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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
 
11
 10-16 Mar.

  2006
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Attualità POLITICA

Produttori di latte in fase critica

Pesanti incognite da risolvere

Le grandi concentrazioni a livello industriale che si stanno realizzando nel settore in Italia rischiano di acuire i già gravi problemi di mercato degli allevatori alle prese con una perdurante assenza di regole per rendere trasparenti i rapporti economici con gli utilizzatori

Il settore del latte bovino in Italia è alle prese con due rilevanti problemi che condizionano il presente, rendendolo poco trasparente e incerto, e il futuro, mettendo a rischio l’integrità della componente più fragile della filiera, ovvero i produttori.
I due nodi critici, dei quali poco o per nulla si parla, sono le operazioni di riassetto a livello di industria lattiero-casearia nazionale e la crisi di mercato, unita alla disgregazione dei rapporti tra produttori di latte e primi acquirenti industriali.
Sul campo della struttura competitiva del settore sta emergendo ormai la sostanziale incapacità del nostro Paese di avere qualche soggetto nazionale in grado di fare concorrenza ai colossi europei e internazionali, come Lactalis, Nestlé, Kraft, Campina, Fonterra.

Concentrazioni pericolose
Da poco è stata perfezionata e conclusa l’acquisizione della Galbani, la seconda più grande impresa del settore dopo Parmalat, a favore dei francesi di Lactalis, già proprietari in Italia di aziende come Invernizzi, Locatelli, Cademartori.
Ne è derivato un processo di concentrazione che desta qualche preoccupazione, soprattutto tra i produttori italiani di latte, perché si stima che il gruppo francese acquisti oltre il 20% del totale del latte prodotto annualmente in Italia, pari a poco meno del 40%, se si escludono le cooperative.
Chiaramente, il livello di concentrazione, dal lato delle forniture, è assai più elevato nei mercati locali di approvvigionamento delle tre imprese di trasformazione che sono essenzialmente la Lombardia e il Piemonte.
In riferimento alle quote di mercato sui prodotti finiti, secondo quanto riferito dal settimanale L’Espresso, il gruppo francese controllerebbe in Italia una quota del 50% del mercato italiano dei formaggi, evidentemente riferendosi ai soli segmenti dove l’azienda è presente con i propri marchi.
Lactalis è un colosso lattiero-caseario che occupa una delle prime posizioni a livello internazionale e, nel suo Paese di origine – la Francia – acquista e lavora ogni anno circa 70 milioni di quintali di latte.
Cosa potrà accadere all’interno della filiera lattiero-casearia italiana con l’emergere di questa nuova situazione?
Quali equilibri si verranno a determinare tra il mega gruppo industriale e gli allevatori?
Come cambieranno i rapporti di forza all’interno della componente industriale, ivi compresa la relativa rappresentanza economica?
Risulta che Unalat, consapevole dell’impatto che l’acquisizione di Galbani provocherà sul sistema produttivo, stia effettuando degli approfondimenti e delle analisi che poi dovrebbero condurre anche alla definizione delle possibili contromosse da attuare.
Sempre in riferimento agli assetti industriali, il secondo grande nodo è rappresentato dai destini della Parmalat. Il primo gruppo lattiero-caseario italiano sarà preda, come al solito, di concorrenti stranieri? Oppure si riuscirà a tenere in Italia il controllo del gruppo?
I pretendenti non mancherebbero (Granarolo), ma è tutta da verificare la possibilità che tale operazione possa essere perfezionata in condizioni di sostenibilità. Non a caso, l’attuale management del gruppo parmense vede con un certo scetticismo il progetto della cooperativa bolognese.

Allevatori in balia degli industriali
L’altra incognita per il settore lattiero-caseario riguarda il mercato. Il livello di fiducia degli allevatori italiani è assai basso. La legge 119/2003 in materia di quote latte non ha, al momento, raggiunto l’obiettivo fondamentale di migliorare l’equilibrio tra la domanda e l’offerta.
Gli accordi interprofessionali sono un ricordo sbiadito e i produttori – la componente debole della filiera – sono esposti allo strapotere degli utilizzatori.
Non c’è un prezzo di riferimento. Non ci sono regole per rendere chiari e trasparenti i rapporti economici.
Non c’è più l’interesse da parte dei politici di spendersi, come avveniva in passato, per promuovere un sistema di accordi interprofessionali e di relazioni trasparenti tra allevatori e industria. I prezzi del latte crudo alla stalla sono calanti e a motivo di ciò si invocano due fattori: il disequilibrio del mercato interno e la manovra della riforma della pac del 2003 che ha ridotto il livello del sostegno e introdotto le compensazioni al reddito.
Gli utilizzatori propongono un ragionamento semplice che suona più o meno così: «con la riforma, voi allevatori incassate i premi pac. Nel 2006 saranno circa 3 centesimi di euro/kg. Quindi il prezzo della materia prima deve scendere».
Con questa argomentazione, gli industriali considerano i pagamenti diretti come unico fattore in gioco e trascurano gli altri elementi che devono concorrere alla definizione del prezzo del latte.
Nessuna attenzione è riservata alle quotazioni di mercato dei prodotti finiti. Così come in alcun modo è presa in considerazione la dinamica dei costi di produzione negli allevamenti.

Le intese di filiera
In altri Paesi a forte tradizione lattiero-casearia, il prezzo del latte non è lasciato alla libera trattativa a livello individuale tra utilizzatore e produttore, ma è il risultato dell’applicazione di un sistema di determinazione istituzionalizzato che è più o meno complicato a seconda dei casi.
Cosa fare per fronteggiare una situazione così delicata che richiede un deciso intervento a livello nazionale ed esige che si giunga alla definizione di una politica di settore forte e visibile?
Una possibilità c’è ed è l’applicazione di quanto contenuto nel decreto legislativo
n. 102/2005 sulla regolazione dei mercati, laddove viene prevista l’istituzione di una solida interprofessione, la definizione di una reale intesa di filiera e di accordi quadro trasparenti, il confronto serrato e la conseguente ricerca delle soluzioni nell’ambito dei tavoli di filiera istituiti presso il Mipaf.

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