferite in particolare all’uso del suolo e alla gestione
delle risorse idriche
Lo schema del decreto legislativo in materia ambientale giace sul tavolo
della Presidenza della Repubblica dove, per numerose ragioni, è sottoposto a
una diagnosi accurata.
Pur essendo stato approvato in sede legislativa, non sembra probabile la
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale in tempi brevi. Questo non tanto per
la ponderosità del Testo unico (318 articoli, circa 700 pagine tra testo e
allegati) tale da richiedere una «uscita speciale», ma perché i temi
ambientali, pur complessi e oggi frammentati in una miriade di norme
sicuramente bisognose di una riorganizzazione organica, non potevano essere
liquidati a fine Legislatura con un’operazione di certo rapida, ma
probabilmente poco orientata al confronto con le numerose parti coinvolte.
Le motivazioni della levata di scudi nei confronti di questo ciclopico
decreto legislativo sono di diversi ordini e sono state espresse in un
appello al presidente della Repubblica. In effetti gli ambiti contestati
(solo per citarne alcuni: violazione del dettato costituzionale, riduzione
dei meccanismi sanzionatori in caso di inadempienza, riduzione delle
autonomie locali e accentramento di numerose competenze, errori tecnici)
appaiono rilevanti.
Se più pragmaticamente ci si sofferma sul settore agricolo, si osserva che è
coinvolto sotto diversi profili: in molti casi in via diretta, in altri
indirettamente, ma non per questo senza potenziali conseguenze di rilievo.
In particolare l’agricoltura viene direttamente toccata dai temi della
difesa del suolo, della Valutazione ambientale strategica (Vas) e
dell’inquinamento idrico, mentre appare coinvolta con diverse modalità per
ciò che riguarda la Valutazione d’impatto ambientale (Via), la gestione
delle risorse idriche e la tutela dei danni all’ambiente.
Tra le numerose opzioni è possibile soffermarsi su alcuni temi «caldi» per
il settore, senza avere ovviamente la pretesa della completezza.
La predisposizione di Piani agricoli dovrà essere soggetta a Vas, con
indubbi vantaggi se l’individuazione preventiva degli impatti ambientali
consentisse in seguito di alleggerire gli oneri procedurali e documentali
per le singole iniziative degli operatori economici.
La nuova procedura di Via penalizza invece il settore, in quanto riduce i
margini per produrre osservazioni e negoziare modifiche a grandi opere
qualora i loro effetti siano particolarmente negativi.
La normazione sull’uso del suolo provoca, in diversi casi, la perdita di
identità o la scomparsa di organismi fondamentali, quali le Autorità di
bacino, riaccorpati per «distretti idrografici»: ad esempio, nel Nord-est il
nuovo organismo riassorbirà i bacini di Adige, Alto Adriatico, Lemene e
altri, oltre ai bacini regionali friulani e veneti, con buona pace delle
fondamentali differenze esistenti sul ciclo delle risorse idriche e sulle
sue relazioni con le esigenze agricole.
Inoltre questo nuovo soggetto dovrà predisporre piani che programmino
l’utilizzazione delle risorse idriche (e questo era ovvio) ma anche le
risorse agrarie e forestali: in altre parole un ulteriore soggetto che vorrà
condizionare lo sviluppo e le dinamiche del settore.
Relativamente all’uso dell’acqua e all’inquinamento idrico si possono
identificare alcuni aspetti potenzialmente molto importanti. Ad esempio la
definizione di zone vulnerabili da nitrati di origine agricola o da prodotti
fitosanitari sembra più vincolante, avviando l’identificazione di criteri
che dovrebbero condurre a un sistema meno diversificato tra le singole
regioni.
Analoga prospettiva sembra avere la realizzazione di impianti per
acquacoltura, mentre l’utilizzazione agronomica degli effluenti zootecnici
potrebbe trovare una serie di parametri unici in sede nazionale.
Nella riorganizzazione del sistema acque, che avrebbe dovuto tenere conto
anche degli indirizzi previsti dall’ultima direttiva europea, si osserva che
i Consorzi di bonifica e irrigazione non sono considerati in relazione al
servizio generale della bonifica, fornito alla collettività, e non viene
neanche sfiorato il problema degli usi multipli e dei riusi delle acque
d’irrigazione. Mentre, nel caso di scarsità di acqua o siccità, il settore
viene premiato, a mio avviso in modo incomprensibile (a causa della
complessità del problema), come soggetto prioritario per l’uso subito dopo
il consumo umano.
Stando così le cose, si può sperare che il presidente Carlo Azeglio Ciampi,
per il momento, tenga ferma la palla!
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