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Grande è meglio, politica agricola da rivedere |
L’efficienza nel settore agricolo è strettamente correlata alla
crescita della dimensione economica. La politica dovrebbe tenerne conto e
mirare meglio gli interventi per lo sviluppo, scavalcando pregiudizi vecchi
e nuovi
I numeri stanno lì a dimostrarlo in tutta evidenza: in agricoltura, la
produzione di nuova ricchezza passa attraverso la crescita delle dimensioni
economiche delle aziende. I numeri di cui parlo sono i risultati economici
del settore agricolo per gli anni 2003-2004, presentati pochi giorni fa
dall’Istat sulla base delle rilevazioni Rea, Rica e Inea.
Il valore della produzione ottenuta da ogni unità di lavoro impiegata nelle
aziende con oltre 500.000 euro di fatturato annuo risulta di quasi cinque
volte superiore a quella ottenuta nelle aziende con fatturato compreso tra
10.000 e 500.000 euro e, addirittura, superiore di quasi venti volte a
quello delle aziende che fatturano annualmente meno di 10.000 euro.
In valori assoluti: 176.000 euro/ula (unità lavoro adulto) le più grandi,
38.246 euro/ula quelle medie e 9.172 euro/ula quelle piccole.
Sfortunatamente, e qui risulta in tutta evidenza la debolezza strutturale
dell’agricoltura italiana, le aziende più grandi non raggiungono il mezzo
punto percentuale, quelle di dimensioni intermedie incidono per poco meno
del 27% e le piccole e piccolissime imprese superano il 70%. Ne consegue che
lo 0,4% delle aziende produce oltre il 18% del valore aggiunto totale del
settore agricolo, il 26,7% oltre il 71% e il restante 72,9% supera di poco
il 10%.
Il valore aggiunto delle imprese concorre alla formazione del prodotto
interno lordo nazionale (pil) che rappresenta la produzione annua di nuova
ricchezza e che costituisce la condizione necessaria, ancorché non
sufficiente, per il benessere della gente.
Va da sé che la crescita economica non deve avvenire in contrasto con i
grandi principi etici della libertà, della solidarietà, dei valori culturali
e del rispetto della natura.
Certamente, in non pochi casi, alla crescita economica si sono sacrificati
in misura non trascurabile tali principi e valori, ma con altrettanta
evidenza la storia ha dimostrato come il blocco dello sviluppo economico sia
sempre andato contro il benessere morale e materiale delle popolazioni e il
rispetto dell’ambiente.
Quindi, quanto più l’economia è globalizzata e competitiva, tanto più si
deve chiedere a ogni settore produttivo di concorrere al massimo delle sue
possibilità alla formazione del pil e di conseguenza al miglioramento delle
condizioni di vita.
La lettura dei risultati economici fornisce indicazioni molto chiare per la
formulazione delle politiche agricole: la maggioranza delle aziende agricole
italiane (oltre il 70%) necessita di politiche sociali di accompagnamento
degli addetti alla cessazione dell’attività, evitando loro disagi
ingiustificati e inaccettabili per un Paese socialmente ed economicamente
sviluppato.
È sul restante 30% che si devono concentrare gli interventi per lo sviluppo.
Per queste aziende il perseguimento dell’obiettivo dell’efficienza appare
strettamente correlato alla crescita della dimensione economica. Gli
strumenti di intervento sono noti e sperimentati: innovazione tecnologica di
processo e di prodotto, liberalizzazione e flessibilità nell’uso delle
risorse fondamentali della terra e del lavoro, incentivi finanziari.
Sono convinto che negli ambienti politici, almeno nei più avveduti, vi sia
una visione dei problemi dell’agricoltura italiana molto più consapevole di
quanto non venga apertamente manifestato. Compito della classe politica non
è solo quello di concepire una adeguata strategia di intervento, ma,
soprattutto, quello di promuovere il necessario consenso per sostenerla e,
infine, quello di organizzare strutture in grado di attuarla. Ed è proprio
nella ricerca del consenso che sorgono oggi gli ostacoli maggiori. Vecchi e
nuovi pregiudizi condizionano in misura pesante l’azione politica.
Permangono ancora antiche incrostazioni ideologiche, ancorché del tutto
superate dal corso della storia, che non vedono con favore lo sviluppo
dell’impresa in economia, con spiccate caratteristiche di imprenditorialità,
anche se, come abbiamo visto, fornisce le migliori performance. Ciò
nonostante la dimensione economica risulti molto spesso inferiore a quella
delle piccole e medie imprese artigianali, che pure godono di un ampio e
diffuso consenso sociale. Il politico deve, inoltre, combattere con una
distorta ipersensibilità delle persone sui problemi ambientali seminata a
piene mani da coloro che se ne servono come trampolino di lancio per la
carriera politica o per la creazione di influenti lobby economiche e
culturali. La speranza è che la lucida analisi dei numeri sgombri
l’orizzonte della politica agraria dalle troppe chiacchiere e solleciti a
imboccare la via di una nuova modernizzazione.
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