POLITICA |
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Finalmente una buona notizia per lo zucchero
italiano |
Niente tagli ulteriori per il nostro settore bieticolo-saccarifero
Grazie alla compattezza del settore e all’efficace opera diplomatica del
ministro De Castro, i bieticoltori possono guardare al futuro con più
ottimismo confermando i piani produttivi previsti
Sospiro di sollievo, soddisfazione unanime, ringraziamenti sentiti al
ministro Paolo De Castro e ai suoi collaboratori: questi i commenti «a
caldo» che sono circolati dopo il Comitato di gestione zucchero del 22
febbraio scorso, nel quale si è deliberato sul cosiddetto taglio preventivo
alla produzione della campagna saccarifera 2007-2008. Commenti pertinenti,
alla luce dei rischi che si stavano profilando per la filiera
bieticolo-saccarifera italiana, poi sventati grazie a un cambio di rotta
all’ultimo minuto del commissario Mariann Fischer Boel, a sua volta ispirato
dal nostro ministro dell’agricoltura.
Le puntate precedenti
Sul tema del taglio preventivo questa rivista si è già ampiamente soffermata
(vedi L’Informatore Agrario numeri 5 e 6 di quest’anno). In rapida sintesi,
riassumiamo di seguito i termini del problema.
A causa del ridotto ricorso al Fondo di ristrutturazione, le imprese
saccarifere dei Paesi più favoriti hanno conservato in Europa elevati
livelli produttivi, con la conseguenza di mantenere un mercato squilibrato e
prezzi zucchero inadeguati. Di fronte a situazioni di eccesso di offerta
(che, nel caso specifico della campagna 2007-2008 sono stati stimati in
circa 4 milioni di tonnellate), la normativa zucchero ha originariamente
introdotto antidoti normativi di routine sotto forma di tagli alla
produzione, da decidere a ottobre, a produzione già realizzata.
Il carattere di inefficacia di tale sistema ai fini di prevenzione del
formarsi delle eccedenze ha tuttavia indotto la Fischer Boel a fine gennaio,
con il placet delle principali organizzazioni di rappresentanza europee, a
ideare una modifica tecnico-giuridica alla norma ordinaria, sotto forma di
nuovo regolamento a carattere temporaneo per il solo 2007-2008 (con
l’intendimento però di trasformarlo in misura standard in prospettiva),
volto a prestabilire a febbraio l’entità provvisoria del taglio, da fissarsi
definitivamente secondo la norma ordinaria a ottobre, per consentire agli
operatori di adeguarsi per tempo, modulando semine e piani produttivi.
Ma fin dall’inizio è emerso un punto dolente: il carattere lineare (o erga
omnes, che dir si voglia) della misura. Come dire: tutti insieme a pagare
allo stesso modo, per eccessi produttivi che vanno univocamente imputati ai
soli Paesi eccedentari, a fronte di altri Paesi incolpevoli perché già
alleggeritisi di quota.
Di fronte alla minaccia di una tale misura, le associazioni bieticole e le
società saccarifere italiane si sono mobilitate e hanno chiesto un incontro
con il ministro il 15 febbraio. De Castro ha fatto proprie le preoccupazioni
espresse e si è fatto carico di portare avanti la linea di difesa
dell’interesse nazionale.
È stata così imbastita una intensa trama diplomatica verso tutte le
direzioni utili.
Nei giorni convulsi che hanno preceduto la riunione di Comitato, il ministro
De Castro ha fatto valere l’incongruità di una misura erga omnes e la sua
palese contraddittorietà con i principi della riforma stessa, aprendo
politicamente la strada al suo staff tecnico, che ha consolidato la linea.
Il risultato di questa manovra è stato incerto fino all’ultimo, quando, a
poche ore dall’inizio della riunione, la Commissione ha presentato un
progetto diverso da quello, allarmante, della prima ora, e che ha raccolto i
desiderata italiani, grazie all’esclusione dell’Italia e degli altri Paesi
che hanno conferito al Fondo il 50% e oltre della propria quota originaria
dall’applicazione del taglio preventivo, lasciando a tutti gli altri Paesi
il compito di coprire il riassorbimento della eccedenza, oggi quantificata
nel 13,5% della produzione in quota.
