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Intervista a Eugenio Pomarici, Economista - Università di Napoli
Federico II
Con un confronto sistematico di esperti, servendosi di un metodo idoneo,
si potrebbe fare emergere una visione approfondita del mercato del vino
utile a fondare le strategie individuali e di filiera per i prossimi
anni
Il mercato del vino visto dal punto di vista dell’Italia sta
mostrando alcuni segnali positivi. Le esportazioni dal 2003 stanno
crescendo stabilmente sia in valore sia in volume; recentemente i prezzi
all’origine dei vini hanno mostrato un’importante ripresa e i consumi
interni, benché difficili da valutare nelle loro variazioni
congiunturali sembrano stabilizzati dopo una lunga contrazione. Ciò
nonostante il quadro generale del mercato non può essere considerato
tranquillizzante. È ben noto che la nuova espansione sui mercati esteri
è avvenuta al prezzo di importanti investimenti in comunicazione e
distribuzione che hanno drasticamente compresso la redditività e che la
competizione internazionale è comunque molto intensa; peraltro le
possibili strategie di espansione nel settore vinicolo delle grandi
imprese anche multinazionali che operano in altri settori delle bevande
potranno determinare una forte instabilità della struttura dell’arena
competitiva. L’evoluzione dei consumi appare poi legata alla dinamica di
modelli di comportamento la cui evoluzione non è ovvia e che appaiono
potenzialmente influenzabili, da un lato, dal crescente interesse per il
vino come elemento positivo per il benessere fisico e per una armoniosa
socialità e, dall’altro, dall’allarme sociale per gli abusi di alcol.
Per affrontare in modo efficace l’evoluzione del mercato alcuni Paesi
produttori hanno realizzato dei documenti simili a dei piani strategici
in modo da orientare le azioni dei singoli e quelle dei soggetti
pubblici che operano nella filiera vitivinicola.
Abbiamo perciò chiesto a Eugenio Pomarici, che si occupa di studi
sull’economia del vino presso il Dipartimento di economia e politica
agraria dell’Università di Napoli Federico II, una riflessione
sull’opportunità di avere un piano strategico per il settore
vitivinicolo italiano anche in Italia.
Un piano strategico sarebbe utile anche per il settore
vitivinicolo italiano? Lei cosa ne pensa?
Il successo dell’Australia è stato visto come il risultato di un
approccio strategico al mercato e questo ha determinato un legittimo
interesse per percorsi di questo tipo che prevedono, in primo luogo, la
condivisione di un’analisi e interpretazione dello scenario competitivo
e quindi la condivisione di linee di azione definite in modo più o meno
analitico. Sull’esempio dell’Australia, Paesi come Nuova Zelanda,
Portogallo e Argentina si sono dotati di documenti che possono essere
definiti di tipo strategico, realizzati con procedure molto diverse, ma
che non hanno sempre determinato, per quanto se ne sa, livelli elevati
di soddisfazione.
Venendo, quindi, alla domanda sull’utilità di un piano strategico per il
settore vitivinicolo italiano posso dire che la risposta dipende da cosa
si vuole intendere per piano strategico. Se a questo termine di dà
l’accezione propria delle imprese private, allora la risposta deve
essere negativa perché la sua applicazione implicherebbe un’unità
decisionale che, ovviamente, non esiste a livello di filiera.
Potrebbe, invece, essere molto utile qualcosa come un «Documento di
riflessione strategica», che offra agli operatori una lettura
approfondita del contesto competitivo che caratterizza il mercato del
vino e una visione delle prospettive generali di questo contesto.
Ma in termini operativi, quale sarebbe l’utilità di un documento
di questo genere?
Questo documento potrebbe diventare un supporto alle decisioni
indipendenti di tutti gli attori della filiera nella costruzione delle
proprie strategie individuali e potrebbe fornire un utile quadro di
riferimento per le decisioni collettive degli attori privati e per
quelle della Pubblica amministrazione.
Un documento come quello al quale lei pensa sarebbe realizzabile
in Italia, posto che la filiera appare molto divisa e su qualunque
argomento sembrano esserci opinioni diverse?
La filiera, certo, è molto articolata perché siamo un grande Paese
vitivinicolo. La superficie vitata italiana è quasi cinque volte quella
australiana ed è quindi ovvio che in un sistema tanto grande, e con un
radicamento nella tradizione alimentare e sociale tanto profondo, si
trovi una maggiore articolazione rispetto a quanto si osserva nei Paesi
del Nuovo mondo.
L’articolazione del sistema imprenditoriale e anche amministrativo
facilita l’emergere di opinioni diverse e talvolta di conflitti. Tutto
ciò, comunque, avviene anche in altri Paesi e si può considerare in
buona parte fisiologico. La mancata composizione di certe divergenze
appare spesso, peraltro, la conseguenza dell’assenza di un processo
sistematico di confronto tra i soggetti della filiera che faciliti la
costruzione di visioni condivise. Si ha spesso la sensazione che non
manchino le occasioni di confronto ma che queste, soprattutto per una
questione di metodo, non portino al progressivo sviluppo di
un’interpretazione comune del mercato e dei possibili percorsi di
evoluzione della filiera. Ciò nonostante, la realizzazione di un
documento di riflessione strategica per il vino italiano potrebbe
contare su numerosi punti di forza.
Quali sarebbero questi punti di forza?
