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Dalla Lombardia un esempio da seguire |
Il coordinamento e la compattezza dimostrata finora dalla
rappresentanza agricola regionale nella trattativa per la definizione del
prezzo del latte con gli industriali dimostra che, quando si è uniti,
risultati insperati sono alla portata
Nel mondo del latte lombardo abbiamo osservato, nel giro di poche
settimane, due novità importanti riferite alla trattativa per la definizione
del prezzo per la campagna 2007: dopo alcune iniziative a livello locale per
«sensibilizzare» i produttori, il 22 gennaio si è costituito un Comitato
regionale di coordinamento sul latte tra Coldiretti Lombardia, Federlombarda
Agricoltori e Cia Lombardia, al quale hanno aderito anche le principali
cooperative di raccolta latte della regione.
A meno di un mese di distanza, il 19 febbraio si è avuta dopo molti mesi
infruttuosi una prima riunione – bissata poi la settimana successiva – tra
le organizzazioni agricole e Assolatte regionale, dove pare che si sia
raccolta da entrambe le parti una disponibilità a non cristallizzarsi su
posizioni predefinite, in particolare sulla questione spinosa della «tabella
qualità». Ricordiamo che sui parametri della «tabella qualità» si erano
arenate le trattative interprofessionali dello scorso luglio, fortemente
volute dall’Amministrazione regionale per cercare di uscire da una
situazione per la quale, da quattro anni, non si riesce a raggiungere un
accordo.
All’epoca, Assolatte aveva proposto una tabella che, confrontata con
l’ultimo schema concordato nel 2002, aveva il vantaggio di avvicinarsi alla
realtà produttiva media europea.
Tuttavia essa presentava due grossi elementi di criticità che la rendevano
praticamente inaccettabile da parte delle organizzazioni agricole. In
primis, la modifica dei parametri e della loro valutazione economica si
traduceva in un taglio di prezzo dell’ordine del 3-4%, che ovviamente poteva
essere discusso solo assieme alla determinazione del prezzo del latte.
Inoltre, per effetto della riduzione del premio sulle proteine, la proposta
di Assolatte risultava penalizzante particolarmente sul latte migliore,
costituendo un disincentivo per i produttori a lavorare per ottenere un
latte di alta qualità.
Quello che la scorsa estate rappresentava un elemento di incomunicabilità –
al punto che anche una proposta di mediazione della Regione era stata
giudicata, da parte industriale, non praticabile – oggi sembra invece
diventato un terreno di possibile accordo.
Certamente le condizioni di mercato sono nel frattempo mutate. Secondo i
nostri calcoli, il «valore» del litro di latte alla stalla, tra luglio 2006
e gennaio 2007, è aumentato del 2,2-2,3%. In questo aumento, un effetto di
traino proviene soprattutto dal mercato europeo.
In Germania, ad esempio, sono in crescita sia le quotazioni dei prodotti
derivati che, per la prima volta da diversi anni, il prezzo pagato ai
produttori. Quel che è più significativo, nell’arco degli ultimi sei mesi
sono cambiate le tendenze. A luglio 2006 il valore calcolato per litro latte
risultava essere inferiore del 2,5% rispetto a un anno prima, denotando
quindi una situazione in deterioramento.
A gennaio, invece, l’indice mostra un guadagno, sempre in un anno,
dell’1,3%, suggerendo quindi che nei mesi a venire ci si deve aspettare un
mercato ancora più sostenuto. D’altra parte non sono mancati di recente dei
segnali, ancorché contraddittori, di disponibilità da parte delle imprese di
trasformazione.
Qualche settimana fa il presidente dell’Associazione delle imprese
lattiero-casearie piemontesi aveva prospettato la possibilità che, in caso
di aumento della disponibilità di materia prima (leggasi: di rimozione di
ostacoli alla crescita della produzione), le imprese di trasformazione
avrebbero potuto considerare aumenti di prezzo, giustificandoli con la
possibilità di miglior utilizzo della capacità produttiva. La logica
economica è quantomeno discutibile: da che mondo è mondo, un aumento
dell’offerta di materia prima si traduce in una riduzione di prezzo, non in
un aumento. Rimane il fatto che un aumento del prezzo alla stalla viene
messo tra le ipotesi possibili.
Quindi certamente lo scenario di mercato sta cambiando. Ma nell’interpretare
la ripresa delle trattative lombarde non si devono sottostimare, a mio
giudizio, gli effetti del coordinamento tra le organizzazioni agricole.
Non si tratta solo di considerazioni sul peso contrattuale, che pure
esistono. Soprattutto, un mondo agricolo che parli all’unisono e si dimostri
disposto ad adottare comportamenti comuni, costituisce per gli acquirenti un
interlocutore forse meno manovrabile, ma certamente più serio e affidabile.
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