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Valore dei terreni e tristi presagi |
Il ridimensionamento in atto dei valori fondiari non deve essere
considerato solo in modo pessimistico, ma anche come una possibile premessa
per ampliamenti aziendali in grado di rendere più efficiente l’agricoltura
italiana
La base dell’azienda agricola è il terreno, recitavano i vecchi testi di
economia agraria. Essendone la base, osservando e analizzando l’andamento
dei valori fondiari si possono avere idee abbastanza precise dello stato di
salute delle aziende agricole.
Tali osservazioni sono valide ancora oggi; anche se è vero che da un lato
non tutti i benefici che l’agricoltura produce passano attraverso il mercato
e, quindi, si riflettono nei valori fondiari, dall’altro che questi ultimi
incorporano anche aspettative e interessi che con l’agricoltura hanno poco a
che vedere.
È pur vero che dall’elaborazione dei dati delle informazioni contabili delle
aziende agricole si ricava l’idea che la quota di valore aggiunto agricolo
che va a remunerare il fattore produttivo «terra» continua a diminuire, ma è
altrettanto certo che, in molti casi, è proprio nell’elevato valore degli
appezzamenti che va ricercato uno dei fattori che frenano la ricerca di una
dimensione adeguata da parte delle aziende agricole orientate a realizzare
migliori economie di scala.
Nonostante le caratteristiche del mercato fondiario siano tali da non
consentire una immediata trasposizione dello stato di salute del settore nei
valori dei terreni, non vi è dubbio che fra tali variabili esista una ben
precisa relazione. Infatti, anche se il mercato dei terreni presenta
tipologie che risultano distanti da quelle ideali della concorrenza
perfetta, la capacità di fornire un adeguato reddito agricolo rimane uno dei
fattori che influenzano in maniera decisa i valori fondiari, almeno dei
terreni destinati all’agricoltura.
Del resto, la differenziazione accentuata e crescente nel tempo tra i prezzi
dei terreni situati in aree a diversa altitudine, con differente possibilità
di essere serviti da infrastrutture idonee all’attività agricola, con
diversa specializzazione colturale, sta a dimostrare che, al di là dei
calcoli teorici, il legame tra capacità di garantire reddito e valore del
terreno è forte e indiscusso.
Per tali motivi, il pessimismo di chi vede con preoccupazione, traendone
cattivi auspici per il futuro, la circostanza che negli ultimi due anni il
valore dei terreni agricoli, nella maggior parte dei casi, abbia smesso di
crescere non solo in termini reali, ma a volte, anche a prezzi correnti, non
può essere liquidato con superficialità come eccessivo o non fondato.
Sotto certi punti di vista la situazione ricorda quella venutasi a creare
agli inizi degli anni Novanta con la riforma Mac Sharry. Ora come allora la
nuova riforma entrata in vigore nel 2005 sembra stia determinando un clima
di incertezza e una certa prudenza nel mercato fondiario. Incertezza e
prudenza che si amplificano o diminuiscono a seconda che i terreni oggetto
di trattativa siano dotati o meno dei diritti all’aiuto.
In effetti appare evidente che il diritto all’aiuto assegnato al
coltivatore, anziché ai proprietari dei fondi, dovrebbe avere conseguenze
significative nel contenere il valore dei terreni; al tempo stesso alcune
misure agroambientali dovrebbero portare a rivalutare il valore di terreni
marginali o non altamente produttivi.
Si potrebbe avere allora una situazione per cui la tendenza all’aumento dei
prezzi reali dei terreni, in atto da almeno un decennio, potrebbe invertirsi
per periodi più lunghi di quelli che hanno caratterizzato gli aggiustamenti
conseguenti alla riforma Mac Sharry.
Certamente tale ridimensionamento sarà meno accentuato per colture intensive
ad alto reddito, come i vigneti per i quali l’effetto denominazione
d’origine può compensare, in tutto o in parte, le riduzioni nei valori
fondiari conseguenti ad altre cause.
Se così sarà e l’attuale stasi nell’evoluzione dei valori fondiari per i
terreni agricoli continuerà anche per i prossimi anni, forse, si potrebbe
verificare ancora una volta la validità del vecchio detto per cui non tutti
i mali vengono per nuocere. Infatti, un ridimensionamento dei valori
fondiari potrebbe costituire la premessa per quell’opera di accorpamento e
ampliamento della maglia aziendale che costituisce, a mio modo di vedere, il
problema più urgente per arrivare a un ammodernamento effettivo
dell’agricoltura italiana.
Perché ciò sia possibile è, tuttavia, necessario che si verifichino altre
due condizioni. La prima relativa alla messa in atto di adeguati strumenti
di politica agricola, ivi compresa un’opportuna rimodulazione dello
strumento fiscale. La seconda relativa al mantenimento della fiducia nel
futuro e nel ruolo dell’agricoltura nel mondo moderno da parte dei giovani
agricoltori.
Se relativamente a quest’ultimo aspetto si può essere fiduciosi, in
relazione al primo è lecito avere qualche dubbio in più.
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