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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
9
 2 - 8 Mar.

  2007
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Attualità POLITICA

Ocm ortofrutta errori da correggere

Intervista al direttore di APOT Dal Piaz
Vi sono diversi aspetti che devono essere migliorati ma fra tutti il più importante è quello della dotazione finanziaria


Dopo aver presentato i contenuti salienti della riforma dell’ocm ortofrutta e aver raccolto alcuni pareri sugli aspetti più controversi di questa proposta (vedi L’Informatore Agrario n. 4, 5 e 8/2007) continuiamo il nostro giro d’orizzonte tra gli operatori del settore con il punto di vista di Alessandro Dal Piaz, direttore di Apot, l’Associazione dei produttori ortofrutticoli trentini, una realtà rappresentativa di un segmento fondamentale della produzione ortofrutticola nazionale: le mele.
«Nel testo presentato il 24 gennaio scorso – dice Dal Piaz – i concetti di fondo sono condivisibili, ma troviamo anche tanti dettagli che potrebbero essere migliorati. Preciso subito, comunque, che le nostre valutazioni sono riferite prevalentemente al settore del fresco».
«Innanzitutto – prosegue – vorrei sottolineare una questione sostanziale e cioè la dotazione finanziaria. Tenuto conto che il 20% delle risorse potrebbe essere indirizzato alle azioni ambientali, con il restante 80% le op dovrebbero “gestire crisi” o contribuire sui costi per assicurazioni.
Rispetto alla precedente ocm sarebbe probabilmente rispettata la neutralità del bilancio comunitario, non certo la neutralità del bilancio delle op.
È fondamentale quindi un recupero di risorse senza le quali molti obiettivi sono destinati a rimanere tali».
«Importante inoltre – afferma Dal Piaz – ci pare il riconoscimento di alcune situazioni, nello specifico quelle citate all’articolo 9 comma 2, alle quali indirizzare un supplemento di sostegno comunitario in funzione di un processo di aggregazione che deve continuare. Questo passaggio rischia però di restare lettera morta se non verrà eliminato il limite di contribuzione oggi fissato al 4,1%, che comporterebbe una riduzione della capacità di investimento delle op pari a circa il 17%. E ciò vale anche per la quota di finanziamento dei ritiri a finalità umanitarie.
Su tale aspetto vorremmo sollecitare una ulteriore considerazione, per inserire tra i costi ammissibili la trasformazione del prodotto fresco e il suo trasporto fuori dal mercato comunitario. Oggi è praticamente impossibile portare il prodotto fresco ritirato su mercati terzi, ma con la trasformazione ciò potrebbe essere possibile. Allora, fatto salvo l’indirizzo umanitario dell’azione, assisteremmo a un effettivo allegerimento del mercato.

L’attrattività delle op nei confronti dei produttori non associati va migliorata se si vuole aumentare l’aggregazione dell’offerta, ma come?
La nostra realtà provinciale è un’eccezione rispetto alla media nazionale, perché aggrega circa il 90% dei produttori, che vedono e sentono nelle op quello strumento senza il quale non ci sarebbe un mercato.
In questa situazione crediamo ci sia poco da migliorare in termini aggregativi. Certamente invece c’è da lavorare in termini di ulteriore guadagno di efficienza del sistema delle op. Anche questo è un capitolo sul quale siamo fortemente impegnati.
Ciò non toglie che a livello nazionale sia auspicabile un salto in avanti del sistema aggregato, che potrebbe consentire un guadagno in termini di peso contrattuale del settore produttivo.
Ci tengo però a sottolineare che servono op reali, strutturate, in grado di coordinare e valorizzare il prodotto e orientare il mercato. Anche su questo ci pare che la proposta di riforma abbia introdotto qualche aspetto serio.

Come giudica il ritiro del prodotto in gestione esclusiva alle op?
Valgono le considerazioni appena citate, ma è bene sottolineare che un sistema di organizzazioni di produttori efficiente è sicuramente una chiave importante alla quale i produttori non associati devono guardare con attenzione.
Detto questo, per quanto riguarda le crisi di mercato a noi piace usare il termine «prevenzione», più che gestione.
In tale ottica siamo dell’idea che la proposta per la costituzione di un Osservatorio delle produzioni ortofrutticole comunitarie, almeno per le colture più importanti, potrebbe fornire utili elementi di conoscenza della situazione, aiutando i produttori nelle giuste scelte e quindi nella prevenzione delle crisi di mercato.
Conoscere e prevenire è certamente meno costoso che gestire una crisi.
L’opzione Osservatorio potrebbe tra l’altro comprendere un corretto monitoraggio di costi e prezzi, dalla produzione al consumatore, da utilizzare magari per tenere un occhio attento allo stato di salute di ogni prodotto, anche per intervenire tempestivamente con misure appropriate.
Su questa strada importantissima è l’azione che deve svolgere il Ministero, in stretto raccordo con i servizi comunitari, nell’apertura di mercati di interesse per il nostro export.
Sembra che qualcosa finalmente si muova, ma è determinante essere attivi su questo tema. L’export è infatti un meccanismo che può aiutare a mantenere in equilibrio il mercato interno.
Potremmo parlare anche delle questioni fitosanitarie e dei problemi che ne conseguono, ma andremmo fuori tema.

La possibilità ora concessa di coltivare ortofrutticoli anche su terreni già ammessi ai contributi pac, con l’ingresso possibile di nuovi produttori nel settore, è un pericolo reale?
Penso di sì, anche se è difficilmente quantificabile e comunque diverso da settore a settore.
Certo è che ci pare una politica un po’ contraddittoria, pensando agli orientamenti sugli aiuti di Stato che valutano gli aiuti in funzione di un possibile effetto distorsivo del mercato, per poi veder legittimato un aiuto a superficie accessibile a chi ha maturato determinati diritti e quindi per sua natura distorsivo.
Un’attenzione particolare, secondo noi, va posta anche sulle norme di qualità. La proposta di riforma sembra in qualche modo allentare l’interesse su tale tema, ma noi diamo una lettura prevalentemente positiva a tale impostazione.
Certamente sarà però necessaria la massima attenzione da parte dei diversi settori per chiedere il mantenimento di norme di qualità adeguate alle esigenze di ogni singolo prodotto.

Infine, la promozione ai consumi. Come evitare inutili dispersioni di fondi e dare incisività ed efficacia all’azione?
Servirebbero di sicuro più risorse da investire in tale ambito, dove esiste uno squilibrio altissimo tra investimenti di altri settori concorrenziali con l’agricoltura e investimenti del settore agricolo.
Siamo comunque dell’idea che sia urgente una strategia nazionale con un’azione di coordinamento centrale, attraverso la quale rivedere i punti cardine della promozione.
«Pochi e ben divisi» non è certo l’assioma di riferimento per un settore come il nostro.
Apprezzabile è l’obiettivo di sostenere il consumo attraverso progetti cofinanziati al 60% per azioni mirate ai giovani sotto i 18 anni.
Potrebbe però essere interessante estendere tale percentuale a tutti i progetti indirizzati al consumo di ortofrutta, prevedendo, come accennato, risorse adeguate.

 

Sommario rivista Nicola Castellani


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