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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
7
 16 - 22 Feb.

  2007
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Editoriale

L’«effetto serra» si vince anche dai campi
Gabriele Canali

L’agricoltura può svolgere un ruolo decisivo nell’assorbire l’anidride carbonica in atmosfera grazie a pratiche che favoriscano l’incremento della sostanza organica nel terreno. Queste attività si possono misurare e devono essere pagate

Spesso si è guardato all’agricoltura come a un settore che genera effetti solo negativi sull’ambiente.
Ciò, oltre a rappresentare una evidente distorsione della realtà, genera anche un clima culturale negativo presso l’opinione pubblica che certo non facilita un’adeguata comprensione delle reali dinamiche del settore, anche quando esse contribuiscono, in realtà, all’aumento del benessere della collettività. In particolare, sono ancora ignorate, troppo spesso, le azioni positive che il settore può svolgere, e in diversi casi ha svolto e svolge, sull’ambiente.
In economia questi effetti, sia positivi sia negativi, che un’attività economica può generare su altre attività senza che vi sia alcun pagamento, in un senso o nell’altro, sono definiti come esternalità; cioè attività svolte al di fuori del mercato. Nel caso di esternalità positive, l’assenza di specifici incentivi di natura economica determina un livello di attività «troppo basso» in quanto i benefici privati sono minori di quelli pubblici (o sociali).
In questo caso, se non si passa attraverso un’adeguata e corretta valutazione monetaria dell’esternalità e una conseguente introduzione di specifici meccanismi di incentivo e/o disincentivo, il raggiungimento della soluzione ottima dal punto di vista sociale resta assai improbabile. Così, ad esempio, poiché la collettività «non paga» per l’azione di gestione dell’assetto idrogeologico del terreno, specie in aree di collina e montagna, connesso a determinate attività produttive agricole, come ad esempio quelle di gestione di prati e pascoli, ne consegue che l’agricoltore, rispondendo solo ai prezzi dell’erba o del fieno che ne ricava, tende inevitabilmente a ridurre tale attività ma anche, di conseguenza, l’attività di gestione del territorio.
I costi che tale mancata cura genera poi sulla collettività, specie quella di pianura, sono purtroppo sempre più evidenti a tutti e quantitativamente importanti (frane, smottamenti, alluvioni, ecc.).
Uno dei temi che in questi ultimi anni va assumendo importanza crescente, sia a livello di ricerca scientifica che di opinione pubblica, è quello dei cambiamenti climatici dovuti, tra l’altro, all’immissione in atmosfera di crescenti quantità di anidride carbonica (CO2) con il conseguente incremento del cosiddetto «effetto serra».
Anche a questo proposito l’agricoltura viene talvolta considerata, superficialmente, solo come una delle fonti di «inquinamento». Certo, tutti gli animali allevati respirano e producono, anche per mezzo di fermentazioni, quantitativi di metano e protossido di azoto che in atmosfera generano effetto serra. Non si può nemmeno dimenticare che anche la fermentazione dei reflui zootecnici provoca, in certa misura, l’emissione in atmosfera di gas a effetto serra.
Tuttavia, ancora una volta ci si dimentica che la stessa agricoltura svolge, ma potrebbe svolgere ancor più, un ruolo decisivo nella riduzione della quantità di CO2 nell’atmosfera, se fossero adeguatamente riconosciuti gli effetti positivi di alcuni comportamenti e alcune specifiche attività.
I suoli agrari, infatti, costituiscono un potenziale di notevole entità per l’assorbimento del carbonio: è stato calcolato, ad esempio, che un incremento dello 0,1% di carbonio organico nei suoli italiani porterebbe all’assorbimento di circa 275 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, pari alla metà delle emissioni totali annue dell’Italia, includendo, quindi, tutte le emissioni dell’industria, dei trasporti, quelle domestiche, ecc.
Un contributo di questo tipo, che potrebbe anche sommarsi a quanto si può fare con una buona e ben regolata attività di forestazione, non è certamente trascurabile anche se, ovviamente, è tutt’altro che banale da realizzare.
Tuttavia, come ben sanno gli agricoltori più avveduti, l’incremento di sostanza organica nel terreno si può ottenere con un impiego razionale delle rotazioni, con una migliorata restituzione della sostanza organica non utilizzata per fini immediatamente produttivi, con una distribuzione di compost, ecc.
La quantità di sostanza organica nel terreno, inoltre, è quantificabile in modo relativamente semplice e poco costoso: quindi potrebbe anche essere relativamente semplice misurare l’incremento ottenuto in un certo periodo di tempo.
In altre parole, non sarebbe impossibile prevedere specifiche misure, anche nell’ambito dei prossimi Piani regionali di sviluppo rurale, per quantificare in termini economici il ruolo dell’agricoltura nella riduzione del carbonio atmosferico e tradurlo in modo efficace in una forma innovativa di sostegno.

Sommario rivista Gabriele Canali


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