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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
7
 16 - 22 Feb.

  2007
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Attualità PRIMA PAGINA

La Coldiretti cambia la guida ma non la rotta

Intervista a Sergio Marini, che succede a Paolo Bedoni

Il nuovo presidente si troverà a guidare la più grande organizzazione professionale agricola italiana in un momento storico difficile, ma le parole d’ordine restano le stesse che hanno caratterizzato la Coldiretti negli ultimi anni: attenzione all’impresa, difesa delle eccellenze italiane, alleanza con il consumatore

Sergio Marini non ha avuto bisogno di prepararsi per il discorso di investitura a presidente della Coldiretti.
La sua lunga carriera attraverso tutti gli scalini della massima organizzazione professionale agricola italiana, e soprattutto la lunga vicepresidenza accanto a Paolo Bedoni, gli hanno già consentito di affrontare tutti i complessi problemi dell’agricoltura nazionale. Marini quindi è un presidente nel segno della continuità della linea politica ed economica di Coldiretti e lo dimostra il grande consenso avuto al momento dell’elezione a scrutinio segreto con 282 voti a favore su 285.
Lo abbiamo raggiunto nella giornata di lunedì 12 febbraio, a tre giorni dalla nomina, per cogliere le prime indicazioni che andranno a caratterizzare la sua presidenza.

Presidente Marini, il commissario europeo Mariann Fischer Boel in una recente esternazione ha affermato, in sintesi: «Agricoltori cercatevi un secondo lavoro». Ma è proprio vero che l’agricoltura italiana, ed europea, non è più in grado di assicurare agli imprenditori di gestire un’impresa agricola professionale?
Ritengo che il commissario Fischer Boel si riferisse a un vecchio modo di intendere l’agricoltura che va a perdere peso, ma l’agricoltura italiana ed europea hanno tante possibilità di fare impresa. È evidente che parliamo di un’agricoltura capace di puntare sull’impresa multifunzionale, di un’impresa che sappia sfruttare la catena corta, di una impresa che, assieme ai propri prodotti, riesca a vendere il territorio e la cultura, che sappia operare nei campi dell’energia e dei servizi.

Ha elencato molte opportunità, ma non la produzione di alimenti. Rimane questa la missione principale dell’agricoltura?
Il food rimane la missione centrale dell’agricoltura, ma bisogna poter distinguere la qualità e l’origine del prodotto alimentare. L’impresa agricola italiana potrà porre in evidenza sui mercati internazionali i propri prodotti e le eccellenze che derivano dalla loro trasformazione solo se riuscirà a farli riconoscere al consumatore. Bisogna poter «scrivere sul prodotto» la sua origine e raccontare la sua eccellenza.

La battaglia per l’etichettatura del made in Italy prosegue, malgrado il recepimento delle normative comunitarie che in buona parte non ne consentono l’indicazione?
È un battaglia centrale. Per quanto ci riguarda l’azione per l’etichettatura obbligatoria rimane una delle iniziative primarie a tutela dell’impresa, del territorio e del cittadino consumatore.
A livello comunitario è in corso la revisione di due organizzazioni comuni di mercato (ocm) fondamentali per l’Italia: l’ortofrutta e il vino.

Quali sono le linee che verranno adottate da Coldiretti?
La materia delle due ocm è complessa e avremo modo di scendere più nel dettaglio in prossimi interventi organici e mirati. Per il momento intendo ribadire pochi concetti fondamentali validi nell’una come nell’altra ocm. La posizione rimane quella di sempre: vorremmo delle riforme che mettano l’impresa al centro, per poter scegliere e affrontare il mercato nel modo che essa stessa ritiene più opportuno.
Inoltre le risorse devono essere destinate soprattutto alle imprese e in particolare a quelle in grado di fare innovazione. È comunque necessario mantenere la coerenza con le riforme di mercato già realizzate dalla politica agricola comune.

La concertazione sarà sempre lo strumento che intendete utilizzare per raggiungere i vostri obiettivi?
La concertazione rimane una parola d’ordine del confronto della Coldiretti con le istituzioni a tutti i livelli territoriali. Ma è giunto il momento di passare a una concertazione progettuale su obiettivi chiari e condivisi. Soprattutto, occorre trasferire alle imprese i risultati ottenuti perché è l’«ultimo miglio» quello che consente a una norma di diventare applicativa e garantire occasioni di reddito e sviluppo. Ad esempio, riguardo ai piani di sviluppo rurale, oltre a concertare le linee di carattere generale, dovremo poter scendere anche sul piano della applicazione operativa.

Secondo lei è possibile che l’Italia possa giungere ai prossimi tavoli comunitari con progetti più coesi sia a livello nazionale che con altre organizzazioni professionali europee?
Il problema fondamentale non è di quanti si riconoscono in un unico progetto, ma è la qualità del progetto che viene proposto. E quindi penso che a monte di tutto ci debba essere un progetto di qualità che faccia crescere il sistema delle imprese e il sistema territoriale, per consentire all’impresa di vincere la sfida del mercato.
Se condividiamo il progetto è bene andare in Europa tutti uniti: saremo più forti. Ma se ci sono opinioni diverse, l’unità diventa un aspetto secondario. Credo nel valore della qualità del progetto e su questi temi non possiamo pensare di trovare linee comuni con idee diverse.
Oggi dobbiamo andare verso un’impresa multifunzionale libera dalle briglie della politica agricola comunitaria e pronta a confrontarsi liberamente sul mercato, avendo particolare attenzione ai bisogni dei cittadini e dei consumatori per trovare occasioni di reddito per le imprese. È necessario interpretare le richieste della società e su queste costruire delle aree competitive. Saremo alleati con chiunque pensa, come noi, di sostenere tali obiettivi.
 

Sommario rivista Giovanni Rizzotti


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