Cuor di Bue e Vesuviani sono in piena espansione. Mini San Marzano e
mini Costoluto di Albenga sono solo le ultime tipologie per soddisfare un
mercato desideroso di novità. I criteri da adottare nella scelta delle
varietà
Il termine qualità ha, nei vegetali, un significato piuttosto vasto, che
dovrebbe comprendere anche quei parametri che si riferiscono alla sanità del
prodotto, ma molto più comunemente racchiude l’insieme delle caratteristiche
riguardanti la composizione chimica e l’aspetto esteriore. Il suo
miglioramento ha lo scopo di aumentare l’accettabilità da parte del
consumatore.
Fino a non più di 20 anni fa il pomodoro, di qualsiasi tipologia, veniva
raccolto verde o, al più, «rosato» perché a maturazione fisiologica non era
conservabile né facilmente manipolabile nei magazzini di lavorazione. Il
frutto, quindi, proseguiva la sua maturazione durante il trasporto e nei
magazzini in modo da raggiungere i mercati lontani ancora in condizioni
idonee alla commercializzazione. Tutto ciò andava a scapito della qualità
esteriore e soprattutto del gusto.
Un primo grande passo verso il miglioramento della qualità è stato pertanto
compiuto con lo sfruttamento pratico delle caratteristiche determinate da
alcuni geni naturali capaci di condizionare alcuni processi deleteri legati
alla maturazione fisiologica del frutto.
Grappolo rosso e ciliegini
Le cultivar oggi più diffuse, sia a frutto tondo di medie dimensioni, sia a
frutto cerasiforme, sono ibridi eterozigoti per dei geni (rin =
ripening inibitor, nor = non ripening o, raramente, alc =
alcobaca) capaci di rallentare il processo di maturazione e di consentire
una prolungata conservabilità (long shelf life o extended high quality). I
due mutanti, rin e nor, presenti allo stato eterozigote nelle cultivar
commerciali, dove sono stati introdotti con tecniche tradizionali, allo
stato omozigote inibiscono la maturazione del frutto, che non assume la
colorazione rossa, ma gialla o lievemente rosata; la colorazione è, invece,
normale quando essi si trovano nella condizione eterozigote dell’ibrido F1;
alc, anche allo stato omozigote, consente di ottenere frutti rossi ma
con un più basso contenuto di licopene.
L’uso di questi geni, dopo iniziali difficoltà a causa dei difetti di
colorazione e del maggior ritardo di maturazione nelle cultivar in cui erano
presenti, è stato notevolmente migliorato. Le prime cultivar di successo,
come molte altre oggi in diffusione, hanno origine israeliana.
Lo sfruttamento pratico di mutanti naturali capaci di rallentare i processi
di decadimento qualitativo in post-raccolta ha permesso il successo della
raccolta dei frutti a maturazione rossa sia nei tipi tondi di medie
dimensioni sia nei cerasiformi.
La presenza dei due mutanti rin e nor (dei due il più
utilizzato sembra essere rin) allo stato omozigote inibisce quasi
completamente la produzione dell’enzima poligalatturonasi, che è il
principale responsabile del rammollimento dei frutti in quanto catalizza le
reazioni di demolizione delle pectine; inoltre modifica i processi di
respirazione del frutto e impedisce l’incremento della produzione di etilene
durante la maturazione. A questi aspetti positivi, però, si contrappongono
più bassa produzione di carotenoidi, gusto e aroma sotto i livelli standard,
specialmente negli eterozigoti con nor.
Lo sfruttamento pratico di queste conoscenze ha portato alla diffusione in
coltura e sul commercio dei pomodori commercializzati rossi sia a frutto
singolo che a grappolo. Ed è sempre all’impiego pratico dei suddetti geni
che è legato il successo dei tipi ciliegino.
Se a questa evoluzione è legata la possibilità della raccolta a frutto rosso
un ulteriore passo è in atto per migliorare queste tipologie nel gusto. Oggi
un numero sempre più elevato di ditte propone tipi chiamati «supergusto»
perché, come indica l’aggettivo, migliorati nell’aspetto più carente delle
tipologie «long shelf life».
