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Consorzi di tutela registi delle dop |
Gli enti che tutelano dop e igp, specialmente quelle storiche, devono
diventare strumento per una strategia di sistema espressa da tutte le
imprese della filiera ed essere la sede di rapporti interprofessionali a
supporto del ruolo prevalente degli operatori di mercato
Secondo i più recenti dati disponibili, i prodotti dop e igp italiani
finora registrati sono 153. Secondo stime a molti già note, il valore dei
consumi dei prodotti dop e igp si attesta intorno a 8,7 miliardi di euro su
un valore complessivo della spesa per acquisti alimentari domestici
superiore a 4.500 miliardi. Una incidenza, quindi, molto bassa a cui si
aggiunge che i primi dieci rappresentano il 90% del valore delle produzioni
tutelate, mentre i primi 4 (rappresentati dai due grana e dai Prosciutti di
Parma e di S. Daniele) detengono una quota del 68%.
Sono dati sui quali bisogna riflettere perché, se è vero che la fama della
nostra tradizione culinaria è legata a prodotti di eccellenza è anche vero
che affidare il futuro del nostro sistema agroalimentare ai prodotti dop e
igp non può bastare.
La concentrazione del loro valore in così pochi prodotti porta a riconoscere
che le potenzialità di sviluppo di produzioni fortemente frammentate possono
difficilmente contare su strutture organizzative adeguate e dotate delle
disponibilità finanziarie sufficienti per valorizzare i prodotti
interessati, se non sui mercati di prossimità sui quali spesso è limitata la
loro commercializzazione.
La storia del Consorzio di tutela del Parmigiano-Reggiano, del Grana Padano,
del Prosciutto di Parma e di S. Daniele è ben diversa da quella dei consorzi
di tutela nati dopo l’applicazione del regolamento n. 2081/92 che ha
istituito i prodotti dop e igp. Quei quattro consorzi, e pochi altri,
esistevano ancora prima della normativa sulle dop e igp, anzi l’esistenza
del prodotto dipendeva dall’esistenza stessa del consorzio, perché
l’adesione a esso costituiva il momento che sanzionava la legittimità della
denominazione di origine dei prodotti ottenuti secondo il disciplinare
fissato e controllato dal consorzio stesso.
Il trasferimento del controllo per il riconoscimento della denominazione a
un ente terzo ha spogliato i consorzi esistenti prima del regolamento n.
2081/92 del più forte strumento di potere che legava necessariamente tutti i
produttori del prodotto tutelato al consorzio. La successiva vicenda
dell’intervento dell’Antitrust, che ha impedito ai Consorzi del Parmigiano,
del Grano Padano e del Prosciutto di Parma di svolgere la funzione di
programmazione e controllo dell’offerta, ha di fatto tolto completamente la
funzione di tipo istituzionale e normativo che consorzi di antica
costituzione potevano svolgere prima dell’applicazione del regolamento n.
2081/92.
La grave crisi di mercato del Parmigiano-Reggiano e del Grana Padano di
questi ultimi due anni mi spinge a chiedere se ha ancora senso il
tradizionale ruolo dei consorzi di tutela in una posizione diventata mediana
tra produzione e fase di distribuzione.
I consorzi non detengono fisicamente il prodotto, tuttavia spetta loro la
definizione delle caratteristiche del prodotto stesso e delle denominazioni
commerciali e investono rilevanti risorse in promozione e pubblicità
istituzionale. Già questo può creare dei problemi con le strategie di
valorizzazione sul mercato messe a punto dai singoli produttori, infatti si
viene a creare una vera e propria frattura tra leve del marketing mix
gestite dal consorzio (prodotto e promozione) e quelle nella disponibilità
dell’impresa di produzione, vale a dire prezzo e distribuzione. È
significativo, infatti, che anche in presenza di aziende che detengono quote
importanti del mercato nessuna sia riuscita ad affermare la propria marca
presso il trade e i consumatori. Perfino strategie di segmentazione del
mercato in relazione alle diverse denominazioni commerciali del prodotto non
riescono ad avere successo in quanto i consorzi, almeno finora, hanno temuto
di non porre nelle stesse condizioni di fronte al mercato i propri
associati, con il rischio inverso di spingere i soci ad abbassare la qualità
ai livelli minimi del disciplinare visto che strategie di marca e di
segmentazione non riescono a sfondare sotto l’unico marchio ombrello del
consorzio.
Da tutte queste considerazioni, mi auguro condivise, emerge che i consorzi
di tutela, soprattutto quelli storici, pur svolgendo ancora un ruolo
indispensabile a difesa delle produzioni tutelate, devono cercare, da un
lato, di consentire alle imprese associate di sviluppare in autonomia le
strategie di mercato da loro scelte e, dall’altro, di diventare strumento
fondamentale per una strategia di sistema espressa da tutte le imprese della
filiera.
Se grazie all’intervento del Governo (legge 231/2005) l’Antitrust ha tolto
il divieto – non si capisce perché solo ai consorzi dei formaggi stagionati
– della predisposizione di piani di produzione, i consorzi possono
finalmente disporre dello strumento per diventare la sede di rapporti
interprofessionali a supporto del ruolo essenziale e prevalente degli
operatori sul mercato.
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