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Benessere animale, con le nuove norme
competitività a rischio |
Le strategie e le iniziative del nuovo piano d’azione europeo
L’innalzamento del benessere negli allevamenti nei prossimi cinque
anni comporterà costi aggiuntivi per le produzioni zootecniche del Sud
Europa e in particolare dell’Italia. I produttori devono far valere il loro
punto di vista nella definizione operativa dei singoli provvedimenti
Il 23 gennaio scorso la Commissione europea ha adottato un nuovo Piano
d’azione destinato a migliorare la protezione e il benessere degli animali
nel corso dei prossimi cinque anni (2006-2010).
Il piano comprende un elenco di iniziative concrete con un calendario
indicativo di applicazione.
Sono previsti a breve l’aggiornamento della legislazione attuale relativa
alle ispezioni negli allevamenti e l’attivazione di un centro di referenza
europeo con il compito di coordinare e stimolare la ricerca nel settore del
benessere degli animali. Vi è poi la revisione delle norme relative alla
macellazione, per finire nel 2010 con l’applicazione di una nuova norma di
qualità che comprenderà un’etichetta comune europea di benessere animale da
apporre ai prodotti animali.
Formazione e informazione
Particolare rilievo assume l’innalzamento del livello delle norme già
esistenti relative agli animali da allevamento e la loro estensione al
maggior numero di specie, ivi compresi i pesci.
Questo obiettivo può essere raggiunto soltanto se le persone direttamente in
contatto con gli animali sono interamente coscienti delle loro
responsabilità nel trattamento dei capi allevati. È per questo che il Piano
d’azione sottolinea l’utilità di una formazione per i professionisti, fra
cui gli allevatori e i commercianti.
La Commissione considera poi importante informare i consumatori europei,
ritenendo che se i cittadini sono a conoscenza delle varie pratiche
d’allevamento potranno fare i loro acquisti con maggiore oculatezza. A tal
fine sarà predisposta un’adeguata campagna di comunicazione. In aggiunta è
prevista l’introduzione di una nuova etichetta europea da apporre agli
alimenti destinati al consumo, contenente le informazioni sul livello di
benessere degli animali adottato nella produzione di quel dato alimento
(carne, latte, uova, ecc.).
La Commissione precisa che «la protezione e il benessere degli animali sono
essenziali per ragioni etiche e morali, certamente, ma anche per la salute
degli animali e la qualità degli alimenti» e che lo scopo del Piano è di
avere alla fine del quinquennio delle «norme comunitarie tra le più esigenti
al mondo».
La Commissione inoltre ha deciso che «ogni misura adottata in relazione al
benessere animale nell’Ue deve essere fondata su una solida base scientifica
fornita dalla ricerca». Poiché allo stato attuale le basi scientifiche sono
poche, è previsto un esteso e articolato programma di ricerca scientifica
per il quinquennio 2007-2013 allo scopo di sostenere le specifiche norme che
verranno decise.
Il Piano glissa tuttavia sull’aspetto fondamentale relativo ai costi delle
molteplici iniziative. Non esiste infatti un budget complessivo, ma si
definisce che il costo di ogni iniziativa sarà inserito tra quelli di
carattere veterinario e fitosanitario.
A giustificazione dell’ulteriore e consistente impegno assunto in questo
campo, la Commissione porta la certezza di una richiesta proveniente da una
consistente parte dell’opinione pubblica europea. Vengono citate inchieste
tra cui la recente indagine svolta via Internet lo scorso dicembre. I
risultati segnalano che il 74% dei consumatori crede che si possa migliorare
il benessere animale e più della metà dei consumatori interrogati dichiara
che sarebbe pronta a pagare più cari i prodotti alimentari ottenuti nel
rispetto del benessere degli animali. L’indagine rivela, tuttavia, anche che
i consumatori incontrano difficoltà a individuare tali prodotti.
Un’etichetta europea di benessere animale li aiuterebbe quindi a risolvere
questo problema.
A dire il vero l’indagine citata ha avuto sì oltre 40.000 contatti di
presunti (dato l’anonimato) «consumatori consapevoli» di cui il 25% dalla
Germania e ben l’80% solo da sei Paesi, Germania compresa. La partecipazione
italiana ha raggiunto il 3%, mentre nei rimanenti 18 Paesi è stata pressoché
nulla. Il valore rappresentativo «di una consistente parte di consumatori
europei» espresso in base a tale consultazione sembra per questo un po’
difficile da sostenere!
È interessante inoltre l’uniformità delle risposte alle varie domande tra
cui la mancanza di fiducia espressa nelle informazioni fornite dalle
organizzazioni degli allevatori o dai Governi, rispettivamente 60 e 70%, e
il 75% dei consensi, invece, a quelle fornite dalle organizzazioni di
protezione degli animali.
In aggiunta, il 60% non ritiene attendibili le etichette apposte sui
prodotti!
Bisogna sperare che le altre inchieste condotte siano più attendibili.
Resta comunque il sostegno del Parlamento europeo e del Consiglio dei
ministri.
