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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
 
6
 3 - 9 Feb.

  2006
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Attualità PRIMA PAGINA

Benessere animale, con le nuove norme competitività a rischio

Le strategie e le iniziative del nuovo piano d’azione europeo

L’innalzamento del benessere negli allevamenti nei prossimi cinque anni comporterà costi aggiuntivi per le produzioni zootecniche del Sud Europa e in particolare dell’Italia. I produttori devono far valere il loro punto di vista nella definizione operativa dei singoli provvedimenti

Il 23 gennaio scorso la Commissione europea ha adottato un nuovo Piano d’azione destinato a migliorare la protezione e il benessere degli animali nel corso dei prossimi cinque anni (2006-2010).
Il piano comprende un elenco di iniziative concrete con un calendario indicativo di applicazione.
Sono previsti a breve l’aggiornamento della legislazione attuale relativa alle ispezioni negli allevamenti e l’attivazione di un centro di referenza europeo con il compito di coordinare e stimolare la ricerca nel settore del benessere degli animali. Vi è poi la revisione delle norme relative alla macellazione, per finire nel 2010 con l’applicazione di una nuova norma di qualità che comprenderà un’etichetta comune europea di benessere animale da apporre ai prodotti animali.

Formazione e informazione
Particolare rilievo assume l’innalzamento del livello delle norme già esistenti relative agli animali da allevamento e la loro estensione al maggior numero di specie, ivi compresi i pesci.
Questo obiettivo può essere raggiunto soltanto se le persone direttamente in contatto con gli animali sono interamente coscienti delle loro responsabilità nel trattamento dei capi allevati. È per questo che il Piano d’azione sottolinea l’utilità di una formazione per i professionisti, fra cui gli allevatori e i commercianti.
La Commissione considera poi importante informare i consumatori europei, ritenendo che se i cittadini sono a conoscenza delle varie pratiche d’allevamento potranno fare i loro acquisti con maggiore oculatezza. A tal fine sarà predisposta un’adeguata campagna di comunicazione. In aggiunta è prevista l’introduzione di una nuova etichetta europea da apporre agli alimenti destinati al consumo, contenente le informazioni sul livello di benessere degli animali adottato nella produzione di quel dato alimento (carne, latte, uova, ecc.).
La Commissione precisa che «la protezione e il benessere degli animali sono essenziali per ragioni etiche e morali, certamente, ma anche per la salute degli animali e la qualità degli alimenti» e che lo scopo del Piano è di avere alla fine del quinquennio delle «norme comunitarie tra le più esigenti al mondo».
La Commissione inoltre ha deciso che «ogni misura adottata in relazione al benessere animale nell’Ue deve essere fondata su una solida base scientifica fornita dalla ricerca». Poiché allo stato attuale le basi scientifiche sono poche, è previsto un esteso e articolato programma di ricerca scientifica per il quinquennio 2007-2013 allo scopo di sostenere le specifiche norme che verranno decise.
Il Piano glissa tuttavia sull’aspetto fondamentale relativo ai costi delle molteplici iniziative. Non esiste infatti un budget complessivo, ma si definisce che il costo di ogni iniziativa sarà inserito tra quelli di carattere veterinario e fitosanitario.
A giustificazione dell’ulteriore e consistente impegno assunto in questo campo, la Commissione porta la certezza di una richiesta proveniente da una consistente parte dell’opinione pubblica europea. Vengono citate inchieste tra cui la recente indagine svolta via Internet lo scorso dicembre. I risultati segnalano che il 74% dei consumatori crede che si possa migliorare il benessere animale e più della metà dei consumatori interrogati dichiara che sarebbe pronta a pagare più cari i prodotti alimentari ottenuti nel rispetto del benessere degli animali. L’indagine rivela, tuttavia, anche che i consumatori incontrano difficoltà a individuare tali prodotti. Un’etichetta europea di benessere animale li aiuterebbe quindi a risolvere questo problema.
A dire il vero l’indagine citata ha avuto sì oltre 40.000 contatti di presunti (dato l’anonimato) «consumatori consapevoli» di cui il 25% dalla Germania e ben l’80% solo da sei Paesi, Germania compresa. La partecipazione italiana ha raggiunto il 3%, mentre nei rimanenti 18 Paesi è stata pressoché nulla. Il valore rappresentativo «di una consistente parte di consumatori europei» espresso in base a tale consultazione sembra per questo un po’ difficile da sostenere!
È interessante inoltre l’uniformità delle risposte alle varie domande tra cui la mancanza di fiducia espressa nelle informazioni fornite dalle organizzazioni degli allevatori o dai Governi, rispettivamente 60 e 70%, e il 75% dei consensi, invece, a quelle fornite dalle organizzazioni di protezione degli animali.
In aggiunta, il 60% non ritiene attendibili le etichette apposte sui prodotti!
Bisogna sperare che le altre inchieste condotte siano più attendibili.
Resta comunque il sostegno del Parlamento europeo e del Consiglio dei ministri.
D’altra parte, se il problema viene posto in un’ottica generale e di principio etico, chi si opporrebbe al miglioramento del benessere degli animali?

