POLITICA |
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Diana: «Aiuti pac solo sopra i 1.000 euro» |
Intervista al presidente dell’Anga
La proposta di una soglia minima per l’erogazione del sostegno
comunitario intende spingere verso la necessaria crescita dimensionale delle
imprese. Polizze multirischio e polizze reddito possono dare maggiori
garanzie ai redditi agricoli
Basta un solo dato per far capire l’urgenza delle politiche a favore dei
giovani agricoltori nel nostro Paese: in Italia oltre il 60% degli
agricoltori ha più di 55 anni, mentre in Francia più del 60% di essi ha
un’età inferiore a 55 anni. Abbiamo chiesto perciò al presidente
dell’Associazione nazionale giovani agricoltori (Anga), Gerardo Diana, come
fronteggiare questa vera e propria emergenza dell’agricoltura italiana.
Presidente Diana, dal vostro recente convegno di Orvieto è emerso che
negli ultimi 10 anni, nonostante il premio di primo insediamento, sono
usciti dal settore agricolo oltre 41.000 giovani. Le elezioni politiche sono
alle porte: quali sono le richieste e i suggerimenti dell’Anga a chi
governerà il Paese per i prossimi 5 anni, per favorire lo svecchiamento
delle imprese del settore?
Il premio di primo insediamento, come i premi di 1.000 o 2.500 euro ai
bambini nuovi nati, sono misure populistiche e a pioggia semplici da
applicare, ma servono a poco. Il punto nodale, nell’uno e nell’altro caso, è
operare scelte strutturali e di ampio respiro, è questa sostanzialmente la
nostra richiesta. Il vero problema non è solo il ricambio generazionale, ma
anche la permanenza e la crescita di giovani imprese agricole nel tessuto
economico del Paese. Vorrei chiedere a chi ci governerà: l’agricoltura serve
o non serve all’Italia? Se è necessaria, la prima politica per i giovani è
quella per le imprese, con aziende efficienti, professionali, capaci di dare
valore aggiunto all’attività in un’ottica di mercato. La superficie deve
crescere assieme alle capacità imprenditoriali, alle nuove opportunità, agli
investimenti strutturali per permettere un più alto capitale tecnico. Il
reddito, poi, è fortemente condizionato da fattori esterni: climatici, di
mercato e finanziari; è importante attivare forme di assicurazione
innovative, così da garantire maggiore stabilizzazione dei redditi agricoli.
Penso all’effettiva applicazione delle polizze multirischio e,
possibilmente, delle polizze reddito.
Un primo segnale sul fronte credito, oltre alla partecipazione di
Confagricoltura nell’Organismo italiano di contabilità, sono gli strumenti
finanziari messi in piedi nell’accordo Moody-Ismea. Resta strettissimo il
nodo burocratico, così come la maglia aziendale.
Durante il convegno ha rilanciato la proposta del plafonamento a 1.000
euro come minimo aiuto percepibile dalle aziende agricole. Quali i pregi e i
limiti di questa proposta?
Una gratifica di 1.000 euro fa piacere all’impiegato, ma non gli cambia la
vita. Mille euro di «sgravio» fanno sopravvivere la piccola bottega? Da
anni, in Italia, si evidenzia la necessità di distinguere le aziende
professionali dal resto. Tutti ne parlano, ma sono state scarse le proposte
che vanno in questa direzione. La nostra riflessione è stata supportata da
analisi puntuali sui flussi finanziari della pac e sui relativi soggetti
destinatari. Da qui è emersa la nostra ipotesi di lavoro che – lo voglio
evidenziare – si fonda su due elementi essenziali: la soglia minima di
finanziamenti al di sotto della quale non c’è erogazione del sostegno
comunitario e la destinazione mirata del gettito verso politiche di
stabilizzazione dei mercati e di promozione della presenza dei giovani in
agricoltura. Non vedo difetti nel nostro progetto, semmai bisogna leggerlo
anche come incentivo alla crescita dimensionale delle imprese in
agricoltura, vecchio nodo irrisolto del sistema italiano. Chi presenta una
domanda pac per un importo inferiore a 1.000 euro non è sicuramente
un’impresa professionale collegata al mercato che deve fare i conti con la
competizione e con la volatilità dei prezzi.
Quante aziende in tal modo uscirebbero dal sistema dei pagamenti?
Dai nostri calcoli, i beneficiari di aiuti pac interessati in Italia
sarebbero poco più di 500.000 (su circa 2 milioni di domande; n.d.r.), per
un gettito di 350 milioni di euro all’anno, da investire in misure di
politica agraria in grado di fornire una risposta concreta alle emergenze
degli ultimi anni e di preparare l’agricoltura italiana alle prossime sfide
della competitività. Inoltre la nostra proposta non ha carattere punitivo
per nessuno, anzi. Anche per le aziende non professionali abbiamo previsto
opportunità di sviluppo attraverso il secondo pilastro e i programmi Leader.
La proposta ha trovato sostenitori al di fuori della vostra
Associazione?
Dopo la proposta lanciata a Orvieto ho ricevuto diverse telefonate e ho
percepito una sostanziale condivisione dell’analisi effettuata e delle
soluzioni prospettate.
I biocarburanti, oggi, sembrano «la nuova frontiera» per
l’agricoltura. Come evitare di diventare solo fornitori di materia prima a
basso prezzo per i formidabili oligopoli industriali che «imporranno» le
loro regole agli agricoltori?
Per non rimanere alla frontiera in materia di biocarburanti noi agricoltori
dovremmo investire direttamente nel processo di trasformazione.
Dobbiamo organizzarci almeno per concentrare l’offerta, ma l’ideale sarebbe
costituire forme societarie anche innovative per la trasformazione. Potrebbe
insegnarci qualcosa l’esempio americano, dove circa la metà degli impianti
di trasformazione in bioetanolo è nelle mani degli agricoltori.
Vista la difficoltà in cui versa l’intera agricoltura nazionale e
considerata la necessità di una generale, maggiore aggregazione dei
produttori, è utopico pensare che i giovani agricoltori appartenenti alle
diverse organizzazioni sindacali superino gli steccati esistenti per dare
voce a una rappresentanza unitaria che ponga con forza al mondo politico le
loro istanze?
è sempre il primo passo quello più difficile, poi si prende il ritmo e la
camminata si scioglie: dico questo sottolineando che procedere insieme è
innanzitutto una questione di obiettivi condivisi verso la crescita e lo
sviluppo del nostro settore. Con l’Agia, l’Associazione giovani imprenditori
agricoli della Cia, abbiamo una collaborazione attiva, abbiamo manifestato
insieme e organizzato attività comuni, interscambiando esperienze. Ci
auguriamo che questo rapporto possa crescere ulteriormente.
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