POLITICA |
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Diamo più risorse alle op ortofrutticole |
Intervista a Fabrizio Marzano di Unaproa
Bisogna rafforzare il ruolo delle organizzazioni di produttori ed è quindi
fondamentale che l’Italia non si veda ridotto il budget finanziario.
Difficile crescita per le op più grandi e strutturate
La partita sull’ocm ortofrutta che si sta giocando a Bruxelles tocca in modo
importante gli interessi italiani nel settore, in particolare quelli
rappresentati dall’Unaproa che è il più grande sistema aggregato d’Europa,
con 145 organizzazioni di produttori associate e un investimento annuale di
oltre 200 milioni di euro per la realizzazione dei programmi operativi.
Le op sono state riconosciute come la figura protagonista del processo di
riforma dell’ocm, cioè lo strumento per far crescere ulteriormente il mondo
dell’ortofrutta, tiene a sottolineare il presidente di Unaproa, Fabrizio
Marzano, al quale abbiamo chiesto un giudizio sulle prime risultanze del
Tavolo agroalimentare e sugli obiettivi elencati nel documento del ministro
Paolo De Castro ritenuti strategici per il nostro Paese.
Presidente, primo obiettivo per De Castro è il consolidamento delle
risorse finanziarie destinate all’Italia. Corriamo il rischio di vederci
ridurre le assegnazioni?
Certo, ma vorrei prima fare una premessa. Noi condividiamo l’impianto della
riforma e la visione delle op come elemento centrale per aggregare
l’offerta. Siamo anche consapevoli dell’importanza dei nuovi ruoli che l’ocm
intende affidare alle op, primo fra tutti quello di evitare e, se del caso,
gestire le crisi di mercato, ma abbiamo due preoccupazioni: la prima è che
non si può chiedere al settore ortofrutticolo una riforma nel rispetto del
principio dell’invarianza di bilancio quando vi sono settori molto meno
rappresentativi del nostro, in termini di valore complessivo
sull’agricoltura comunitaria, che ricevono sostegni in termini percentuali
di gran lunga superiori ai nostri. Penso, ad esempio, al settore
cerealicolo. Bisogna allora che venga avviato un processo di riequilibrio
distributivo delle risorse a livello comunitario, perché altrimenti si
cristallizzano situazioni di privilegio che sono inaccettabili.
Seconda preoccupazione, legata alla prima, è che non è vero nemmeno che la
riforma ipotizzata rispetta l’invarianza di bilancio, perché con
l’applicazione del disaccoppiamento, l’eliminazione delle restituzioni
all’esportazione e l’abolizione dei ritiri dal mercato, a conti fatti dal
budget italiano spariranno circa 50 milioni di euro. Bene ha fatto allora il
ministro De Castro a mettere come primo obiettivo che al nostro Paese non
vengano sottratte risorse.
A proposito di ritiri dal mercato, al secondo punto si parla, forse in
modo un po’ vago, di «uno strumento idoneo per la gestione delle crisi». Che
significa?
Poiché, come ho detto, la gestione delle crisi di mercato sarà affidata in
modo esclusivo alle organizzazioni dei produttori senza che questa funzione
sia stata accompagnata da un aumento del massimale d’aiuto al fondo
d’esercizio, è opportuno chiedere che venga creato un apposito plafond
finanziario per questo scopo. Servono insomma una gestione separata e un
contributo comunitario ad hoc per questa funzione.
Veniamo al disaccoppiamento totale degli aiuti al pomodoro, un tema
delicato su cui si registra una profonda divergenza di opinioni.
Su questo argomento mi pare giusto sottolineare, prima di tutto, che i
diritti dei produttori di pomodoro non sono in discussione. Ad esempio, le
op che fanno capo all’Unaproa hanno sempre regolarmente «girato» il premio
ai produttori di pomodoro senza alcuna trattenuta, facendosi esclusivamente
tramite nei rapporti con l’industria di trasformazione. Ora, il
disaccoppiamento totale degli aiuti è una misura su cui siamo d’accordo,
siamo cioè d’accordo sul principio che al produttore vada riconosciuto tutto
l’aiuto (per l’Italia si tratta di 180 milioni di euro erogati dalle casse
comunitarie), ma siamo anche consapevoli che è importante considerare «come»
si arriverà a riconoscere questo diritto. In altre parole sembra opportuno
che si studi il modo di riconoscere il diritto al produttore in modo
«morbido» e tale da evitare di destabilizzare in profondità una filiera
nella quale l’Italia è leader al mondo.
Qual è la posizione dell’Unaproa sulla possibilità di concedere la
coltivazione di ortofrutticoli anche su terreni ammessi a contributi pac?
Siamo totalmente contrari. Mi sembra una cosa vergognosa e per la quale va
previsto un qualche «risarcimento» ai produttori ortofrutticoli diciamo così
«storici», che magari arrivi sotto forma di diritti pac aggiuntivi prelevati
dalla riserva nazionale. Posso solo dire che ci batteremo per il migliore
risultato possibile per il settore ortofrutticolo.
Tra gli obiettivi strategici elencati dal ministro vi è anche quello
di rafforzare il ruolo delle op.
A livello generale è senz’altro auspicabile che le op si rafforzino, dato
che l’ocm affida loro il compito di avvicinare la produzione al mercato.
Tutto l’impianto normativo attuale è favorevole ai Paesi, o a quelle aree,
dove l’aggregazione dei produttori è molto bassa o inesistente.
Va rilevato invece che non è stato minimamente considerato il ruolo di chi
in questi anni è cresciuto e vorrebbe ora crescere ancora. È il caso di
molte delle op di Unaproa che, ad esempio, oggi avrebbero una capacità di
spesa anche superiore a quella inserita nei programmi operativi. Con il
tetto dell’aiuto finanziario Ue fermo al 4,1% della produzione
commercializzata, invece, accade che chi fino a oggi è stato bravo ed è
cresciuto affermandosi sul mercato, realizzando quindi l’obiettivo primario
dell’ocm, ora è costretto a fermarsi ad aspettare gli altri che sono più
indietro in questo percorso.
Trovo che questa specie di barriera alla crescita per le op più grandi e
organizzate andrebbe rimossa e, anzi, che dovrebbe essere incentivato un
ulteriore salto di qualità di tali strutture, favorendo ad esempio processi
di innovazione e servizi al prodotto sempre più in linea con le richieste
del mondo commerciale al quale dobbiamo rapportarci.
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