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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
12
 23 - 29 Mar.

  2007
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Speciale Fieragricola 2006

Un piano strategico per il vino italiano?


Intervista a Eugenio Pomarici, Economista - Università di Napoli Federico II
Con un confronto sistematico di esperti, servendosi di un metodo idoneo, si potrebbe fare emergere una visione approfondita del mercato del vino utile a fondare le strategie individuali e di filiera per i prossimi anni

 

Il mercato del vino visto dal punto di vista dell’Italia sta mostrando alcuni segnali positivi. Le esportazioni dal 2003 stanno crescendo stabilmente sia in valore sia in volume; recentemente i prezzi all’origine dei vini hanno mostrato un’importante ripresa e i consumi interni, benché difficili da valutare nelle loro variazioni congiunturali sembrano stabilizzati dopo una lunga contrazione. Ciò nonostante il quadro generale del mercato non può essere considerato tranquillizzante. È ben noto che la nuova espansione sui mercati esteri è avvenuta al prezzo di importanti investimenti in comunicazione e distribuzione che hanno drasticamente compresso la redditività e che la competizione internazionale è comunque molto intensa; peraltro le possibili strategie di espansione nel settore vinicolo delle grandi imprese anche multinazionali che operano in altri settori delle bevande potranno determinare una forte instabilità della struttura dell’arena competitiva. L’evoluzione dei consumi appare poi legata alla dinamica di modelli di comportamento la cui evoluzione non è ovvia e che appaiono potenzialmente influenzabili, da un lato, dal crescente interesse per il vino come elemento positivo per il benessere fisico e per una armoniosa socialità e, dall’altro, dall’allarme sociale per gli abusi di alcol.
Per affrontare in modo efficace l’evoluzione del mercato alcuni Paesi produttori hanno realizzato dei documenti simili a dei piani strategici in modo da orientare le azioni dei singoli e quelle dei soggetti pubblici che operano nella filiera vitivinicola.
Abbiamo perciò chiesto a Eugenio Pomarici, che si occupa di studi sull’economia del vino presso il Dipartimento di economia e politica agraria dell’Università di Napoli Federico II, una riflessione sull’opportunità di avere un piano strategico per il settore vitivinicolo italiano anche in Italia.
Un piano strategico sarebbe utile anche per il settore vitivinicolo italiano? Lei cosa ne pensa?
Il successo dell’Australia è stato visto come il risultato di un approccio strategico al mercato e questo ha determinato un legittimo interesse per percorsi di questo tipo che prevedono, in primo luogo, la condivisione di un’analisi e interpretazione dello scenario competitivo e quindi la condivisione di linee di azione definite in modo più o meno analitico. Sull’esempio dell’Australia, Paesi come Nuova Zelanda, Portogallo e Argentina si sono dotati di documenti che possono essere definiti di tipo strategico, realizzati con procedure molto diverse, ma che non hanno sempre determinato, per quanto se ne sa, livelli elevati di soddisfazione.
Venendo, quindi, alla domanda sull’utilità di un piano strategico per il settore vitivinicolo italiano posso dire che la risposta dipende da cosa si vuole intendere per piano strategico. Se a questo termine di dà l’accezione propria delle imprese private, allora la risposta deve essere negativa perché la sua applicazione implicherebbe un’unità decisionale che, ovviamente, non esiste a livello di filiera.
Potrebbe, invece, essere molto utile qualcosa come un «Documento di riflessione strategica», che offra agli operatori una lettura approfondita del contesto competitivo che caratterizza il mercato del vino e una visione delle prospettive generali di questo contesto.
Ma in termini operativi, quale sarebbe l’utilità di un documento di questo genere?
Questo documento potrebbe diventare un supporto alle decisioni indipendenti di tutti gli attori della filiera nella costruzione delle proprie strategie individuali e potrebbe fornire un utile quadro di riferimento per le decisioni collettive degli attori privati e per quelle della Pubblica amministrazione.
Un documento come quello al quale lei pensa sarebbe realizzabile in Italia, posto che la filiera appare molto divisa e su qualunque argomento sembrano esserci opinioni diverse?
La filiera, certo, è molto articolata perché siamo un grande Paese vitivinicolo. La superficie vitata italiana è quasi cinque volte quella australiana ed è quindi ovvio che in un sistema tanto grande, e con un radicamento nella tradizione alimentare e sociale tanto profondo, si trovi una maggiore articolazione rispetto a quanto si osserva nei Paesi del Nuovo mondo.
L’articolazione del sistema imprenditoriale e anche amministrativo facilita l’emergere di opinioni diverse e talvolta di conflitti. Tutto ciò, comunque, avviene anche in altri Paesi e si può considerare in buona parte fisiologico. La mancata composizione di certe divergenze appare spesso, peraltro, la conseguenza dell’assenza di un processo sistematico di confronto tra i soggetti della filiera che faciliti la costruzione di visioni condivise. Si ha spesso la sensazione che non manchino le occasioni di confronto ma che queste, soprattutto per una questione di metodo, non portino al progressivo sviluppo di un’interpretazione comune del mercato e dei possibili percorsi di evoluzione della filiera. Ciò nonostante, la realizzazione di un documento di riflessione strategica per il vino italiano potrebbe contare su numerosi punti di forza.
