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2006 |
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TRIBUTARIA |
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Fisco incerto sui titoli della pac |
Contabilità e trattamento fiscale da chiarire
I titoli pac, che rappresentano un diritto a incassare dei contributi,
sono diversi dai diritti a produrre, come le quote latte, o dai diritti al
reimpianto del vigneti. Questa diversità pone problemi di gestione contabile
e fiscale che il legislatore deve affrontare al più presto Nelle
scorse settimane le aziende agricole hanno ricevuto dall’Agea la
comunicazione con la quale sono stati notificati numero e valore dei diritti
pac assegnati, i quali, una volta attribuiti definitivamente, possono anche
essere ceduti. Addentrandoci nell’aspetto fiscale dell’argomento, non si può
fare a meno di affrontare la materia ricollegandosi e ripercorrendo la
vicenda degli altri diritti e quote che ormai da anni regolano alcune
produzioni agricole, ai quali i titoli pac si aggiungono, facendo alcune
distinzioni particolari.
Un po’ di storia
Finora i contributi pac percepiti dalle aziende erano a tutti gli effetti
contributi in conto esercizio, percepiti sulla base delle coltivazioni
praticate, e dunque ricavi, i quali andavano ad aumentare il reddito
imponibile fiscalmente, anche ai fini Irap, solamente per le aziende che
operavano in reddito d’impresa (prevalentemente società, a esclusione delle
società semplici). Per la maggior parte degli agricoltori, invece, il loro
incasso era irrilevante dal punto di vista fiscale, in quanto il reddito
derivante dall’attività agricola era (ed è tuttora) soggetto alle imposte
sul reddito in base alle rendite catastali dei terreni; essendo anche
escluso dall’applicazione dell’Iva e dall’emissione di fattura, l’importo
dei contributi non era per costoro soggetto nemmeno a Irap.
Ora, invece, il contributo viene annualmente percepito sulla base dei
diritti pac attribuiti, i quali rappresentano un nuovo titolo che nel
settore agricolo va ad aggiungersi a quelli già esistenti, quali ad esempio
le quote latte (ma anche i diritti di reimpianto dei vigneti, ecc.); queste
vengono contabilmente considerate come immobilizzazioni immateriali, essendo
assimilabili a licenze o concessioni, e imputabili alla voce B, I, 4 del
bilancio redatto secondo l’articolo 2424 del Codice civile, obbligatorio per
le società di capitali, nonché ammortizzate in quanto beni strumentali
all’attività agricola svolta.
La vendita delle quote latte va fatturata (al momento del pagamento
dell’importo stabilito) applicando l’Iva nella misura del 20%, la quale va
versata interamente mentre, nel caso in cui la cessione avvenga
unitariamente all’azienda agricola, mediante apposito atto, deve essere
pagata l’imposta di registro.
Per coloro che determinano il reddito imponibile sulla base dei costi e
ricavi d’esercizio, in quanto operano in reddito d’impresa, al pari di
quanto avviene per gli altri beni, la cessione di quote latte produce
plusvalenza tassabile, che viene calcolata sulla base della differenza tra
il valore di acquisto e quello di vendita. Nel caso di aziende agricole
individuali e società semplici, invece, la cessione delle quote rientra
nell’attività agricola esercitata, che viene tassata sulla base dei redditi
catastali dei terreni condotti e dunque non genera plusvalenza tassabile.
L’operazione risulta comunque rilevante ai fini dell’applicazione dell’Irap,
se avviene con l’emissione di fattura, poiché la vendita è compresa tra le
registrazioni effettuate ai fini Iva che formano la base imponibile. Le
società diverse dalle società semplici, soggette al reddito d’impresa,
applicano invece l’Irap sulla plusvalenza derivante dalla vendita delle
quote; per costoro si evidenzia che i titoli pac assegnati, al pari delle
quote latte non acquistate ma attribuite in base alla produzione storica,
non vanno ammortizzati in quanto non c’è un costo iniziale e nel caso di
cessione l’intero corrispettivo percepito rappresenta una plusvalenza.
Diverse interpretazioni
Sorge dunque anche il problema di valutare, ed esporre contabilmente (per le
aziende obbligate al bilancio), una voce patrimoniale che non corrisponde a
un costo sostenuto, e successivamente di rilevare annualmente gli incassi
dei contributi.
Inoltre, a differenza ad esempio delle quote latte – le quali rappresentano
il quantitativo di produzione concesso a ogni azienda e dunque un diritto a
produrre, oppure dei diritti di reimpianto dei vigneti che danno
all’agricoltore il diritto di impiantare un nuovo vigneto – i titoli pac
rappresentano innanzitutto un diritto a incassare dei contributi, e questa
differenza crea ulteriori difficoltà nella loro gestione contabile e
fiscale.
Infatti, mentre alcune interpretazioni porterebbero alla conclusione che i
diritti pac devono subire lo stesso trattamento fiscale e contabile delle
immobilizzazioni immateriali, al pari delle quote latte o altri diritti come
sopra esaminato, altre interpretazioni, a mio avviso più corrette, prevedono
che gli stessi vadano invece assimilati ai crediti. In questo caso i crediti
andrebbero inseriti in contabilità al valore (di presumibile realizzo) dei
contributi stimati fino al 2013, anno fino al quale rimarrà questo regime
della pac, utilizzando come contropartita la voce risconti passivi. Ogni
anno i due conti andrebbero chiusi per l’importo incassato, riferito al
ricavo d’esercizio. A sfavore di questa tesi potrebbe essere evidenziata la
non certezza del credito, che potrebbe divenire inesigibile nel caso di
perdita dei requisiti di legge.
La differenza tra le due posizioni non è irrilevante, basti pensare che nel
caso di cessione dei crediti, non trattandosi di beni o servizi,
l’operazione è esclusa dal campo di applicazione dell’Iva.
A oggi non esistono norme e nemmeno principi contabili che aiutino a fare
chiarezza sull’argomento e dunque per dare certezza agli operatori del
settore si ritiene urgente un intervento del legislatore, altrimenti si
rischia la confusione sia da parte di coloro che devono operare nella
pratica, sia da parte di coloro che devono verificare il rispetto delle
norme.
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