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La Coldiretti cambia la guida ma non la rotta |
Intervista a Sergio Marini, che succede a Paolo Bedoni
Il
nuovo presidente si troverà a guidare la più grande organizzazione
professionale agricola italiana in un momento storico difficile, ma le
parole d’ordine restano le stesse che hanno caratterizzato la Coldiretti
negli ultimi anni: attenzione all’impresa, difesa delle eccellenze italiane,
alleanza con il consumatore
Sergio Marini non ha avuto bisogno di prepararsi per il
discorso di investitura a presidente della Coldiretti.
La sua lunga carriera attraverso tutti gli scalini della massima
organizzazione professionale agricola italiana, e soprattutto la lunga
vicepresidenza accanto a Paolo Bedoni, gli hanno già consentito di
affrontare tutti i complessi problemi dell’agricoltura nazionale. Marini
quindi è un presidente nel segno della continuità della linea politica ed
economica di Coldiretti e lo dimostra il grande consenso avuto al momento
dell’elezione a scrutinio segreto con 282 voti a favore su 285.
Lo abbiamo raggiunto nella giornata di lunedì 12 febbraio, a tre giorni
dalla nomina, per cogliere le prime indicazioni che andranno a
caratterizzare la sua presidenza.
Presidente Marini, il commissario europeo Mariann Fischer Boel in una
recente esternazione ha affermato, in sintesi: «Agricoltori cercatevi un
secondo lavoro». Ma è proprio vero che l’agricoltura italiana, ed europea,
non è più in grado di assicurare agli imprenditori di gestire un’impresa
agricola professionale?
Ritengo che il commissario Fischer Boel si riferisse a un vecchio modo di
intendere l’agricoltura che va a perdere peso, ma l’agricoltura italiana ed
europea hanno tante possibilità di fare impresa. È evidente che parliamo di
un’agricoltura capace di puntare sull’impresa multifunzionale, di un’impresa
che sappia sfruttare la catena corta, di una impresa che, assieme ai propri
prodotti, riesca a vendere il territorio e la cultura, che sappia operare
nei campi dell’energia e dei servizi.
Ha elencato molte opportunità, ma non la produzione di alimenti. Rimane
questa la missione principale dell’agricoltura?
Il food rimane la missione centrale dell’agricoltura, ma bisogna poter
distinguere la qualità e l’origine del prodotto alimentare. L’impresa
agricola italiana potrà porre in evidenza sui mercati internazionali i
propri prodotti e le eccellenze che derivano dalla loro trasformazione solo
se riuscirà a farli riconoscere al consumatore. Bisogna poter «scrivere sul
prodotto» la sua origine e raccontare la sua eccellenza.
La battaglia per l’etichettatura del made in Italy prosegue, malgrado il
recepimento delle normative comunitarie che in buona parte non ne consentono
l’indicazione?
È un battaglia centrale. Per quanto ci riguarda l’azione per l’etichettatura
obbligatoria rimane una delle iniziative primarie a tutela dell’impresa, del
territorio e del cittadino consumatore.
A livello comunitario è in corso la revisione di due organizzazioni comuni
di mercato (ocm) fondamentali per l’Italia: l’ortofrutta e il vino.
Quali sono le linee che verranno adottate da
Coldiretti?
La materia delle due ocm è complessa e avremo modo di scendere più nel
dettaglio in prossimi interventi organici e mirati. Per il momento intendo
ribadire pochi concetti fondamentali validi nell’una come nell’altra ocm. La
posizione rimane quella di sempre: vorremmo delle riforme che mettano
l’impresa al centro, per poter scegliere e affrontare il mercato nel modo
che essa stessa ritiene più opportuno.
Inoltre le risorse devono essere destinate soprattutto alle imprese e in
particolare a quelle in grado di fare innovazione. È comunque necessario
mantenere la coerenza con le riforme di mercato già realizzate dalla
politica agricola comune.
La concertazione sarà sempre lo strumento che intendete utilizzare per
raggiungere i vostri obiettivi?
La concertazione rimane una parola d’ordine del confronto della Coldiretti
con le istituzioni a tutti i livelli territoriali. Ma è giunto il momento di
passare a una concertazione progettuale su obiettivi chiari e condivisi.
Soprattutto, occorre trasferire alle imprese i risultati ottenuti perché è
l’«ultimo miglio» quello che consente a una norma di diventare applicativa e
garantire occasioni di reddito e sviluppo. Ad esempio, riguardo ai piani di
sviluppo rurale, oltre a concertare le linee di carattere generale, dovremo
poter scendere anche sul piano della applicazione operativa.
Secondo lei è possibile che l’Italia possa giungere ai prossimi tavoli
comunitari con progetti più coesi sia a livello nazionale che con altre
organizzazioni professionali europee?
Il problema fondamentale non è di quanti si riconoscono in un unico
progetto, ma è la qualità del progetto che viene proposto. E quindi penso
che a monte di tutto ci debba essere un progetto di qualità che faccia
crescere il sistema delle imprese e il sistema territoriale, per consentire
all’impresa di vincere la sfida del mercato.
Se condividiamo il progetto è bene andare in Europa tutti uniti: saremo più
forti. Ma se ci sono opinioni diverse, l’unità diventa un aspetto
secondario. Credo nel valore della qualità del progetto e su questi temi non
possiamo pensare di trovare linee comuni con idee diverse.
Oggi dobbiamo andare verso un’impresa multifunzionale libera dalle briglie
della politica agricola comunitaria e pronta a confrontarsi liberamente sul
mercato, avendo particolare attenzione ai bisogni dei cittadini e dei
consumatori per trovare occasioni di reddito per le imprese. È necessario
interpretare le richieste della società e su queste costruire delle aree
competitive. Saremo alleati con chiunque pensa, come noi, di sostenere tali
obiettivi.
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