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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
 
10
 3-9 Mar.

  2006
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Editoriale

Consorzi di tutela registi delle dop
Corrado Giacomini

Gli enti che tutelano dop e igp, specialmente quelle storiche, devono diventare strumento per una strategia di sistema espressa da tutte le imprese della filiera ed essere la sede di rapporti interprofessionali a supporto del ruolo prevalente degli operatori di mercato  

Secondo i più recenti dati disponibili, i prodotti dop e igp italiani finora registrati sono 153. Secondo stime a molti già note, il valore dei consumi dei prodotti dop e igp si attesta intorno a 8,7 miliardi di euro su un valore complessivo della spesa per acquisti alimentari domestici superiore a 4.500 miliardi. Una incidenza, quindi, molto bassa a cui si aggiunge che i primi dieci rappresentano il 90% del valore delle produzioni tutelate, mentre i primi 4 (rappresentati dai due grana e dai Prosciutti di Parma e di S. Daniele) detengono una quota del 68%.
Sono dati sui quali bisogna riflettere perché, se è vero che la fama della nostra tradizione culinaria è legata a prodotti di eccellenza è anche vero che affidare il futuro del nostro sistema agroalimentare ai prodotti dop e igp non può bastare.
La concentrazione del loro valore in così pochi prodotti porta a riconoscere che le potenzialità di sviluppo di produzioni fortemente frammentate possono difficilmente contare su strutture organizzative adeguate e dotate delle disponibilità finanziarie sufficienti per valorizzare i prodotti interessati, se non sui mercati di prossimità sui quali spesso è limitata la loro commercializzazione.
La storia del Consorzio di tutela del Parmigiano-Reggiano, del Grana Padano, del Prosciutto di Parma e di S. Daniele è ben diversa da quella dei consorzi di tutela nati dopo l’applicazione del regolamento n. 2081/92 che ha istituito i prodotti dop e igp. Quei quattro consorzi, e pochi altri, esistevano ancora prima della normativa sulle dop e igp, anzi l’esistenza del prodotto dipendeva dall’esistenza stessa del consorzio, perché l’adesione a esso costituiva il momento che sanzionava la legittimità della denominazione di origine dei prodotti ottenuti secondo il disciplinare fissato e controllato dal consorzio stesso.
Il trasferimento del controllo per il riconoscimento della denominazione a un ente terzo ha spogliato i consorzi esistenti prima del regolamento n. 2081/92 del più forte strumento di potere che legava necessariamente tutti i produttori del prodotto tutelato al consorzio. La successiva vicenda dell’intervento dell’Antitrust, che ha impedito ai Consorzi del Parmigiano, del Grano Padano e del Prosciutto di Parma di svolgere la funzione di programmazione e controllo dell’offerta, ha di fatto tolto completamente la funzione di tipo istituzionale e normativo che consorzi di antica costituzione potevano svolgere prima dell’applicazione del regolamento n. 2081/92.
La grave crisi di mercato del Parmigiano-Reggiano e del Grana Padano di questi ultimi due anni mi spinge a chiedere se ha ancora senso il tradizionale ruolo dei consorzi di tutela in una posizione diventata mediana tra produzione e fase di distribuzione.
I consorzi non detengono fisicamente il prodotto, tuttavia spetta loro la definizione delle caratteristiche del prodotto stesso e delle denominazioni commerciali e investono rilevanti risorse in promozione e pubblicità istituzionale. Già questo può creare dei problemi con le strategie di valorizzazione sul mercato messe a punto dai singoli produttori, infatti si viene a creare una vera e propria frattura tra leve del marketing mix gestite dal consorzio (prodotto e promozione) e quelle nella disponibilità dell’impresa di produzione, vale a dire prezzo e distribuzione. È significativo, infatti, che anche in presenza di aziende che detengono quote importanti del mercato nessuna sia riuscita ad affermare la propria marca presso il trade e i consumatori. Perfino strategie di segmentazione del mercato in relazione alle diverse denominazioni commerciali del prodotto non riescono ad avere successo in quanto i consorzi, almeno finora, hanno temuto di non porre nelle stesse condizioni di fronte al mercato i propri associati, con il rischio inverso di spingere i soci ad abbassare la qualità ai livelli minimi del disciplinare visto che strategie di marca e di segmentazione non riescono a sfondare sotto l’unico marchio ombrello del consorzio.
Da tutte queste considerazioni, mi auguro condivise, emerge che i consorzi di tutela, soprattutto quelli storici, pur svolgendo ancora un ruolo indispensabile a difesa delle produzioni tutelate, devono cercare, da un lato, di consentire alle imprese associate di sviluppare in autonomia le strategie di mercato da loro scelte e, dall’altro, di diventare strumento fondamentale per una strategia di sistema espressa da tutte le imprese della filiera.
Se grazie all’intervento del Governo (legge 231/2005) l’Antitrust ha tolto il divieto – non si capisce perché solo ai consorzi dei formaggi stagionati – della predisposizione di piani di produzione, i consorzi possono finalmente disporre dello strumento per diventare la sede di rapporti interprofessionali a supporto del ruolo essenziale e prevalente degli operatori sul mercato.
 

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