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Uomini preparati per vendere bene |
In un mercato agricolo sempre più aperto la capacità di commerciare al
meglio le produzioni italiane ha assunto un ruolo determinante. Fattori
culturali ed economici ostacolano la crescita di giovani professionisti nel
settore commerciale specializzati nell’agroalimentare
Nella difficile situazione che sta attraversando l’agroalimentare
nazionale, molti chiedono spesso cosa fare, su quali elementi sia più
urgente e importante agire e con quali strumenti.
Non è facile sviluppare ragionamenti e ipotizzare soluzioni di carattere
generale, soprattutto nel contesto attuale nel quale le diverse imprese
agricole e agroalimentari, i diversi territori, i diversi comparti
produttivi devono trovare le migliori risposte alla grande sfida posta dalla
crescente concorrenza sui mercati e dalla diminuzione rapida e sensibile
delle forme di protezione e di supporto un tempo garantite dalla pac. In
questa situazione, tuttavia, vi sono alcuni punti fermi di carattere
generale: se da un lato è necessario proseguire sulla strada
dell’innovazione, dall’altro è ormai chiaro che il ruolo centrale
nell’attività d’impresa, anche in agricoltura, deve essere riconosciuto alle
decisioni di natura economica, gestionale e soprattutto commerciale. È
necessario, cioè, variare la distribuzione del tempo dedicato
dall’imprenditore agricolo, e del personale in genere, spostandolo
dall’attività di produzione e controllo in senso stretto a quella di
gestione della fase economica e commerciale.
Ciò è sicuramente evidente nei comparti che più direttamente si confrontano,
per la natura dei loro prodotti, con la distribuzione finale o direttamente
con i consumatori: basti pensare al vino, all’ortofrutta, ecc. La centralità
della fase commerciale, inoltre, è ancora più evidente se i prodotti cui ci
si riferisce trovano, o meglio dovrebbero e potrebbero trovare, nei mercati
esteri uno sbocco importante, se non decisivo.
Questo è particolarmente vero proprio in questa fase della competizione
internazionale: se da un lato, infatti, l’Italia sembra destinata a
importare in misura crescente prodotti per i quali non ha un particolare
vantaggio comparato, dall’altro la misura del successo del nostro sistema
agroalimentare deve essere trovata nella sua capacità di rispondere a questa
sfida, proprio vendendo con successo i nostri prodotti per i quali abbiamo,
invece, vantaggi competitivi e comparati sui mercati del resto dell’Europa e
su quelli extraeuropei.
Ma il riconoscimento di questa nuova centralità della commercializzazione
pone in evidenza, quasi inevitabilmente, uno dei più gravi ritardi e
handicap di larga parte dell’agricoltura e dell’agroalimentare nazionale:
mancano, troppo spesso, risorse umane «fresche», preparate, motivate.
Esiste, cioè, una difficoltà a creare un meccanismo virtuoso per il quale le
opportunità di crescita vengono colte grazie anche all’ingresso in azienda
di nuovi giovani professionisti adeguatamente motivati, anche
economicamente, da destinare alla commercializzazione, all’identificazione e
allo sviluppo dei «motori» di vantaggio competitivo; ciò provoca un aumento
della domanda di «risorse umane» preparate e competenti, che quindi avranno
incentivo a formarsi e a specializzarsi adeguatamente sull’agroalimentare,
sia in Italia sia all’estero, e potranno portare, successivamente, nuove
energie al sistema delle imprese.
In realtà troppo spesso si verifica invece un circolo vizioso: le imprese si
lamentano perché non riescono a rafforzare la loro competitività e la loro
capacità di penetrazione commerciale sui mercati, ma non investono in
risorse umane perché ritengono che non sia possibile data la forte
concorrenza. Ciò determina, da un lato l’ulteriore perdita di competitività
delle aziende stesse, e dall’altro un disincentivo per i giovani più
dinamici e capaci a occuparsi e specializzarsi sui temi e sulle esigenze
specifiche dell’agroalimentare.
Non ci si può nascondere, tuttavia, anche il fatto che la difficoltà nel
cogliere la centralità delle risorse umane, soprattutto con riferimento alle
funzioni economiche e commerciali, dipende sia da un’arretratezza nella
cultura imprenditoriale e manageriale, sia da un’oggettiva difficoltà dovuta
alle dimensioni spesso troppo limitate di tante aziende, private e/o
cooperative.
Per superare questi vincoli iniziali non resta che agire per comprendere
anzitutto la portata della sfida e le opportunità che una risposta adeguata
in termini di investimento sulle risorse umane può determinare, ma anche
trovare forme organizzative più avanzate, a livello cooperativo o
territoriale, per consentire il raggiungimento di dimensioni di scala idonee
per sbloccare l’accesso e l’impiego di queste qualificate risorse.
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