|
|
Requiem per le bietole |
Produrre di più con meno costi, solo così si potrà salvare la coltura
della barbabietola da zucchero in Italia. Le prospettive per elevare i
livelli produttivi sono però ridotte al minimo
Nei giorni scorsi è stata sostanzialmente decretata la fine di una
gloriosa coltura in Italia: la barbabietola da zucchero. Nella nostra storia
agricola è già successo più volte. Il baco da seta, ad esempio, con i filari
di gelso, i magazzini per l’allevamento dei bachi, le seterie. In tempi più
recenti, nel primissimo dopoguerra, è scomparsa la canapa. I maceri e le
vasche di fermentazione della canapa sopravvissute sono ormai beni storici
ambientali. Come si nota, non si tratta di un allevamento o di una coltura,
ma di un intero complesso agroindustriale. Sarà la stessa cosa per la
barbabietola? Tutto lo fa pensare.
Chi l’avrebbe detto che saremmo arrivati a rimpiangere quel pesante
carrozzone della coltura della bietola. Le vessazioni sul seme a volte
scadente, nella pratica imposto in barba a ogni legge sulla concorrenza.
L’antipatico obbligo di pagare in modo coattivo l’iscrizione a ipertrofiche
e a volte inutili associazioni di categoria. Non parliamo poi della
determinazione «arbitraria» da parte delle industrie delle tare e delle
percentuali di saccarosio nelle radici. Infine il dramma del caricamento
delle bietole sotto la pioggia, con autotreni affondati nei campi. Ma perché
si è sopportato tutto questo? Semplice: spesso si sono guadagnati dei
denari. Qualche anno o per abilità o per fortuna, anche molti. Come mai ora
si è arrivati allo smantellamento di un settore agricolo-industriale?
Per chi non ha seguito la vicenda, le cause, in sintesi, sono le seguenti:
l’Unione Europea, sotto la spinta del mercato internazionale, della Wto e
dei Paesi produttori di zucchero da canna, ha ridotto drasticamente il
prezzo garantito, quasi dimezzandolo. Con questo prezzo l’Italia intera non
può produrre bietole. è stata prevista una serie di ammortizzatori. Aiuti
molto consistenti alle industrie che dismettono gli impianti. Aiuti agli
agricoltori con premi disaccoppiati. Infine la mela avvelenata: aiuti
maggiorati a tutti se l’Italia dimezza la propria produzione. Saranno
sufficienti questi interventi a salvare qualcosa? Nessuno osa fare
previsioni. Ci vorranno due o tre anni per avere le idee più chiare. Intanto
le stime industriali parlano della sopravvivenza di sei, forse cinque
stabilimenti. La bietola ha costi di produzione altissimi. Nessuno può
coltivarla per azzardo. Occorrono ragionevoli certezze contrattuali di un
ricavo accettabile. Le speranze per la sua sopravvivenza ai prezzi stabiliti
dall’Ue sono pertanto legati a due fattori: meno costi e più produzione. Per
i costi si tratta di abolire i diserbi e ridurre il trattamento alla
cercospora. Per i diserbi occorre una bietola rr (Roundup resistente) come
per la soia. Ma questa caratteristica si ottiene solo con l’ingegneria
genetica. In Italia l’ogm è un tabù di fondamentalismo religioso. Per la
cercospora idem, ma forse qualcosa con la genetica tradizionale si può fare.
Per i livelli produttivi occorrono bietole capaci di produrre 15-16 t/ha di
saccarosio. Oggi siamo a 8-9 t/ha. Anche in questo caso la speranza è nella
genetica, sia tradizionale sia ogm. Comunque nulla di questo è sul mercato o
in stato avanzato nei laboratori di ricerca. C’è chi spera e crede che la
bietola possa essere sostituita o utilizzata nella produzione di
biocaburanti. Gli industriali chiedono finanziamenti in tal senso, non è una
ipotesi da scartare. Comunque si è solo all’inizio del percorso, che oltre
che tecnico, deve essere legislativo poiché senza sgravi fiscali non si può
fare nulla. Questa soluzione però riporta gli agricoltori al punto di
partenza: in ogni caso minori costi di produzione e maggiori rese. Non si
esce da questo imperativo.
Concludendo, oggi come oggi è difficile essere ottimisti. L’Europa e gli
«amici» del Nord (Francia, Germania, Belgio), che producono a costi molto
inferiori, ci hanno dato una bella botta a tradimento. Non si vedono
prospettive, a meno che questa crisi non attivi una grande energia di
risposta.
Con molta probabilità porteremo i nostri nipoti a vedere gli zuccherifici,
chiusi, come monumenti di una industria che fu, a meno che scienza e tecnica
non ci vengano incontro.
Resta il problema di cosa faranno gli agricoltori sugli ettari abbandonati e
cosa faranno i contoterzisti, i camionisti, cioè coloro le cui attività
ruotavano intorno alla bietola. Tutto sommato una bella diminuzione di
ricchezza collettiva. A favore di chi? Requiem.
|