Benessere e demagogia
Una prima incrinatura al principio etico si ha quando si precisa che dalle nuove e più restrittive norme per la macellazione saranno comunque escluse quelle legate a fedi religiose. Ad esempio, le macellazioni effettuate secondo il rito islamico che prevede lo sgozzamento cruento dell’animale senza alcun preventivo stordimento potranno tranquillamente continuare a essere praticate. In un’Europa che prende le distanze dalla religione, non riconoscendo le radici cristiane quale proprio fondamento, viene il sospetto che vi sia una certa componente di demagogia in tutto questo e che la Commissione preferisca, in realtà, non irritare certe componenti sociali, anzi cerchi di compiacerle in barba ai grandi principi.
In tal senso si comprende meglio anche l’impegno ad «aumentare ulteriormente il sostegno alle organizzazioni internazionali» che significa, sostanzialmente, sostegno alle associazioni animaliste.
A livello internazionale, quando si passa dalle grandi dichiarazioni di principio alle trattative commerciali scompare la sensibilità dei Paesi con i quali l’Ue deve confrontarsi nelle varie sedi negoziali tra cui la Wto. Certamente non sono sensibili i grandi esportatori mondiali che puntano sui prezzi competitivi per penetrare nel mercato europeo, come d’altro canto non lo sono i Paesi in via di sviluppo che hanno altri obiettivi come prioritari.
La Commissione stessa ammette di «non aver trovato consensi in merito e che questo crea distorsioni nella concorrenza essendo costosa l’applicazione delle norme sul benessere laddove vengono applicate», ovvero all’interno dell’Unione stessa. Tuttavia «la Commissione continuerà a sostenere e suscitare iniziative internazionali per sensibilizzare il pubblico al benessere animale e raggiungere un consenso più ampio sulla questione».

Competitività ulteriormente ridotta
Ardua e contraddittoria appare pertanto, in questo scenario, l’affermazione che « l’introduzione di norme più rigide e l’etichettatura secondo il livello di benessere animale nel processo produttivo consentirà di migliorare la competitività dei produttori dell’Ue sia sul mercato agricolo interno sia su quello mondiale, dove gli standard di benessere animale sono generalmente inferiori».
Di quale mercato parla la Commissione? Sicuramente non del mercato globalizzato, poiché l’Unione non potrà innalzare barriere doganali ai prodotti extraeuropei su tali requisiti, ma semmai di un ipotetico mercato di nicchia. Ma allora se le norme più restrittive saranno, e lo saranno sicuramente, obbligatorie per tutti i produttori, verrà dato un ulteriore colpo alla competitività delle produzioni zootecniche europee. Non solo, tra i produttori europei saranno penalizzati soprattutto i Paesi che devono importare gli animali da allevare, a causa dei maggiori costi di trasporto, e quelli che per condizioni geografiche e climatiche dispongono di meno terre a pascolo e hanno allevamenti confinati. Stiamo parlando dei Paesi del Sud dell’Europa tra cui l’Italia ha il ruolo principale. Poco importa se negli ultimi decenni è stato dimostrato che il livello di gestione sanitaria e in generale del processo produttivo sia elevato, che le tecniche di allevamento applicate consentano di portare a maturazione animali più giovani che oltre a essere di migliore qualità sono anche a minore rischio di determinate patologie (come nel caso della Bse).
È legittimo quindi il dubbio che dietro ai principi etici sostenuti da una buona dose di demagogia vi siano anche le spinte delle lobby industriali-commerciali dei grandi Paesi produttori.È evidente purtroppo come in questa partita manchi completamente il mondo agricolo. Non si parla solo di prese di posizione politiche, ma ad esempio mancano quasi totalmente ricerche scientifiche su questo tema finanziate dal mondo della produzione. Forse per un senso di inferiorità culturale o semplicemente per sottovalutazione? Il quadro legislativo europeo su questo tema è infatti prevalentemente il frutto della presenza e dell’attivismo di una rete di organizzazioni animaliste agguerrite e ben dotate finanziariamente, anche dall’Unione stessa, che sanno orchestrare campagne di informazione e che determinano una visione di parte su una tematica che, peraltro, una società moderna deve giustamente affrontare. In una società che non ha più una «memoria rurale» che sapeva naturalmente distinguere, viene fatto prevalere un approccio culturale indistinto verso gli animali da compagnia e quelli da produzione, di umanizzazione degli animali anziché di trattamento più umano degli animali da allevamento. E tutto questo viene tradotto in disposizioni legislative. Le nuove norme condizioneranno ulteriormente il sistema zootecnico europeo. È auspicabile quindi che nella definizione operativa dei singoli provvedimenti vi sia anche un altro punto di vista. Quello dei produttori..

Sommario rivista Daniele Bonfante


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