Quali sarebbero questi punti di forza?
Nel settore vitivinicolo italiano sono ormai stratificate grandi esperienze imprenditoriali in tutti i mercati, sia in quelli che tendiamo a considerare specifici del sistema del Vecchio mondo, ossia quelli delle imprese medio-piccole integrate e specializzate nei vini di alta gamma a forte tipicità, sia in quelli dei vini che, senza complessi, vanno definiti di largo consumo. Grande esperienza è poi accumulata nel sistema amministrativo e in quello della ricerca; ambedue questi sistemi appaiono, peraltro, ormai fortemente interconnessi con reti internazionali che facilitano lo scambio di informazioni e competenze.
Posto che un documento di riflessione strategica sarebbe utile e che non mancano le condizioni generali per realizzarlo, cosa servirebbe in concreto?
Serve innanzi tutto che maturi nella filiera vitivinicola, e soprattutto nella sua componente imprenditoriale, un convincimento sull’utilità di pervenire a un documento di questo genere. Questo è essenziale perché la sua costruzione richiede la sintesi dell’esperienza e degli elementi di conoscenza degli operatori della filiera stessa e, quindi, è necessario il loro coinvolgimento. In Portogallo si affidò la stesura di un piano strategico per il settore vitivinicolo allo studioso di strategie più famoso del mondo, Michael Porter, ma il suo lavoro solitario non sembra avere lasciato tracce.
Naturalmente, affinché l’esperienza e la conoscenza di tanti si trasformi in una visione condivisa della realtà e che questo porti a individuare delle ipotesi di linee di azione logicamente fondate è necessario un metodo efficace. Rispetto a questo punto, probabilmente, non esistono vie maestre ma delle esperienze interessanti.
Il panorama della ricerca e della pratica cosa mostra?
Diversi studiosi hanno sviluppato dei metodi per giungere a un giudizio razionalmente fondato in tutti i casi nei quali la previsione del futuro non può basarsi sull’applicazione di leggi meccanicistiche, come è tipicamente il caso delle previsioni sull’evoluzione del mercato. Questi metodi operano confrontando la conoscenza dei fenomeni posseduta da esperti attraverso un processo dialettico che, in generale, consente a ciascun esperto di conoscere le intuizioni e ipotesi degli altri e quindi, eventualmente, di modificare le proprie. Questo al fine di fare emergere un’interpretazione il più possibile condivisa del contesto nell’ambito del quale debbono essere prese delle decisioni e, quindi, una visione delle migliori possibili azioni da intraprendere dato il contesto e la sua possibile evoluzione che non è basata sulla pura speculazione ma su una valutazione probabilistica frutto, tendenzialmente, di tutta la conoscenza disponibile.
Nel campo dell’economia, per esempio, negli anni 50 è stato sviluppato il metodo Delphi e, più recentemente, il metodo SYSPAHMM che ha avuto un’applicazione alla filiera vitivinicola francese (vedi riquadro).
Entrambi questi metodi, se applicati al problema dello sviluppo della competitività della filiera vitivinicola italiana, potrebbero consentire un processo sistematico di confronto tra esperti che potrebbe portare a tre importanti risultati: alla composizione di un quadro articolato del mercato del vino e della posizione competitiva degli operatori italiani nei diversi segmenti; a una previsione delle prevedibili trasformazioni cui andranno incontro i diversi segmenti, delle implicazioni istituzionali che queste trasformazioni potranno avere e dei fattori di successo chiave nelle condotte di impresa che, sempre nei diversi segmenti, potranno diventare determinanti; a una definizione delle strategie ottimali nei diversi segmenti da parte delle singole imprese, delle possibili forme di integrazione di impresa e delle azioni opportune da parte della Pubblica amministrazione sia sul piano regolamentare sia su quello delle azioni di supporto al settore in termini di finanziamenti, azioni di comunicazione collettiva, attività di ricerca, offerta di servizi reali.
Che differenze ci sono, in sintesi, tra i due metodi?
I due metodi hanno la stessa impostazione logica ma una diversa impostazione operativa. Nel metodo Delphi tutti gli esperti, senza distinzioni, giocano un ruolo molto creativo, essendo chiamati direttamente a contribuire a comporre l’analisi dello scenario presente e delle prospettive future con un team di ricercatori che svolge un ruolo principalmente di mediazione.
Nel metodo SYSPAHMM si ha un sistema gerarchico. Una pattuglia ristretta di esperti, provenienti da mondo operativo o della ricerca, svolge il lavoro creativo di composizione degli scenari presenti e della loro possibile evoluzione e attiva un processo di verifica con una gruppo più vasto di esperti esterni al nucleo centrale.
Analizzando i risultati ottenuti con i due metodi si può osservare che il metodo SYSPAHMM ha portato, sopratutto nell’applicazione al vino, a una forte sofisticazione delle analisi del presente e del futuro con conseguenti problemi di comprensione dei risultati da parte delle comunità degli attori delle filiere studiate. Il metodo Delphi sembra invece che porti, talvolta, a problemi opposti, perché le analisi che si ottengono appaiono troppo generali. Questo, però, vale per il passato.
Il ruolo dei ricercatori e degli esperti che animano queste ricerche è fondamentale e, pertanto, ottimi risultati potrebbero essere ottenuti con entrambi i metodi.
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Clementina Palese



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