Come guadagnare ancora con il mais
Diabrotica: diffusione nazionale e monitoraggio aziendale
Innovazione per rilevare le micotossine
L’Istat stima per il 2005 una produzione di mais pari a 10,5 milioni di
tonnellate, con una riduzione del 7,8% rispetto al 2004 (11,4 milioni di
tonnellate). Gran parte di questo calo è da imputarsi alla contrazione degli
investimenti: si è passati da 1,2 a circa 1,11 milioni di ettari (–7,5%),
mentre le rese per ettaro mostrano una modesta flessione (9,6 t del 2004
contro 9,4 del 2005). L’andamento delle produzioni è variabile: si va da 170
q/ha di alcune zone del Bresciano e Bergamasco a 150-160 q del Friuli,
Cremonese e Lodigiano.
La produzione scende a valori più comuni di 120-130 q nelle zone meno vocate
del Cuneese e Veronese. Dove i raccolti sono andati male,e soprattutto dove
vi sono stati problemi con l’irrigazione, le rese si sono attestate su 60-70
q.
L’incidenza delle patologie è stata pesante: la piralide ha fatto danni
particolarmente nel Nord-est, ma sono soprattutto le micotossine a creare
difficoltà ai maiscoltori.
Diversi fattori hanno determinato la riduzione delle superfici coltivate a
mais; primo fra tutti la riforma della pac con l’introduzione del
disaccoppiamento degli aiuti e, in secon-
do luogo, la rotazione colturale imposta dalla normativa di alcune regioni
settentrionali per contenere la diabrotica. Altra incertezza che ha pesato
sulle rese produttive del mais è stata quella meteorologica: troppo caldo, e
soprattutto secco, a giugno e luglio, troppa pioggia e temperature basse in
agosto.
Anche per il 2006, di fronte a uno scenario europeo in forte cambiamento a
causa della nuova pac, dell’allargamento dell’Ue, delle trattative della Wto
e della crisi economica, si dovrebbero presentare tutte le condizioni perché
il mais eserciti un ruolo di primaria importanza nell’ambito
dell’ordinamento colturale aziendale, almeno nelle regioni tradizionalmente
vocate a questa coltura.
Il mais è il cereale di maggiore interesse per l’agricoltura italiana per
l’elevata potenzialità produttiva della coltura e per l’alto valore
nutritivo del foraggio: elementi che si traducono in rilevanti vantaggi
economici sia per la riduzione del costo unitario dell’energia, sia per
l’incremento delle produzioni zootecniche per unità di superficie. La specie
fornisce circa il 50% della produzione nazionale dei cereali a cui si
sommano le produzioni di foraggio integrale (269.000 ha del 2005). Il mais è
anche una pianta preziosa perché assicura la materia prima da impiegarsi per
una molteplicità di prodotti alimentari e industriali; ciò è evidenziato
dalle notevoli quantità di granella che tutti gli anni vengono lavorate
dalle industrie di trasformazione. È convinzione generale che la specie
troverà nuovo sviluppo nei progetti di «chimica verde» e come risorsa
energetica rinnovabile. Sono necessari nuovi perfezionamenti tecnici per
migliorare e valorizzare le produzioni maidicole e soprattutto per ridurre i
costi di produzione in funzione delle prospettive della nuova pac e della
globalizzazione dei mercati. La coltivazione del mais, stretta tra gli
effetti dell’allargamento europeo e il disaccoppiamento, deve recuperare
competitività riducendo i costi e valorizzando il prodotto.
Una funzione di primaria importanza, in ogni caso, è la disponibilità di
varietà sempre più produttive e capaci di fornire prodotti con il più alto
valore aggiunto. Il rapido ricambio varietale ha rappresentato il principale
fattore di propulsione e progresso della maiscoltura italiana con risultati
produttivi tra i più elevati al mondo. La riduzione dei costi di produzione
passa anche attraverso una crescente efficienza nell’utilizzo dei mezzi
tecnici e della meccanizzazione che la ricerca e la sperimentazione
dovrebbero mettere a punto.
Per il nostro Paese recuperare competitività è uno sforzo necessario per
mantenersi in equilibrio nell’ambito del sistema economico di integrazione
dei mercati. Le capacità competitive della ricerca e delle imprese possono
essere incrementate soprattutto dall’utilizzo di processi tecnologici, dalla
creazione di prodotti innovativi e di qualità che vincono la concorrenza sul
mercato interno e internazionale. È necessario quindi tornare a investire di
più e meglio in ricerca e sviluppo se vogliamo mantenere viva la maiscoltura
italiana; ciò a beneficio della produzione alimentare made in Italy che è di
elevato valore qualitativo e basata sui prodotti tipici della trasformazione
agroindustriale del mais (latte e derivati, carni e derivati, semole)
commercializzati sui mercati mondiali.
Purtroppo, però, negli ultimi anni si è registrato: un calo verticale
dell’impegno in ricerca per esaltare le rese e diversificare le produzioni,
la riduzione dell’attività di produzione di seme e la chiusura di alcuni
impianti di aziende sementiere attive nel nostro Paese; inoltre, il mais non
riceve da anni né a livello regionale né statale un’attenzione proporzionata
al valore della sua importanza economica.
Il tanto atteso riordino della Rete di ricerca agraria, promosso dal Mipaf
con il varo del Consiglio per la ricerca e sperimentazione in agricoltura (Cra),
a cinque anni dalla promulgazione della legge 454, è in perenne stallo
organizzativo. Non si intravedono, inoltre, nell’alternarsi dei vari piani
di riordino proposti dal Cda di Via Nazionale, strategie, programmi di
ricerca e sperimentazione idonei a sostenere l’innovazione in un comparto di
primaria importanza per l’agricoltura italiana, quale il settore maidicolo
richiede. L’impressione che si trae da una lettura delle proposte di
riordino è quella di un abbandono della ricerca pubblica sul mais.
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