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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
 
9
 23 Feb.-2 Mar.

  2006
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Editoriale

Uomini preparati per vendere bene
Gabriele Canali

In un mercato agricolo sempre più aperto la capacità di commerciare al meglio le produzioni italiane ha assunto un ruolo determinante. Fattori culturali ed economici ostacolano la crescita di giovani professionisti nel settore commerciale specializzati nell’agroalimentare   

Nella difficile situazione che sta attraversando l’agroalimentare nazionale, molti chiedono spesso cosa fare, su quali elementi sia più urgente e importante agire e con quali strumenti.
Non è facile sviluppare ragionamenti e ipotizzare soluzioni di carattere generale, soprattutto nel contesto attuale nel quale le diverse imprese agricole e agroalimentari, i diversi territori, i diversi comparti produttivi devono trovare le migliori risposte alla grande sfida posta dalla crescente concorrenza sui mercati e dalla diminuzione rapida e sensibile delle forme di protezione e di supporto un tempo garantite dalla pac. In questa situazione, tuttavia, vi sono alcuni punti fermi di carattere generale: se da un lato è necessario proseguire sulla strada dell’innovazione, dall’altro è ormai chiaro che il ruolo centrale nell’attività d’impresa, anche in agricoltura, deve essere riconosciuto alle decisioni di natura economica, gestionale e soprattutto commerciale. È necessario, cioè, variare la distribuzione del tempo dedicato dall’imprenditore agricolo, e del personale in genere, spostandolo dall’attività di produzione e controllo in senso stretto a quella di gestione della fase economica e commerciale.
Ciò è sicuramente evidente nei comparti che più direttamente si confrontano, per la natura dei loro prodotti, con la distribuzione finale o direttamente con i consumatori: basti pensare al vino, all’ortofrutta, ecc. La centralità della fase commerciale, inoltre, è ancora più evidente se i prodotti cui ci si riferisce trovano, o meglio dovrebbero e potrebbero trovare, nei mercati esteri uno sbocco importante, se non decisivo.
Questo è particolarmente vero proprio in questa fase della competizione internazionale: se da un lato, infatti, l’Italia sembra destinata a importare in misura crescente prodotti per i quali non ha un particolare vantaggio comparato, dall’altro la misura del successo del nostro sistema agroalimentare deve essere trovata nella sua capacità di rispondere a questa sfida, proprio vendendo con successo i nostri prodotti per i quali abbiamo, invece, vantaggi competitivi e comparati sui mercati del resto dell’Europa e su quelli extraeuropei.
Ma il riconoscimento di questa nuova centralità della commercializzazione pone in evidenza, quasi inevitabilmente, uno dei più gravi ritardi e handicap di larga parte dell’agricoltura e dell’agroalimentare nazionale: mancano, troppo spesso, risorse umane «fresche», preparate, motivate. Esiste, cioè, una difficoltà a creare un meccanismo virtuoso per il quale le opportunità di crescita vengono colte grazie anche all’ingresso in azienda di nuovi giovani professionisti adeguatamente motivati, anche economicamente, da destinare alla commercializzazione, all’identificazione e allo sviluppo dei «motori» di vantaggio competitivo; ciò provoca un aumento della domanda di «risorse umane» preparate e competenti, che quindi avranno incentivo a formarsi e a specializzarsi adeguatamente sull’agroalimentare, sia in Italia sia all’estero, e potranno portare, successivamente, nuove energie al sistema delle imprese.
In realtà troppo spesso si verifica invece un circolo vizioso: le imprese si lamentano perché non riescono a rafforzare la loro competitività e la loro capacità di penetrazione commerciale sui mercati, ma non investono in risorse umane perché ritengono che non sia possibile data la forte concorrenza. Ciò determina, da un lato l’ulteriore perdita di competitività delle aziende stesse, e dall’altro un disincentivo per i giovani più dinamici e capaci a occuparsi e specializzarsi sui temi e sulle esigenze specifiche dell’agroalimentare.
Non ci si può nascondere, tuttavia, anche il fatto che la difficoltà nel cogliere la centralità delle risorse umane, soprattutto con riferimento alle funzioni economiche e commerciali, dipende sia da un’arretratezza nella cultura imprenditoriale e manageriale, sia da un’oggettiva difficoltà dovuta alle dimensioni spesso troppo limitate di tante aziende, private e/o cooperative.
Per superare questi vincoli iniziali non resta che agire per comprendere anzitutto la portata della sfida e le opportunità che una risposta adeguata in termini di investimento sulle risorse umane può determinare, ma anche trovare forme organizzative più avanzate, a livello cooperativo o territoriale, per consentire il raggiungimento di dimensioni di scala idonee per sbloccare l’accesso e l’impiego di queste qualificate risorse.

Sommario rivista Gabriele Canali


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