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I biocarburanti e la filiera forte che non c’è |
Nel nostro Paese è stato definito il quadro giuridico e fiscale per
promuovere le coltivazioni a uso energetico, ma non si sono ancora
realizzate le condizioni perché ciò avvenga. Manca un comparto industriale
che ne traini lo sviluppo
Vi è grande disordine sotto il cielo, tutto è propizio». Grosso modo, se
ricordo bene, questa è un vecchia massima del presidente Mao, che di
rivoluzioni se ne intendeva. A nostro avviso questa è la situazione della
agricoltura italiana, e di parte di quella europea. Che vi sia «disordine» è
certo: i redditi sono calati, i valori dei terreni pure e in modo rilevante.
Molte aziende chiudono e si allarga la superficie media. Così dice l’Istat
nelle recenti rilevazioni.
«Finalmente» diranno gli statistici, stanchi di ripetere che abbiamo le
aziende agricole più piccole dei Paesi industrializzati.
Come spesso capita, nella storia non sono i provvedimenti economici (vedi il
famoso «secondo pilastro»), ma la falce messoria a sistemare le cose. Se
così fosse vi sarebbe solo da piangere; invece il quadro fortuitamente è più
complesso e in movimento. Nessuno aveva previsto un aumento del prezzo dei
cereali come vi è stato e che ancora non dà segni di debolezza.
Pochi giorni fa, il primo canale della televisione francese, in concomitanza
del Salone dell’agricoltura, a ora di cena, magnificava questo aumento
imputandolo alla grande richiesta mondiale di cereali a uso energetico
«sostenibile», in particolare il bioetanolo, ovvero l’alcol ottenuto da
prodotti vegetali.
Magari fosse vero, perché vorrebbe dire che sono finite le vacche magre per
i cerealicoltori; si tornerebbe ai tempi eroici degli acquisti massicci di
frumento dalla Russia, ai tempi del giovane Serafino Ferruzzi.
Gran parte del bioetanolo è, però, fabbricato in Brasile dalla canna da
zucchero. Dal mais solo negli Usa.
Oltre tutto la canna da zucchero ha una produttività doppia di alcol per
ettaro rispetto al mais. Le analisi sono pertanto molto contraddittorie, ma
resta il fatto che i prezzi dei cereali sono in tensione, non vi sono
accenni di calo se non congiunturali e questo fa ben sperare.
La bioenergia è indubbiamente una valenza forte che si prospetta per
l’agricoltura mondiale.
L’Unione Europea, pur approvando senza condizioni una strategia per i
biocarburanti, nel suo rapporto della Commissione del 2006 sottolinea come
il bioetanolo diventi interessante solo con il costo del petrolio a 90 euro
al barile, meno per il biodiesel. I brasiliani si ritengono però soddisfatti
già agli attuali livelli.
Intanto anche in Europa vanno avanti gli studi e le esperienze per i
biocarburanti di seconda generazione, processi che sfruttano le biomasse
lignocellulosiche e anche questa è una cosa da tenere d’occhio. La realtà è
dunque in evoluzione.
Al di là della concorrenza economica del petrolio con le bioenergie, resta
il dato citato dalla Commissione, che dice: «Il 21% delle emissioni di gas
serra nell’atmosfera è causato dai trasporti». Questo elemento non discusso
modifica l’aspetto puramente economico del problema.
Al momento nell’Ue e anche in Italia esistono le condizioni giuridiche e
fiscali per promuovere i biocarburanti. Nella Finanziaria vi sono gli
estremi di sgravi fiscali, ma soprattutto l’obbligo di incorporazione dei
biocarburanti nella benzina.
L’Ue, inoltre, concede 45 euro/ha per le colture energetiche. Cose note.
Serviranno per far decollare il bioetanolo o il biodiesel?
Al momento non ne vediamo però le condizioni. Lo ammettiamo, è
un’affermazione contraddittoria rispetto all’aspetto positivo delle altre
considerazioni. Mancano ancora molti elementi. Per il mais vi sono poche
aree disponibili; al momento solo in poche zone è possibile una coltura con
poca acqua, quella irrigua è economicamente insostenibile, tranne forse in
poche fortunate province venete e lombarde.
Ma a questo si può rimediare, gli agricoltori hanno mille capacità.
Il punto è l’assenza di una filiera forte. Non esiste un gruppo industriale
a livello italiano che prenda in mano il pallino. Dovevano farlo le
industrie dello zucchero, ma fanno orecchie da mercante.
Proviamo a pregare l’Eni (ha le forze, la capacità di acquisire in
pochissimo tempo le tecnologie) o qualche gruppo cooperativo serio; a
Bologna ve ne è uno, ma il Governo dovrebbe dare una mano per gli
investimenti.
Le microimprese non sono adatte a fare carburanti.
Concludendo, con un po’ di fortuna qualcosa di positivo può avvenire. O si
produce bioetanolo o ci si accontenta della tensione sui prezzi data dalle
attività altrui, e poi non dimentichiamoci la domanda di cereali e soia dei
grandi Paesi asiatici che ci sarà in futuro. Ne riparleremo.
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