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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
Copertina supplemento  
7
 10-16 Feb.

  2006
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Editoriale

Sviluppo rurale all’ultima chiamata
Paolo De Castro

Una pianificazione incisiva degli interventi finanziati dai prossimi Piani di sviluppo rurale appare di importanza fondamentale per ridare competitività alle aziende, specie nella prospettiva di un radicale cambio
della pac che dal 2013 imporrà un drastico taglio ai fondi per l’agricoltura 

Parlare oggi di sviluppo rurale, alla luce della nuova pac e del prossimo allargamento a 27 Stati membri, significa parlare di uno degli aspetti più innovativi e, guardando al futuro, fondamentali della politica agricola comunitaria. Tale considerazione nasce dalla consapevolezza di come lo scenario economico, sociale e produttivo dell’Unione Europea sia notevolmente cambiato nel corso degli ultimi decenni e, soprattutto, come i fattori che hanno portato a questa evoluzione non abbiano ancora esaurito la loro spinta propulsiva. Senza tralasciare poi un «piccolissimo» ma fondamentale particolare, cioè che le aree rurali nell’Unione Europea allargata rappresentano il 90% del territorio comunitario.
Tra questi fattori di cambiamento, primi fra tutti, appaiono i nuovi bisogni della società moderna. Negli ultimi venti anni la sensibilità dell’opinione pubblica europea è profondamente mutata; il cittadino-consumatore rivolge oggi un’estrema attenzione alle tematiche dell’ambiente, della qualità e della sicurezza alimentare, della produzione biologica, del benessere degli animali, e su questi temi attende dall’Unione Europea risposte sempre più avanzate. Risposte che, in larga parte, sono state date con la nuova pac, ma che vengono fortemente ribadite nel nuovo regolamento sullo sviluppo rurale.
Sebbene a fronte di queste importanti richieste – che possono essere esaudite principalmente dall’attività agricola – i Governi di alcuni Paesi membri, Gran Bretagna in testa, hanno preferito rinunciare al pieno conseguimento degli obiettivi di sviluppo proposti dall’allora Commissione Prodi pur di ridurre i loro contributi al bilancio comunitario. L’accordo raggiunto dal Consiglio europeo nel dicembre 2005 sulle prospettive finanziarie destina alle politiche per lo sviluppo rurale poco meno di 70 miliardi di euro (al netto della modulazione), un valore che denota una diminuzione del 23% nei confronti della proposta originaria della Commissione e che si quantifica in un calo per l’Italia del 13% rispetto alla precedente programmazione 2000-2006.
Un taglio delle risorse che si va ad aggiungere a uno scenario poco confortante per le imprese agricole italiane, molte delle quali in forte sofferenza a causa delle crisi di mercato in atto in alcuni importanti comparti.
E come se non bastasse anche le prospettive di medio-lungo periodo sugli aiuti comunitari non sono così stabili come si può pensare. Nel 2013 la pac sarà infatti profondamente modificata e di tali cambiamenti si comincerà a parlare e trattare già nel 2008, cioè tra appena due anni. Occorre quindi lavorare bene e in fretta per avviare rapidamente gli improcrastinabili interventi di natura strutturale, indispensabili per assicurare competitività al nostro sistema agroalimentare nella prospettiva post 2013.
Ecco allora che diventa fondamentale il Piano di sviluppo rurale, assurto con la nuova pac e il disaccoppiamento degli aiuti al ruolo di principale strumento per gli investimenti delle aziende agricole. Un regolamento che interviene a sostegno delle aziende agricole e degli operatori nell’ambito di una strategia più vasta che, esaltando il valore multifunzionale dell’attività agricola e le caratterizzazioni socioculturali legate all’alimentazione e al tessuto rurale, è finalizzata alla crescita di territori la cui marginalizzazione rappresenta una minaccia non solo per il patrimonio ambientale, culturale e sociale, ma anche per la tenuta dei livelli di coesione sociale. La crescita di queste aree (o l’arresto del loro depauperamento) rappresenta un valore collettivo entro il quale possono essere ricavate risposte importanti sotto tanti profili. A partire dalle necessità delle aree urbane e industrializzate che necessitano di fattori di equilibrio demografico, di forme di articolazione della residenzialità che sollecitano la qualificazione dei servizi e delle infrastrutture nelle aree rurali, di spazi di preservazione ambientale. Solo alcuni esempi che chiariscono come queste politiche abbiano un’importanza di natura collettiva e principalmente extra agricola ed extra rurale.
Con la nuova programmazione viene rivolta una maggiore attenzione a questi aspetti ed è evidente come la stessa contenga imprescindibili necessità di integrazione con le altre politiche di crescita e sviluppo.

Sommario rivista Paolo De Castro


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