D’altra parte, se il problema viene posto in un’ottica generale e di
principio etico, chi si opporrebbe al miglioramento del benessere degli
animali?
Benessere e demagogia
Una prima incrinatura al principio etico si ha quando si precisa che dalle
nuove e più restrittive norme per la macellazione saranno comunque escluse
quelle legate a fedi religiose. Ad esempio, le macellazioni effettuate
secondo il rito islamico che prevede lo sgozzamento cruento dell’animale
senza alcun preventivo stordimento potranno tranquillamente continuare a
essere praticate. In un’Europa che prende le distanze dalla religione, non
riconoscendo le radici cristiane quale proprio fondamento, viene il sospetto
che vi sia una certa componente di demagogia in tutto questo e che la
Commissione preferisca, in realtà, non irritare certe componenti sociali,
anzi cerchi di compiacerle in barba ai grandi principi.
In tal senso si comprende meglio anche l’impegno ad «aumentare ulteriormente
il sostegno alle organizzazioni internazionali» che significa,
sostanzialmente, sostegno alle associazioni animaliste.
A livello internazionale, quando si passa dalle grandi dichiarazioni di
principio alle trattative commerciali scompare la sensibilità dei Paesi con
i quali l’Ue deve confrontarsi nelle varie sedi negoziali tra cui la Wto.
Certamente non sono sensibili i grandi esportatori mondiali che puntano sui
prezzi competitivi per penetrare nel mercato europeo, come d’altro canto non
lo sono i Paesi in via di sviluppo che hanno altri obiettivi come
prioritari.
La Commissione stessa ammette di «non aver trovato consensi in merito e che
questo crea distorsioni nella concorrenza essendo costosa l’applicazione
delle norme sul benessere laddove vengono applicate», ovvero all’interno
dell’Unione stessa. Tuttavia «la Commissione continuerà a sostenere e
suscitare iniziative internazionali per sensibilizzare il pubblico al
benessere animale e raggiungere un consenso più ampio sulla questione».
Competitività ulteriormente ridotta
Ardua e contraddittoria appare pertanto, in questo scenario, l’affermazione
che « l’introduzione di norme più rigide e l’etichettatura secondo il
livello di benessere animale nel processo produttivo consentirà di
migliorare la competitività dei produttori dell’Ue sia sul mercato agricolo
interno sia su quello mondiale, dove gli standard di benessere animale sono
generalmente inferiori».
Di quale mercato parla la Commissione? Sicuramente non del mercato
globalizzato, poiché l’Unione non potrà innalzare barriere doganali ai
prodotti extraeuropei su tali requisiti, ma semmai di un ipotetico mercato
di nicchia. Ma allora se le norme più restrittive saranno, e lo saranno
sicuramente, obbligatorie per tutti i produttori, verrà dato un ulteriore
colpo alla competitività delle produzioni zootecniche europee. Non solo, tra
i produttori europei saranno penalizzati soprattutto i Paesi che devono
importare gli animali da allevare, a causa dei maggiori costi di trasporto,
e quelli che per condizioni geografiche e climatiche dispongono di meno
terre a pascolo e hanno allevamenti confinati. Stiamo parlando dei Paesi del
Sud dell’Europa tra cui l’Italia ha il ruolo principale. Poco importa se
negli ultimi decenni è stato dimostrato che il livello di gestione sanitaria
e in generale del processo produttivo sia elevato, che le tecniche di
allevamento applicate consentano di portare a maturazione animali più
giovani che oltre a essere di migliore qualità sono anche a minore rischio
di determinate patologie (come nel caso della Bse).
È legittimo quindi il dubbio che dietro ai principi etici sostenuti da una
buona dose di demagogia vi siano anche le spinte delle lobby
industriali-commerciali dei grandi Paesi produttori.È evidente purtroppo
come in questa partita manchi completamente il mondo agricolo. Non si parla
solo di prese di posizione politiche, ma ad esempio mancano quasi totalmente
ricerche scientifiche su questo tema finanziate dal mondo della produzione.
Forse per un senso di inferiorità culturale o semplicemente per
sottovalutazione? Il quadro legislativo europeo su questo tema è infatti
prevalentemente il frutto della presenza e dell’attivismo di una rete di
organizzazioni animaliste agguerrite e ben dotate finanziariamente, anche
dall’Unione stessa, che sanno orchestrare campagne di informazione e che
determinano una visione di parte su una tematica che, peraltro, una società
moderna deve giustamente affrontare. In una società che non ha più una
«memoria rurale» che sapeva naturalmente distinguere, viene fatto prevalere
un approccio culturale indistinto verso gli animali da compagnia e quelli da
produzione, di umanizzazione degli animali anziché di trattamento più umano
degli animali da allevamento. E tutto questo viene tradotto in disposizioni
legislative. Le nuove norme condizioneranno ulteriormente il sistema
zootecnico europeo. È auspicabile quindi che nella definizione operativa dei
singoli provvedimenti vi sia anche un altro punto di vista. Quello dei
produttori..
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