Coltura protetta
Il pomodoro da mensa viene coltivato sia in coltura protetta, dove si
applicano diverse soluzioni tecniche e agronomiche, sia in pieno campo. In
alcuni e non secondari aspetti i due ambienti e le tecniche adottate,
richiedendo un adattamento specifico delle cultivar, hanno obbligato il
breeder a porsi obiettivi diversificati e a trovare soluzioni che permettano
di ottenere produzioni soddisfacenti sia quantitativamente che
qualitativamente. Il successo di una cultivar in coltura protetta è legato,
in modo particolare, al suo adattamento non solo alla ridotta luminosità,
alle basse temperature e all’elevata umidità, che sono condizioni tipiche
delle colture extrastagionali, ma anche alle forti oscillazioni di tali
condizioni (anche nel corso delle 24 ore) all’interno dell’apprestamento
protettivo nell’ambiente mediterraneo. La produttività in condizioni
intensive di coltura ma ancor più l’elevata precocità di produzione sono
altri parametri irrinunciabili, come pure la resistenza ai parassiti, che
nelle condizioni di elevata umidità e di alte o basse temperature e di
mancanza di rotazioni moltiplicano la propria virulenza. Anche la scelta per
la vigoria e la fogliosità della pianta deve portare a risultati diversi, in
dipendenza dell’ambiente di coltivazione. Per il pomodoro, inoltre, è
importante scegliere la cultivar in base alla risposta a eventuali
trattamenti ormonali alleganti ai fiori.
In coltura protetta si preferiscono piante poco vigorose, in considerazione
dei superiori input agronomici forniti, e piante poco fogliose, che
favoriscano la penetrazione e la diffusione della luce all’interno della
vegetazione e una maggiore aerazione. Al contrario, in pieno campo, vigoria
e copertura fogliare sono una garanzia verso i più frequenti stress idrici e
nutrizionali e verso gli effetti di una maggiore esposizione dei frutti alla
radiazione solare nel periodo estivo, in cui luminosità e temperatura in
eccesso possono danneggiare la qualità della produzione. In entrambi gli
ambienti gli ibridi F1 hanno sostituito quasi del tutto ecotipi e varietà
per i vantaggi che essi danno in termini di precocità, uniformità, elevate
produzioni e resistenze multiple ai parassiti.
Resistenza ai parassiti
Il pomodoro è sensibile a decine di parassiti, alcuni dei quali possono
arrecare danni prossimi anche al 100% della plv. Il controllo con prodotti
chimici non sempre risulta efficace e anche il miglioramento delle tecniche
agronomiche non può essere risolutivo; il ricorso alle cultivar dotate di
geni capaci di conferire resistenza diviene quindi necessario. L’odierna,
ampia disponibilità di cultivar con resistenze genetiche dipende dalla
disponibilità di fonti naturali della resistenza stessa. Nel pomodoro sono
stati largamente usati geni maggiori dominanti o parzialmente dominanti che
conferiscono resistenza specifica o verticale. Geni minori recessivi o
complessi genici (resistenza orizzontale o poligenica) sono stati utilizzati
con minore successo solo in mancanza di geni dominanti. Molto diffuse in
commercio sono cultivar definite tolleranti a un determinato patogeno; la
tolleranza, termine usato ma non corretto, è una definizione più che altro
agronomica e si riferisce alla capacità di certe cultivar di fornire rese
quasi normali, pur mostrando inequivocabili e diffusi sintomi della
malattia. L’impiego di mutanti naturali è iniziato da molti anni e oggi sono
disponibili linee, varietà e ibridi con resistenze multiple a funghi e
batteri.
Recente è la necessità di adottare cultivar con resistenze a virus prima
poco diffusi, quali TSWV e TYLCV, mentre con i divieti imposti nell’uso del
Bromuro di metile tornano a essere ancor più necessarie resistenze efficaci
a nematodi e tracheomicosi. A volte, proprio la presenza di queste
resistenze a virus «nuovi» e a nematodi deve condizionare la scelta
varietale.
L’impiego di collaudati portinnesti non è da trascurare in presenza di
terreni fortemente infetti.
Tipologie coltivate
Oltre alle considerazioni precedenti, per una corretta ed economicamente
efficace scelta varietale, è necessario conoscere il mercato di
destinazione. Scegliere un ibrido, oggi, è oltremodo complesso anche per
l’esistenza di nicchie commerciali che richiedono specifiche cultivar magari
pochissimo diffuse in molti mercati e areali di coltivazione.
Se da una parte l’ampia disponibilità di ibridi dalle eccellenti performance
è di grande aiuto per l’agricoltore, che evita gravi errori di scelta,
dall’altro non può che provocare forti dubbi nelle scelte stesse.
Prima di abbandonare una tipologia per un’altra o una cultivar per una
simile è opportuno averne verificato la validità nelle condizioni ambientali
in cui si opera (Nord, Centro, Sud, pieno campo o coltura protetta) e la
risposta alle tecniche agronomiche normalmente attuate come anche la reale
risposta agli attacchi parassitari (tutte le ditte dichiarano resistenze
alle più diffuse tracheomicosi e in molti ibridi risulta presente la
resistenza a nematodi) o la sensibilità agli stress abiotici capaci di
provocare danni fisiologici. Cambiamenti varietali non dovrebbero, pertanto,
essere repentini e radicali.
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