La nuova impostazione non ha sollevato obiezioni (solo la Grecia ha votato
contro, per coerenza con una linea da sempre critica verso la riforma) e ha
superato l’esame del Comitato di gestione con una approvazione sostanziale
di fatto che si tradurrà in atto formale in ambito di Commissione europea
nella prima seduta utile dell’Esecutivo. Unico aspetto da chiarire è se il
maggior ritiro di ottobre riguarderà, qualora applicato, i Paesi
inizialmente esclusi.
Un vero colpo di scena dunque, che ha sollevato giusti entusiasmi e che ha
fatto esclamare «giustizia è fatta», anche se si potrebbe meglio dire
«ingiustizia è evitata», visto che la vera giustizia si potrebbe raggiungere
solo con la revisione di una riforma zucchero iniqua e discriminatoria, vera
fonte di queste distorsioni.
Qualcosa non va nell’ocm
Come d’abitudine, dopo la cronaca è legittima qualche considerazione.
La prima riguarda i riflessi della decisione comunitaria. Si può
correttamente affermare che si è riusciti a evitare un guaio grosso, quello
di vedersi ritirare circa 100.000 t di zucchero (con la certezza di un loro
aumento a ottobre, una volta noti i dati finali dell’eccedenza europea), con
inevitabile riporto delle stesse alla successiva campagna 2008-2009.
Con due conseguenze rilevanti: economica, per i costi del riporto (non
particolarmente forti, ma pur sempre importanti in una fase di margini
ridotti come l’attuale), e produttiva, per il minor spazio a disposizione
per la campagna 2008, la cui quota sarebbe stata in parte già «occupata» dal
riportato dall’annata precedente.
Le imprese agricole, insomma, possono superare le ansie degli ultimi giorni.
I bieticoltori, che avevano accusato qualche titubanza in fase di ritiro del
seme, possono tornare tranquillamente agli iniziali piani di investimento.
La seconda considerazione riguarda la prospettiva.
La questione del ritiro, con il suo felice epilogo, non è che la classica
punta dell’iceberg. Esso poggia infatti su una base tematica più vasta, che
riguarda il mancato obiettivo di un ridimensionamento rapido dell’arsenale
produttivo europeo, che continua a essere elefantiaco rispetto alla capacità
di assorbimento del mercato interno e, soprattutto, non riesce a imporsi una
cura dimagrante efficace.
Il commissario all’agricoltura sta seriamente pensando di avere sbagliato
qualcosa nella ricetta con la quale ha condito la riforma del settore, in
particolare per ciò che riguarda lo strumento del Fondo di ristrutturazione
che evidentemente non è stato considerato sufficientemente appetitoso da
parte degli operatori, i quali hanno preferito non rinunciare alla
produzione.
Sulla base di questa analisi il commissario è già arrivato alla conclusione
che occorre dare più appeal al Fondo, rendendolo non solo più ricco ma anche
più accessibile alla volontà dei bieticoltori, fino a oggi rimasti
comprimari di seconda fila rispetto a un potere di decisione pressoché
esclusivamente assegnato alla componente industriale. In alternativa,
potrebbe esserci un’applicazione anticipata di taglio quota rispetto alla
scadenza naturale della fase transitoria (2010), addolcito da aiuti (oggi
previsti solo per la cessione volontaria della ristrutturazione), oppure uno
sconto su tale taglio, o altro ancora.
Tutti meccanismi che – sembra ormai certo – verranno proposti dalla
Commissione al Consiglio, che potrebbe emanare un regolamento a fine anno.
Si tratterà di un appuntamento importante: una sorta di sequel della riforma
e, comunque, di pari importanza della stessa per quanto riguarda la
programmazione produttiva di medio periodo e la fissazione definitiva del
profilo del settore in Italia.
Non sarebbe fuori luogo prendere seriamente in considerazione questo aspetto
e, magari, puntare a una Conferenza nella quale Mipaaf, enti locali,
operatori e sindacati possano chiarire le convergenze su obiettivi,
strategie e percorsi di conseguimento.
Sommario rivista |
Carlo Biasco
Direttore generale
Associazione nazionale bieticoltoria |
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