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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
Copertina supplemento  
7
 10-16 Feb.

  2006
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Speciale mais

Obiettivi per il mais 2006: più rese e meno costi

Come guadagnare ancora con il mais
Diabrotica: diffusione nazionale e monitoraggio aziendale
Innovazione per rilevare le micotossine
 

L’Istat stima per il 2005 una produzione di mais pari a 10,5 milioni di tonnellate, con una riduzione del 7,8% rispetto al 2004 (11,4 milioni di tonnellate). Gran parte di questo calo è da imputarsi alla contrazione degli investimenti: si è passati da 1,2 a circa 1,11 milioni di ettari (–7,5%), mentre le rese per ettaro mostrano una modesta flessione (9,6 t del 2004 contro 9,4 del 2005). L’andamento delle produzioni è variabile: si va da 170 q/ha di alcune zone del Bresciano e Bergamasco a 150-160 q del Friuli, Cremonese e Lodigiano.
La produzione scende a valori più comuni di 120-130 q nelle zone meno vocate del Cuneese e Veronese. Dove i raccolti sono andati male,e soprattutto dove vi sono stati problemi con l’irrigazione, le rese si sono attestate su 60-70 q.
L’incidenza delle patologie è stata pesante: la piralide ha fatto danni particolarmente nel Nord-est, ma sono soprattutto le micotossine a creare difficoltà ai maiscoltori.
Diversi fattori hanno determinato la riduzione delle superfici coltivate a mais; primo fra tutti la riforma della pac con l’introduzione del disaccoppiamento degli aiuti e, in secon-
do luogo, la rotazione colturale imposta dalla normativa di alcune regioni settentrionali per contenere la diabrotica. Altra incertezza che ha pesato sulle rese produttive del mais è stata quella meteorologica: troppo caldo, e soprattutto secco, a giugno e luglio, troppa pioggia e temperature basse in agosto.
Anche per il 2006, di fronte a uno scenario europeo in forte cambiamento a causa della nuova pac, dell’allargamento dell’Ue, delle trattative della Wto e della crisi economica, si dovrebbero presentare tutte le condizioni perché il mais eserciti un ruolo di primaria importanza nell’ambito dell’ordinamento colturale aziendale, almeno nelle regioni tradizionalmente vocate a questa coltura.
Il mais è il cereale di maggiore interesse per l’agricoltura italiana per l’elevata potenzialità produttiva della coltura e per l’alto valore nutritivo del foraggio: elementi che si traducono in rilevanti vantaggi economici sia per la riduzione del costo unitario dell’energia, sia per l’incremento delle produzioni zootecniche per unità di superficie. La specie fornisce circa il 50% della produzione nazionale dei cereali a cui si sommano le produzioni di foraggio integrale (269.000 ha del 2005). Il mais è anche una pianta preziosa perché assicura la materia prima da impiegarsi per una molteplicità di prodotti alimentari e industriali; ciò è evidenziato dalle notevoli quantità di granella che tutti gli anni vengono lavorate dalle industrie di trasformazione. È convinzione generale che la specie troverà nuovo sviluppo nei progetti di «chimica verde» e come risorsa energetica rinnovabile. Sono necessari nuovi perfezionamenti tecnici per migliorare e valorizzare le produzioni maidicole e soprattutto per ridurre i costi di produzione in funzione delle prospettive della nuova pac e della globalizzazione dei mercati. La coltivazione del mais, stretta tra gli effetti dell’allargamento europeo e il disaccoppiamento, deve recuperare competitività riducendo i costi e valorizzando il prodotto.
Una funzione di primaria importanza, in ogni caso, è la disponibilità di varietà sempre più produttive e capaci di fornire prodotti con il più alto valore aggiunto. Il rapido ricambio varietale ha rappresentato il principale fattore di propulsione e progresso della maiscoltura italiana con risultati produttivi tra i più elevati al mondo. La riduzione dei costi di produzione passa anche attraverso una crescente efficienza nell’utilizzo dei mezzi tecnici e della meccanizzazione che la ricerca e la sperimentazione dovrebbero mettere a punto.
Per il nostro Paese recuperare competitività è uno sforzo necessario per mantenersi in equilibrio nell’ambito del sistema economico di integrazione dei mercati. Le capacità competitive della ricerca e delle imprese possono essere incrementate soprattutto dall’utilizzo di processi tecnologici, dalla creazione di prodotti innovativi e di qualità che vincono la concorrenza sul mercato interno e internazionale. È necessario quindi tornare a investire di più e meglio in ricerca e sviluppo se vogliamo mantenere viva la maiscoltura italiana; ciò a beneficio della produzione alimentare made in Italy che è di elevato valore qualitativo e basata sui prodotti tipici della trasformazione agroindustriale del mais (latte e derivati, carni e derivati, semole) commercializzati sui mercati mondiali.
Purtroppo, però, negli ultimi anni si è registrato: un calo verticale dell’impegno in ricerca per esaltare le rese e diversificare le produzioni, la riduzione dell’attività di produzione di seme e la chiusura di alcuni impianti di aziende sementiere attive nel nostro Paese; inoltre, il mais non riceve da anni né a livello regionale né statale un’attenzione proporzionata al valore della sua importanza economica.
Il tanto atteso riordino della Rete di ricerca agraria, promosso dal Mipaf con il varo del Consiglio per la ricerca e sperimentazione in agricoltura (Cra), a cinque anni dalla promulgazione della legge 454, è in perenne stallo organizzativo. Non si intravedono, inoltre, nell’alternarsi dei vari piani di riordino proposti dal Cda di Via Nazionale, strategie, programmi di ricerca e sperimentazione idonei a sostenere l’innovazione in un comparto di primaria importanza per l’agricoltura italiana, quale il settore maidicolo richiede. L’impressione che si trae da una lettura delle proposte di riordino è quella di un abbandono della ricerca pubblica sul mais.

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