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I nodi irrisolti delle cooperative agricole |
Uno degli elementi critici per lo sviluppo della cooperazione è la
difficoltà a individuare indici di efficienza. La bassa scolarizzazione del
management rappresenta un altro limite
Da alcuni mesi si parla, non sempre in modo favorevole, di cooperative.
In particolare di un gruppo cooperativo assicurativo e dei suoi alleati, le
cooperative di distribuzione. E il mondo agricolo? Il mondo agricolo non è
parte in causa; di destra o di sinistra che sia. Diremmo per sfortuna.
Perché per sfortuna? Perché, al di la della facile battuta, significherebbe,
a prescindere da giudizi morali, una rilevanza economica in genere modesta:
non che manchino gruppi rilevanti e forti, ma sono rari.
E invece vi sarebbe un gran bisogno di realtà forti. In un Paese dove
l’ampiezza media aziendale non supera i 6 ha, la cooperazione è una delle
poche, forse l’unica soluzione.
Di pregi e difetti delle coop agricole se ne può parlare per ore, ma ci
soffermiamo su due elementi: il primo, la localizzazione territoriale. Dopo
diversi decenni di sforzi, di sostanziosi aiuti economici, le coop nel Sud
stentano ad affermarsi. In certe aree proprio non ve ne sono. Libri e
convegni spiegano il fatto con l’individualismo dell’agricoltore
meridionale, con la lontananza dai mercati di consumo del Nord Europa, con
l’ingerenza della politica e anche con la malavita. Spiegazioni tutte vere,
ma parziali e che comunque non devono fare desistere sforzi in questa
direzione.
Parte dei fondi dei piani di sviluppo sarebbe bene fosse impiegato in tale
direzione.
Il secondo punto è il modo in cui vengono amministrate le coop e gli
eventuali indicatori di efficienza. Chiariamo subito che una volta tanto non
è un problema di legislazione. La legge sulla cooperazione c’è e funziona,
magari è perfezionabile, ma esiste.
Il nodo è il governo di una cooperativa, con linguaggio ora in uso la
governance. Se esaminiamo lo statuto di una qualsiasi coop non vi è in
genere nulla da obiettare: Consiglio, presidente e via dicendo, ma nel
quotidiano chi fa effettivamente andare avanti la baracca è il direttore,
anche nelle decisioni straordinarie e strategiche. Il presidente è, in
genere, impegnato nella propria azienda e non ha gli strumenti culturali per
analizzare bilanci e impostare col Consiglio politiche aziendali di lungo
periodo.
Quando va bene nasce un «padre padrone» svincolato dai controlli. A volte,
direi molto spesso, questi direttori sono bravi, ma quando non lo sono è
impossibile sostituirli in quanto controllano totalmente le assemblee. A
questo fine difficilmente promuovono aggregazioni e fusioni per non perdere
il potere.
Un altro elemento critico è il basso livello di scolarizzazione del
management delle cooperative. Di laureati ve ne sono pochi. Un esempio: a
Cremona vi è un’eccellente scuola post laurea per manager della
trasformazione agricola.
Informatevi quanti sono stati assunti dalle cooperative. Pochi, mentre la
grande industria ne ha assunto a piene mani.
Le dimensioni, inoltre, delle nostre cooperative sono in genere molto
piccole. Una delle ragioni sono i campanilismi, ma anche e soprattutto il
«terrore» dei Consigli e della direzione di dover affidarsi a manager
professionisti. Molto forte è poi l’ostilità delle organizzazioni
professionali a passare a dimensioni più grandi ed efficienti per paura di
perdere potere e cariche. Miserie si dirà. No, tutto vero.
Il problema della cosiddetta governance è pertanto un nodo ancora irrisolto
nelle cooperative agricole. Vi è un altro collo di bottiglia, questa volta
tecnico e con pazienza qualcosa si può fare.
Si tratta di elaborare indicatori di efficienza e produttività. Quasi tutte
le coop di trasformazione hanno un bilancio a costi-ricavi, la differenza
tra queste poste contabili è il valore della produzione conferita dai soci.
Dunque utile o perdita di gestione sono incorporati nel valore liquidato.
Manca pertanto l’evidenza dello strumento principe di giudizio: l’utile o la
perdita della gestione. Si può fare qualcosa assumendo a paragone i prezzi
di mercato. Spesso questi non sono disponibili, ma qualcosa si è studiato.
Le centrali cooperative dovrebbero proporre una serie di indici, da allegare
e discutere col bilancio, e presentarli, su base volontaria, ai propri
associati. Occorre l’intervento esterno. Le coop non amano discutere della
propria efficienza.
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