Nel settore vitivinicolo italiano sono ormai stratificate grandi
esperienze imprenditoriali in tutti i mercati, sia in quelli che
tendiamo a considerare specifici del sistema del Vecchio mondo, ossia
quelli delle imprese medio-piccole integrate e specializzate nei vini di
alta gamma a forte tipicità, sia in quelli dei vini che, senza
complessi, vanno definiti di largo consumo. Grande esperienza è poi
accumulata nel sistema amministrativo e in quello della ricerca; ambedue
questi sistemi appaiono, peraltro, ormai fortemente interconnessi con
reti internazionali che facilitano lo scambio di informazioni e
competenze.
Posto che un documento di riflessione strategica sarebbe utile e
che non mancano le condizioni generali per realizzarlo, cosa servirebbe
in concreto?
Serve innanzi tutto che maturi nella filiera vitivinicola, e soprattutto
nella sua componente imprenditoriale, un convincimento sull’utilità di
pervenire a un documento di questo genere. Questo è essenziale perché la
sua costruzione richiede la sintesi dell’esperienza e degli elementi di
conoscenza degli operatori della filiera stessa e, quindi, è necessario
il loro coinvolgimento. In Portogallo si affidò la stesura di un piano
strategico per il settore vitivinicolo allo studioso di strategie più
famoso del mondo, Michael Porter, ma il suo lavoro solitario non sembra
avere lasciato tracce.
Naturalmente, affinché l’esperienza e la conoscenza di tanti si
trasformi in una visione condivisa della realtà e che questo porti a
individuare delle ipotesi di linee di azione logicamente fondate è
necessario un metodo efficace. Rispetto a questo punto, probabilmente,
non esistono vie maestre ma delle esperienze interessanti.
Il panorama della ricerca e della pratica cosa mostra?
Diversi studiosi hanno sviluppato dei metodi per giungere a un giudizio
razionalmente fondato in tutti i casi nei quali la previsione del futuro
non può basarsi sull’applicazione di leggi meccanicistiche, come è
tipicamente il caso delle previsioni sull’evoluzione del mercato. Questi
metodi operano confrontando la conoscenza dei fenomeni posseduta da
esperti attraverso un processo dialettico che, in generale, consente a
ciascun esperto di conoscere le intuizioni e ipotesi degli altri e
quindi, eventualmente, di modificare le proprie. Questo al fine di fare
emergere un’interpretazione il più possibile condivisa del contesto
nell’ambito del quale debbono essere prese delle decisioni e, quindi,
una visione delle migliori possibili azioni da intraprendere dato il
contesto e la sua possibile evoluzione che non è basata sulla pura
speculazione ma su una valutazione probabilistica frutto,
tendenzialmente, di tutta la conoscenza disponibile.
Nel campo dell’economia, per esempio, negli anni 50 è stato sviluppato
il metodo Delphi e, più recentemente, il metodo SYSPAHMM che ha avuto
un’applicazione alla filiera vitivinicola francese (vedi riquadro).
Entrambi questi metodi, se applicati al problema dello sviluppo della
competitività della filiera vitivinicola italiana, potrebbero consentire
un processo sistematico di confronto tra esperti che potrebbe portare a
tre importanti risultati: alla composizione di un quadro articolato del
mercato del vino e della posizione competitiva degli operatori italiani
nei diversi segmenti; a una previsione delle prevedibili trasformazioni
cui andranno incontro i diversi segmenti, delle implicazioni
istituzionali che queste trasformazioni potranno avere e dei fattori di
successo chiave nelle condotte di impresa che, sempre nei diversi
segmenti, potranno diventare determinanti; a una definizione delle
strategie ottimali nei diversi segmenti da parte delle singole imprese,
delle possibili forme di integrazione di impresa e delle azioni
opportune da parte della Pubblica amministrazione sia sul piano
regolamentare sia su quello delle azioni di supporto al settore in
termini di finanziamenti, azioni di comunicazione collettiva, attività
di ricerca, offerta di servizi reali.
Che differenze ci sono, in sintesi, tra i due metodi?
I due metodi hanno la stessa impostazione logica ma una diversa
impostazione operativa. Nel metodo Delphi tutti gli esperti, senza
distinzioni, giocano un ruolo molto creativo, essendo chiamati
direttamente a contribuire a comporre l’analisi dello scenario presente
e delle prospettive future con un team di ricercatori che svolge un
ruolo principalmente di mediazione.
Nel metodo SYSPAHMM si ha un sistema gerarchico. Una pattuglia ristretta
di esperti, provenienti da mondo operativo o della ricerca, svolge il
lavoro creativo di composizione degli scenari presenti e della loro
possibile evoluzione e attiva un processo di verifica con una gruppo più
vasto di esperti esterni al nucleo centrale.
Analizzando i risultati ottenuti con i due metodi si può osservare che
il metodo SYSPAHMM ha portato, sopratutto nell’applicazione al vino, a
una forte sofisticazione delle analisi del presente e del futuro con
conseguenti problemi di comprensione dei risultati da parte delle
comunità degli attori delle filiere studiate. Il metodo Delphi sembra
invece che porti, talvolta, a problemi opposti, perché le analisi che si
ottengono appaiono troppo generali. Questo, però, vale per il passato.
Il ruolo dei ricercatori e degli esperti che animano queste ricerche è
fondamentale e, pertanto, ottimi risultati potrebbero essere ottenuti
con entrambi i metodi.
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