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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
5
 2 - 8 Feb.

  2007
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Attualità POLITICA

Nuova sforbiciata sulla bietola italiana

In arrivo il taglio del 12% della quota

Le perduranti eccedenze di zucchero spingono la Commissione a ridurre la quota a tutti i Paesi, anche a quelli che hanno già dimezzato la produzione come l’Italia. Funziona poco anche il Fondo di ristrutturazione, troppo sbilanciato verso l’industria

La notizia, per niente inattesa in verità, ha destato comunque un certo clamore.
La riforma dell’ocm zucchero, varata lo scorso ottobre, arranca e mostra già qualche vistosa lacuna, prima tra tutte il mancato riequilibrio del mercato dello zucchero in Europa, che permane in uno stato di eccedentarietà.
Il commissario Mariann Fischer Boel annuncia pertanto contromisure e minaccia di ritirare (leggi: tagliare) provvisoriamente in ottobre 2 milioni di tonnellate di contingente zucchero, pari al 12% delle quote di ciascuno Stato membro.
Una misura legittima, visto che il ritiro di quota fa parte dell’armamentario tecnico della riforma, che tuttavia appare difficilmente accettabile sul piano dell’equità, alla luce del fatto che colpirebbe indiscriminatamente (in modo lineare) tutti i partner.
Quello che non ha funzionario nel nuovo sistema – spiega il commissario – è il Fondo di ristrutturazione (altro strumento della riforma) che non è riuscito ad attirare sufficiente interesse tra gli operatori e ad assorbire le quote delle imprese saccarifere più deboli, che avrebbero dovuto essere ben diversamente allettate dai cospicui aiuti riconosciuti alla cessazione della attività, e che invece hanno conferito al Fondo solo 1,6 milioni di tonnellate di quote sui 4 milioni di obiettivo.
Considerato che Francia, Germania e Polonia hanno poi acquistato circa 0,86 milioni di tonnellate di quote dalla speciale riserva supplementare, la produzione Ue rimane sempre sovrabbondante, il mercato continua a essere pesante e le misure estreme inevitabili.

Manca l’equità
Almeno due sono le chiavi di lettura per interpretare la sortita del commissario.
La prima, di evidenza immediata, riguarda l’Italia che perderà il 12% del proprio contingente. Le sue imprese saccarifere, impegnate nello sforzo economico di migliorarsi e di ristrutturarsi potenziando gli impianti, si vedrebbero sensibilmente depauperate di un elemento patrimoniale, la quota, sul quale hanno programmato budget e risultati di bilancio.
Tutto questo accadrebbe a un Paese che ha già ceduto al Fondo comunitario il 50% del contingente e che, dunque, ha già contribuito al risanamento del mercato Ue: pertanto non appare equo che l’Italia debba nuovamente pagare un altro conto oltre a quello già lautamente saldato; e che altrettanto facciano anche gli altri Paesi che hanno ceduto contingente, come Portogallo, Spagna, Finlandia e qualche altro.
Ma c’è anche una «ragione degli altri» da non sottovalutare, che ribalta completamente l’angolo di visuale.
È quella dei Paesi più competitivi, che magari hanno comprato la quota supplementare, e che ricordano come i principi ispiratori della riforma siano la specializzazione e la selezione.
Giungendo alla conclusione che il taglio lineare semmai è un danno proprio per loro, verbo incarnato della filosofia riformista, che le regole comunitarie dovrebbero favorire e non penalizzare.
Equità di fatto contro ordinamento di diritto; cuore contro logica normativa. Le contrapposizioni sono evidenti e il contrasto non componibile.In questa situazione conflittuale, il ministro Paolo De Castro ha dichiarato «a caldo» che l’Italia non apprezzerà un taglio lineare ma, nel commentare il fatto, impiega un termine inadeguato alla gravità del problema e alle conseguenze che le imprese italiane, e il settore nel suo insieme, si troverebbero a pagare.
Appare corretto ricordare, come spesso fa il ministro, che i desiderata di un solo Paese, per quanto legittimi, non possono prevalere in sede negoziale sulla volontà (e il voto in Consiglio) degli altri 26; e che è necessario pertanto cercare alleanze.
Nel caso specifico però la diplomazia si infrange contro un ordinamento giuridico che non lascia speranze.
E che impone una presa di posizione molto chiara, anche a costo di minacciare iniziative ostili e prive di bon ton, del tipo di quella adottata dagli spagnoli nella vertenza sul cotone, impostata, e vinta, sul piano del ricorso legale.

Agricoltori trascurati dal Fondo di ristrutturazione
La seconda chiave di lettura riguarda il Fondo di ristrutturazione comunitario. Perché ha funzionato poco e male?
Secondo autorevoli – e interessati – commentatori francesi e tedeschi l’insuccesso risiede nel fatto che il ricorso al Fondo premia solo l’anima industriale della filiera rispetto a quella agricola.
Nella maggior parte dei casi inoltre, essi affermano, lo Stato membro decide di ripartire al 90% l’aiuto alla ristrutturazione alla componente saccarifera, mentre soltanto il 10% va agli agricoltori (da dividere per di più con i contoterzisti).
Con queste premesse i produttori sono poco invogliati ad abbandonare e, pertanto, anche le imprese saccarifere restano attive.
Dietro alla diagnosi fa capolino qualche ricetta: aumento dell’aiuto alla ristrutturazione da devolvere interamente ai soli agricoltori e fissazione preventiva in sede di regolamento della percentuale di spettanza dei produttori, sottraendo all’arbitrio degli Stati membri la potestà in materia, visto che si sono rivelati finora imprevedibili e più patrigni che padri nei confronti dei produttori (all’Italia la «maglia nera», con il riconoscimento ai bieticoltori di appena il 4% dei 730 euro/t di zucchero dell’aiuto, a fronte del 6% ai contoterzisti e del 90% agli industriali).
Si arriva perfino a ipotizzare un potere di iniziativa nella cessione della quota ai bieticoltori, invece che agli industriali.
Come non essere d’accordo sulle linee di principio? La domanda è retorica, ma insieme a essa è doveroso porsi altri interrogativi sugli effetti che strumenti così radicalmente innovativi potrebbero avere sull’intero sistema produttivo e sulla compatibilità degli stessi con gli obiettivi di politica economica e produttiva del settore, sui quali occorre attentamente riflettere.
Il dibattito è appena aperto ed è prematuro tentare oggi proiezioni e trarre elementi di certezza per il futuro, ma una cosa appare certa: per l’Italia. è necessario impegnarsi fin d’ora in una discussione concertata, che coinvolga tutte le forze istituzionali, economiche e sociali interessate, affinché a Bruxelles non ci si trovi poi a giocare senza schemi preordinati in una partita vitale, le cui regole sono state già tracciate.
 

Sommario rivista Carlo Biasco


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