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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
 
8
 17-23 Feb.

  2006
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Editoriale

Requiem per le bietole
Antonio Piccinini

Produrre di più con meno costi, solo così si potrà salvare la coltura della barbabietola da zucchero in Italia. Le prospettive per elevare i livelli produttivi sono però ridotte al minimo  

Nei giorni scorsi è stata sostanzialmente decretata la fine di una gloriosa coltura in Italia: la barbabietola da zucchero. Nella nostra storia agricola è già successo più volte. Il baco da seta, ad esempio, con i filari di gelso, i magazzini per l’allevamento dei bachi, le seterie. In tempi più recenti, nel primissimo dopoguerra, è scomparsa la canapa. I maceri e le vasche di fermentazione della canapa sopravvissute sono ormai beni storici ambientali. Come si nota, non si tratta di un allevamento o di una coltura, ma di un intero complesso agroindustriale. Sarà la stessa cosa per la barbabietola? Tutto lo fa pensare.
Chi l’avrebbe detto che saremmo arrivati a rimpiangere quel pesante carrozzone della coltura della bietola. Le vessazioni sul seme a volte scadente, nella pratica imposto in barba a ogni legge sulla concorrenza. L’antipatico obbligo di pagare in modo coattivo l’iscrizione a ipertrofiche e a volte inutili associazioni di categoria. Non parliamo poi della determinazione «arbitraria» da parte delle industrie delle tare e delle percentuali di saccarosio nelle radici. Infine il dramma del caricamento delle bietole sotto la pioggia, con autotreni affondati nei campi. Ma perché si è sopportato tutto questo? Semplice: spesso si sono guadagnati dei denari. Qualche anno o per abilità o per fortuna, anche molti. Come mai ora si è arrivati allo smantellamento di un settore agricolo-industriale?
Per chi non ha seguito la vicenda, le cause, in sintesi, sono le seguenti: l’Unione Europea, sotto la spinta del mercato internazionale, della Wto e dei Paesi produttori di zucchero da canna, ha ridotto drasticamente il prezzo garantito, quasi dimezzandolo. Con questo prezzo l’Italia intera non può produrre bietole. è stata prevista una serie di ammortizzatori. Aiuti molto consistenti alle industrie che dismettono gli impianti. Aiuti agli agricoltori con premi disaccoppiati. Infine la mela avvelenata: aiuti maggiorati a tutti se l’Italia dimezza la propria produzione. Saranno sufficienti questi interventi a salvare qualcosa? Nessuno osa fare previsioni. Ci vorranno due o tre anni per avere le idee più chiare. Intanto le stime industriali parlano della sopravvivenza di sei, forse cinque stabilimenti. La bietola ha costi di produzione altissimi. Nessuno può coltivarla per azzardo. Occorrono ragionevoli certezze contrattuali di un ricavo accettabile. Le speranze per la sua sopravvivenza ai prezzi stabiliti dall’Ue sono pertanto legati a due fattori: meno costi e più produzione. Per i costi si tratta di abolire i diserbi e ridurre il trattamento alla cercospora. Per i diserbi occorre una bietola rr (Roundup resistente) come per la soia. Ma questa caratteristica si ottiene solo con l’ingegneria genetica. In Italia l’ogm è un tabù di fondamentalismo religioso. Per la cercospora idem, ma forse qualcosa con la genetica tradizionale si può fare. Per i livelli produttivi occorrono bietole capaci di produrre 15-16 t/ha di saccarosio. Oggi siamo a 8-9 t/ha. Anche in questo caso la speranza è nella genetica, sia tradizionale sia ogm. Comunque nulla di questo è sul mercato o in stato avanzato nei laboratori di ricerca. C’è chi spera e crede che la bietola possa essere sostituita o utilizzata nella produzione di biocaburanti. Gli industriali chiedono finanziamenti in tal senso, non è una ipotesi da scartare. Comunque si è solo all’inizio del percorso, che oltre che tecnico, deve essere legislativo poiché senza sgravi fiscali non si può fare nulla. Questa soluzione però riporta gli agricoltori al punto di partenza: in ogni caso minori costi di produzione e maggiori rese. Non si esce da questo imperativo.
Concludendo, oggi come oggi è difficile essere ottimisti. L’Europa e gli «amici» del Nord (Francia, Germania, Belgio), che producono a costi molto inferiori, ci hanno dato una bella botta a tradimento. Non si vedono prospettive, a meno che questa crisi non attivi una grande energia di risposta.
Con molta probabilità porteremo i nostri nipoti a vedere gli zuccherifici, chiusi, come monumenti di una industria che fu, a meno che scienza e tecnica non ci vengano incontro.
Resta il problema di cosa faranno gli agricoltori sugli ettari abbandonati e cosa faranno i contoterzisti, i camionisti, cioè coloro le cui attività ruotavano intorno alla bietola. Tutto sommato una bella diminuzione di ricchezza collettiva. A favore di chi? Requiem.

Sommario rivista Antonio Piccinini


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