POLITICA |
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La vergogna del latte senza prezzo |
Salta ancora la trattativa in Lombardia
Le organizzazioni professionali, per una volta unite, reagiscono
all’intransigenza di Assolatte con manifestazioni e spiegando al consumatore
che il prezzo sale al consumo ma non in stalla
La trattativa per il prezzo del latte alla stalla per la campagna 2007 in
Lombardia, regione leader a livello nazionale con 40 milioni di quintali di
latte prodotto, si è nuovamente interrotta al termine dell’ultimo incontro
tra Assolatte e le organizzazioni agricole regionali lo scorso 8 marzo.
Ora il gioco si è fatto duro, tant’è vero che lunedì 12 marzo più di 1.500
allevatori di Coldiretti, Cia e Federlombarda hanno presidiato a Corteolona
(Pavia) lo stabilimento ex Galbani (oggi Lactalis, la multinazionale
francese) e poi il giorno successivo hanno occupato, con migliaia di
allevatori, l’accesso allo stabilimento della Sterilgarda di Castiglione
delle Stiviere (Mantova) e in contemporanea la Caravaggio Latte (Bergamo).
Il mondo agricolo regionale, rappresentato da Cia, Coldiretti e
Federlombarda, è schierato in maniera forte e unita come da anni non
succedeva. Tanto che l’alleanza si sta già affinando nelle regioni limitrofe
(Veneto ed Emilia-Romagna) per la stessa causa: riavviare una trattativa del
prezzo del latte alla stalla interrotta dall’industria di trasformazione,
non disposta a salire a un livello del prezzo di base del latte alla stalla
superiore agli attuali 32 centesimi di euro mediamente pagati agli
allevatori.
In un comunicato ufficiale Assolatte dichiara che «non c’erano le condizioni
per chiudere perché le richieste della parte agricola avrebbero messo in
difficoltà la competitività dell’industria di trasformazione». Il tutto in
spregio sia alle dichiarazioni dei rappresentanti di Assolatte durante
l’assemblea del Consorzio di tutela del Grana Padano di «apertura alla
trattative», sia del nuovo Piano di sviluppo rurale che alla famosa ex
Misura G, quella delle intese di filiera, dedica nuovamente, dopo gli oltre
100 milioni di euro della passata tornata, ulteriori 65 milioni di euro.
Le delegazioni dei produttori, valutate tutte le variabili di mercato,
avevano proposto agli industriali un prezzo base che considerasse un aumento
almeno del 7-10% rispetto agli 0,32 centesimi di euro in media pagati nelle
ultime campagne. Così da arrivare a un prezzo di circa 0,335 centesimi che
poteva rappresentare la linea sotto la quale risultava più difficile
proseguire nella trattativa. Tuttavia questa base di trattativa è stata
considerata troppo onerosa dai rappresentanti dell’industria casearia.
La questione qualità
Il problema è che nella delegazione di Assolatte hanno prevalso interessi di
parte: in particolare i rappresentati delle grandi multinazionali che –
acquisiti gli storici marchi italiani, come Galbani – considerano la qualità
del latte nazionale agli stessi livelli di quello del resto d’Europa. Eppure
i dati ufficiali, come quelli dell’Istituto zooprofilattico di Brescia,
dimostrano l’esatto contrario. Infatti, la componente più rilevante che
gioca sul prezzo pagato agli allevatori è proprio il premio previsto dalla
tabella qualità: quella che stabilisce i parametri igienico-sanitari e i
limiti del grasso e delle proteine sui quali calcolare gli eventuali premi o
le penalizzazioni.
Nell’ultimo incontro tra mondo agricolo e Assolatte una certa intesa sulla
tabella era stata quasi trovata: una mediazione tra quella più penalizzante
di Assolatte e quella storica del 2002 più premiante per gli allevatori che
tornava al valore peso/volume e avrebbe riconosciuto un premio medio ai
produttori di 17-18 lire rispetto alla media delle 9 lire della tabella
degli industriali. Purtroppo, o per fortuna, la qualità fa parte del prezzo.
E non trovando l’intesa sul livello di base, la parte agricola ha dovuto
rinunciare a proseguire una trattativa divenuta ormai impossibile per
l’inaspettata intransigenza di almeno una parte dell’industria.
Ora la strategia di Federlombarda, Col-diretti e Cia è chiara: mettere in
difficoltà l’industria di trasformazione di fronte alla pubblica opinione.
Il tutto da due punti di vista: quello economico, visto che un litro di
latte al consumo costa più di 1,30 euro e agli allevatori viene pagato 30
centesimi, e di immagine, denunciando l’uso di latte importato dal resto del
mondo e trasformato in formaggi made in Italy.
Questi due fatti sono riassunti nello slogan ufficiale della protesta:
«Diamo il giusto valore al nostro latte».
Come hanno rimarcato le tre Organizzazioni agricole regionali «mentre sia le
imprese di trasformazione sia quelle della distribuzione organizzata
beneficiano del valore aggiunto delle produzioni trasformate e
commercializzate, i cui prezzi sono andati crescendo nel tempo, le imprese
zootecniche si sono venute costantemente a trovare tra l’incudine
rappresentata da costi di produzione sempre in aumento e il martello
rappresentato da prezzi del latte alla stalla sempre in diminuzione e che,
peraltro, dall’ormai lontano 2002 non trovano più nemmeno definizione in
accordi tra le parti di qualsiasi livello territoriale».
«Occorre ricordare – sottolineano Cia, Coldiretti e Federlombarda – che
nell’ultimo decennio le imprese zootecniche di produzione del latte vaccino
in Lombardia si sono praticamente dimezzate, passando da 14.000 a circa
7.700».
Così, mentre si profila l’inizio della nuova campagna senza un prezzo di
riferimento, è partita l’iniziativa di Coldiretti, Federlombarda e Cia che
scendono in campo unite e chiedono ai consumatori e alle loro associazioni
«di affiancarle nella battaglia necessaria a difendere il latte italiano e i
prodotti di qualità made in Italy».
E la strategia pare stia avendo effetto, visto che, dopo i volantinaggi
davanti ai supermercati, l’interrogativo è stato recepito dai consumatori:
perché pagare un litro di latte 1,30 euro o più se ai produttori vengono
dati solo 30 centesimi?
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