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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
 
3
 20-26 Gen.

  2006
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Attualità PRIMA PAGINA

Corsa a ostacoli per le vendite dirette

Una discutibile interpretazione delle norme

Il Ministero delle attività produttive (Map) non ritiene ammissibile la vendita di prodotti ortofrutticoli «a cielo aperto» da parte del produttore. Il successo delle vendite dirette viene ostacolato con vari espedienti di legge

Il Ministero delle attività produttive (Map), con nota n. 11431 del 20-12-2005 in risposta a un quesito del Comune di Potenza, è tornato ancora una volta sulla questione della vendita diretta di frutta e verdura ai margini del campo dichiarando non ammissibile tale forma di vendita per gli ortofrutticoli.
Questa posizione contrasta in modo evidente con la legge di orientamento e rappresenta un danno sia per i consumatori che per i produttori. I primi, infatti, avranno meno occasioni di acquistare prodotti agricoli a prezzi contenuti, mentre i secondi vedranno penalizzata la loro attività imprenditoriale.
Questo tipo di vendita diretta è molto diffusa nel nostro Paese e permette ai consumatori risparmi notevoli nell’acquisto di frutta e verdura. Basti pensare che nel passaggio attraverso l’intera filiera commerciale (dai campi all’ingrosso e al dettaglio) i prezzi aumentano in maniera abnorme, anche di 20 volte. Il probabile rincaro dei prezzi si ripercuoterà in un’ulteriore riduzione del consumo di frutta e verdura, in un contesto di perdurante calo dovuto alla difficile congiuntura economica.
I mercati contadini
L’orientamento del Ministero delle attività produttive rischia di alimentare ulteriori ostacoli allo sviluppo di nuove forme di vendita diretta e di rapporti fra consumatori e produttori.
è il caso, per esempio, dei mercati contadini che registrano anche nel nostro Paese una crescita notevole pur tra mille difficoltà burocratiche. Il loro sviluppo è frenato dal mancato recepimento da parte di molti Comuni dell’articolo 4 del decreto legislativo 228/2001.
Di fronte alle sempre più numerose istanze per organizzare mercati contadini molte amministrazioni comunali tendono a ricondurre il tutto al quadro normativo del commercio su aree pubbliche (articolo 28 del decreto legislativo 31-3-1998, n. 114 e singole leggi regionali di recepimento), o delle leggi regionali che regolano la promozione e lo sviluppo delle manifestazioni fieristiche.
Lo strumento più utilizzato in tal senso è quello della mostra mercato avente a oggetto la promozione diretta delle produzioni tipiche locali e la loro vendita.
Altre esperienze hanno cercato di ricondurre tali iniziative in un ambito di protocolli d’intesa fra diverse categorie per azioni di contenimento dei prezzi dei beni e dei servizi o di rassegne fieristiche.
In tutti questi casi le relative autorizzazioni comunali non vanno oltre qualche mese e non consentono programmazioni a lungo termine tali da rendere sostenibili investimenti promozionali adeguati e l’acquisto delle attrezzature necessarie per gli allestimenti dei banchi di vendita e del mercato nel suo complesso. è necessario, invece, sottolineare che le esperienze dei mercati contadini debbono essere riconducibili al quadro normativo previsto dall’articolo 4 del decreto legislativo 228/2001 e soprattutto alla riforma dell’articolo 2135 del Codice civile che ha ridisegnato la figura dell’imprenditore agricolo. E in tema di fonti del diritto il Codice civile e una legge dello Stato valgono di più di un parere, pur autorevole, del direttore generale del Ministero delle attività produttive.
è questo il caso del Comune di Modena che, con delibera del 22-9-2005 richiamantesi proprio al dispositivo previsto dall’articolo 4 del decreto 228/2001, ha autorizzato l’istituzione di un mercato settimanale di prodotti biologici a cadenza settimanale.
I contratti di produzione dei cittadini
La vendita diretta di prodotti di fattoria permette di eliminare rendite di posizione e intermediazioni parassitarie che distorcono il mercato e che, allargando la forbice tra i prezzi alla produzione e quelli al consumo, alimentano l’inflazione. I mercati contadini rispondono alla crescente domanda dei consumatori per prodotti di qualità, affidabili, espressione del territorio e naturali e costituiscono la risposta migliore a diffusi bisogni dei consumatori, in particolare di contatto diretto con i produttori e di garanzia di origine dei prodotti.
In tali occasioni cambia il modo stesso di fare la spesa e si gettano le basi per costruire nel tempo un sistema alimentare ecologico e solidale. Nel caso degli ortofrutticoli, per esempio, si possono garantire condizioni di genuinità e di freschezza uniche non essendo tali prodotti soggetti ai tempi lunghi di trasporto di quelli importati e non locali.
Fra cittadini e acquirenti si instaurano legami talmente stretti da arrivare a siglare veri e propri contratti di produzione in cui i cittadini divengono coproduttori: scelte varietali, prezzi, modalità di coltivazione vengono concordati insieme. Il mercato contadino è il punto di riferimento dei gruppi di acquisto locali, di molti ristoratori cittadini e delle mense cittadine e contribuiscono alla rivitalizzazione dei centri storici delle città. Nei giorni in cui si svolgono i mercati contadini, il volume di affari dei commercianti che insistono sulle piazze interessate all’evento spesso raddoppia. Il successo di questa esperienza dipende dalla capacità di comunicare la propria specificità fra tante modalità di vendita. Il mercato rappresenta il luogo di commercializzazione dei prodotti realizzati in fattoria e il consumatore ha la possibilità di constatare di persona le modalità produttive, di trasformazione e lavorazione naturale dei prodotti posti in vendita. Queste caratteristiche sono proprio quelle importanti peculiarità che determinano la differenza rispetto ad altri luoghi d’acquisto (mercati settimanali, supermercati, fornai, macellai).
I mercati contadini, insieme alle altre forme di vendita diretta, sono strumenti indispensabili per coloro che hanno scelto di collocare le proprie produzioni all’interno di un quadro a filiera corta, anche se per molti agricoltori la vendita presso i mercati contadini rappresenta solo una delle molteplici modalità di commercializzazione e, normalmente, chi ha la possibilità di vendere i propri prodotti direttamente al pubblico non lo fa solo tramite il mercato contadino, ma percorre molte altre strade sinergiche.
I prodotti locali nella gdo
Un altro importante strumento potrebbe essere la legge 11-11-2005, n. 231 «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 9-9-2005, n. 182, recante interventi urgenti in agricoltura e per gli organismi pubblici del settore, nonché per contrastare andamenti anomali dei prezzi nelle filiere agroalimentari» pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 263 dell’11-11-2005.
L’articolo 2-bis di tale norma prevede che le strutture della grande distribuzione e i centri commerciali definiscano azioni per promuovere, in forma congrua, la vendita di prodotti agricoli locali. In alcuni casi, come nella realtà di Mantova, sono stati stipulati accordi per riservare almeno il 10% della superificie di vendita alimentare allo smercio di prodotti tipici e di qualità del territorio mantovano.
Il problema sarà però definire cosa si intende per produzioni tipiche e di qualità e di capire le condizioni contrattuali. Gran parte delle denominazioni d’origine sono ormai controllate dall’industria agroalimentare in quanto la costituzione e la gestione di un consorzio di tutela costerebbe troppo per un piccolo gruppo di contadini.
«Prodotti di fattoria» da tutelare

