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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
   
13
 24-30 Mar.

  2006
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Editoriale

Vino, un prodotto da comunicare di più e meglio
Gabriele Canali

Una semplificazione ragionata dei nomi e delle specificazioni, «mirando» le risorse disponibili per la promozione sugli elementi di volta in volta ritenuti più significativi, potrebbe sostenere in modo più incisivo le ambizioni commerciali di molti nostri prodotti   

Il settore vinicolo non manca certo di immaginazione e di varietà quanto a nomi di vini, denominazioni, indicazioni, marchi, ecc.: si va dai più diversi e impensabili nomi di fantasia a famose denominazioni storiche, da marchi di cantine di grande notorietà a quelli di realtà pressoché sconosciute.
In questo contesto non è superfluo interrogarsi per capire se tale grandissima varietà sia utile o non possa rappresentare, in molti casi, un fattore di scarsa trasparenza e di incertezza agli occhi dei consumatori.
Il «nome-marchio» con il quale un determinato vino viene identificato, infatti, è particolarmente importante soprattutto in un’ottica di comunicazione efficace e chiara nei confronti del consumatore finale. è vero che esso non è l’unico strumento per comunicare: in questo comparto, come in altri, la percezione finale del cliente dipende molto anche dalla confezione nel suo insieme (tipo di bottiglia, tappo, etichetta, eventuale contenitore, eventuali documenti allegati, ecc.), come pure dal canale commerciale utilizzato e dal prezzo praticato (tra l’altro).
Il consumatore finale è particolarmente interessato a ottenere, grazie al nome o al marchio del prodotto, un insieme di informazioni chiare e coerenti sulle caratteristiche di ciò che acquista. Per questa ragione le doc e le docg devono poter rappresentare con chiarezza un prodotto con caratteristiche di base sufficientemente coerenti e condivise. Quando nell’ambito della stessa denominazione si trovano prodotti visibilmente e significativamente differenti per alcune caratteristiche importanti agli occhi del consumatore, si corre il rischio di svuotare sostanzialmente di contenuto informativo la denominazione e quindi di perderne in buona parte anche il valore economico. Con ciò non voglio certo sostenere che non vi possa essere uno spazio importantissimo per le differenziazioni anche nell’ambito delle stesse denominazioni: il punto è nel contenuto informativo che la stessa deve mantenere.
è pure vero che la dinamica tra ruolo delle denominazioni e ruolo del marchio aziendale dipende molto dalle possibilità di differenziazione offerte dal vino specifico, dal suo livello qualitativo medio percepito dai consumatori, come pure dalla struttura del sistema produttivo. La presenza di un elevato numero di produttori relativamente piccoli nell’ambito di un determinato contesto locale, ad esempio, tende a rendere decisamente meno significativo, in genere, il marchio aziendale rispetto alla denominazione. D’altro canto, la presenza di vini percepiti come di grande pregio da parte dei consumatori, e quindi di alto prezzo, si presta maggiormente e più opportunamente a strategie di differenziazione più spinte. Si tratta di trovare, in altri termini, il giusto equilibrio tra le due diverse modalità di identificazione, soprattutto nell’ambito delle strategie di comunicazione.
Vi sono casi evidenti nei quali è la denominazione, e semmai il territorio a essa strettamente collegato, a dover ricoprire il ruolo centrale della comunicazione, specie se la struttura produttiva è frammentata. D’altro canto proprio la forte frammentazione produttiva è ancora uno dei principali punti di debolezza del comparto vinicolo italiano.
In questi casi, spesso, il marchio proprio non è in grado di aggiungere e assicurare un premio di prezzo rispetto alla concorrenza, né permette un più facile accesso agli sbocchi commerciali (si pensi alla gdo) e ai mercati. La sua importanza è limitata, di solito, esclusivamente al mercato locale. In questi casi è evidente che la doc può rappresentare, se vi sono le necessarie coerenze tra caratteristiche qualitative e prezzo, lo strumento ancora più importante per difendere la propria posizione sul mercato. In questo caso la doc può anche rappresentare una specie di garanzia almeno su alcuni dei parametri che concorrono a definire, agli occhi dei consumatori, un determinato e apprezzato livello qualitativo.
Anche l’eccessiva proliferazione di doc, quindi, può essere negativa se il contesto produttivo di riferimento non ha le dimensioni o le potenzialità qualitative per poter puntare al raggiungimento di una presenza commerciale significativa dal punto di vista economico. Ottenere una denominazione, infatti, così come applicare un «bel nome» a un vino mediocre, non può certo bastare per costruire un successo commerciale. Al contrario, il più delle volte si potrebbe comunicare di più e meglio al consumatore finale se si procedesse a una semplificazione coerente e motivata nella «giungla» dei nomi e delle specificazioni, e soprattutto se le risorse per la comunicazione fossero adeguatamente centrate sugli elementi di identificazione di volta in volta più importanti.

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