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Produttori di latte in fase critica |
Pesanti incognite da risolvere
Le grandi concentrazioni a livello industriale che si stanno
realizzando nel settore in Italia rischiano di acuire i già gravi problemi
di mercato degli allevatori alle prese con una perdurante assenza di regole
per rendere trasparenti i rapporti economici con gli utilizzatori
Il
settore del latte bovino in Italia è alle prese con due rilevanti problemi
che condizionano il presente, rendendolo poco trasparente e incerto, e il
futuro, mettendo a rischio l’integrità della componente più fragile della
filiera, ovvero i produttori.
I due nodi critici, dei quali poco o per nulla si parla, sono le operazioni
di riassetto a livello di industria lattiero-casearia nazionale e la crisi
di mercato, unita alla disgregazione dei rapporti tra produttori di latte e
primi acquirenti industriali.
Sul campo della struttura competitiva del settore sta emergendo ormai la
sostanziale incapacità del nostro Paese di avere qualche soggetto nazionale
in grado di fare concorrenza ai colossi europei e internazionali, come
Lactalis, Nestlé, Kraft, Campina, Fonterra.
Concentrazioni pericolose
Da poco è stata perfezionata e conclusa l’acquisizione della Galbani, la
seconda più grande impresa del settore dopo Parmalat, a favore dei francesi
di Lactalis, già proprietari in Italia di aziende come Invernizzi, Locatelli,
Cademartori.
Ne è derivato un processo di concentrazione che desta qualche
preoccupazione, soprattutto tra i produttori italiani di latte, perché si
stima che il gruppo francese acquisti oltre il 20% del totale del latte
prodotto annualmente in Italia, pari a poco meno del 40%, se si escludono le
cooperative.
Chiaramente, il livello di concentrazione, dal lato delle forniture, è assai
più elevato nei mercati locali di approvvigionamento delle tre imprese di
trasformazione che sono essenzialmente la Lombardia e il Piemonte.
In riferimento alle quote di mercato sui prodotti finiti, secondo quanto
riferito dal settimanale L’Espresso, il gruppo francese controllerebbe in
Italia una quota del 50% del mercato italiano dei formaggi, evidentemente
riferendosi ai soli segmenti dove l’azienda è presente con i propri marchi.
Lactalis è un colosso lattiero-caseario che occupa una delle prime posizioni
a livello internazionale e, nel suo Paese di origine – la Francia – acquista
e lavora ogni anno circa 70 milioni di quintali di latte.
Cosa potrà accadere all’interno della filiera lattiero-casearia italiana con
l’emergere di questa nuova situazione?
Quali equilibri si verranno a determinare tra il mega gruppo industriale e
gli allevatori?
Come cambieranno i rapporti di forza all’interno della componente
industriale, ivi compresa la relativa rappresentanza economica?
Risulta che Unalat, consapevole dell’impatto che l’acquisizione di Galbani
provocherà sul sistema produttivo, stia effettuando degli approfondimenti e
delle analisi che poi dovrebbero condurre anche alla definizione delle
possibili contromosse da attuare.
Sempre in riferimento agli assetti industriali, il secondo grande nodo è
rappresentato dai destini della Parmalat. Il primo gruppo lattiero-caseario
italiano sarà preda, come al solito, di concorrenti stranieri? Oppure si
riuscirà a tenere in Italia il controllo del gruppo?
I pretendenti non mancherebbero (Granarolo), ma è tutta da verificare la
possibilità che tale operazione possa essere perfezionata in condizioni di
sostenibilità. Non a caso, l’attuale management del gruppo parmense vede con
un certo scetticismo il progetto della cooperativa bolognese.
Allevatori in balia degli industriali
L’altra
incognita per il settore lattiero-caseario riguarda il mercato. Il livello
di fiducia degli allevatori italiani è assai basso. La legge 119/2003 in
materia di quote latte non ha, al momento, raggiunto l’obiettivo
fondamentale di migliorare l’equilibrio tra la domanda e l’offerta.
Gli accordi interprofessionali sono un ricordo sbiadito e i produttori – la
componente debole della filiera – sono esposti allo strapotere degli
utilizzatori.
Non c’è un prezzo di riferimento. Non ci sono regole per rendere chiari e
trasparenti i rapporti economici.
Non c’è più l’interesse da parte dei politici di spendersi, come avveniva in
passato, per promuovere un sistema di accordi interprofessionali e di
relazioni trasparenti tra allevatori e industria. I prezzi del latte crudo
alla stalla sono calanti e a motivo di ciò si invocano due fattori: il
disequilibrio del mercato interno e la manovra della riforma della pac del
2003 che ha ridotto il livello del sostegno e introdotto le compensazioni al
reddito.
Gli utilizzatori propongono un ragionamento semplice che suona più o meno
così: «con la riforma, voi allevatori incassate i premi pac. Nel 2006
saranno circa 3 centesimi di euro/kg. Quindi il prezzo della materia prima
deve scendere».
Con questa argomentazione, gli industriali considerano i pagamenti diretti
come unico fattore in gioco e trascurano gli altri elementi che devono
concorrere alla definizione del prezzo del latte.
Nessuna attenzione è riservata alle quotazioni di mercato dei prodotti
finiti. Così come in alcun modo è presa in considerazione la dinamica dei
costi di produzione negli allevamenti.
Le intese di filiera
In altri Paesi a forte tradizione lattiero-casearia, il prezzo del latte non
è lasciato alla libera trattativa a livello individuale tra utilizzatore e
produttore, ma è il risultato dell’applicazione di un sistema di
determinazione istituzionalizzato che è più o meno complicato a seconda dei
casi.
Cosa fare per fronteggiare una situazione così delicata che richiede un
deciso intervento a livello nazionale ed esige che si giunga alla
definizione di una politica di settore forte e visibile?
Una possibilità c’è ed è l’applicazione di quanto contenuto nel decreto
legislativo
n. 102/2005 sulla regolazione dei mercati, laddove viene prevista
l’istituzione di una solida interprofessione, la definizione di una reale
intesa di filiera e di accordi quadro trasparenti, il confronto serrato e la
conseguente ricerca delle soluzioni nell’ambito dei tavoli di filiera
istituiti presso il Mipaf.
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