Nasce allora l’esigenza di lavorare per superare alcune contraddizioni del regolamento Cee 2081/1992 al fine di introdurre al più presto a livello europeo una nuova denominazione «prodotto di fattoria» che tuteli le produzioni di nicchia connesse al mondo agricolo, trasformate e vendute direttamente dagli stessi agricoltori, e di tutelare al meglio tutte quelle denominazioni che possono essere collegate al mondo rurale (contadino, fattoria, ecc.) ma che sono sempre più «scippate» dall’agroindustria.
I prodotti di fattoria, freschi o trasformati, sono sempre più richiesti dai consumatori, in quanto si va ampliando la fascia dei consumi alimentari orientati alla qualità, alla tradizione, alla sicurezza alimentare, alla certezza della provenienza, alla connessione con il territorio e con il ciclo stagionale, all’espressione di messaggi ambientali, etici e di attenzione al benessere animale.
Di ciò si è ben presto accorta anche l’industria agroalimentare che ha messo in campo strategie per sfruttare questo patrimonio. I prodotti industriali, infatti, spesso si propongono «vestiti» da prodotti agricoli, o con una forte immagine rurale e campestre.
Ma il recupero di molte tradizioni produttive è possibile solo se ciò innesca un processo di redditività economica, se si trasforma in iniziativa d’impresa e inizia ad avere una concreta collocazione sul mercato, altrimenti si fa solo un «museo delle lavorazioni rurali».
Perció non è più comprensibile l’ostilità delle organizzazioni dei commercianti verso queste nuove tipologie di vendita diretta.
 

Sommario rivista Marco Boschetti


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