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Corsa a ostacoli per le vendite dirette |
Una discutibile interpretazione delle norme
Il Ministero delle attività produttive (Map) non ritiene ammissibile
la vendita di prodotti ortofrutticoli «a cielo aperto» da parte del
produttore. Il successo delle vendite dirette viene ostacolato con vari
espedienti di legge
Il Ministero delle attività produttive (Map), con nota n. 11431 del
20-12-2005 in risposta a un quesito del Comune di Potenza, è tornato ancora
una volta sulla questione della vendita diretta di frutta e verdura ai
margini del campo dichiarando non ammissibile tale forma di vendita per gli
ortofrutticoli.
Questa posizione contrasta in modo evidente con la legge di orientamento e
rappresenta un danno sia per i consumatori che per i produttori. I primi,
infatti, avranno meno occasioni di acquistare prodotti agricoli a prezzi
contenuti, mentre i secondi vedranno penalizzata la loro attività
imprenditoriale.
Questo tipo di vendita diretta è molto diffusa nel nostro Paese e permette
ai consumatori risparmi notevoli nell’acquisto di frutta e verdura. Basti
pensare che nel passaggio attraverso l’intera filiera commerciale (dai campi
all’ingrosso e al dettaglio) i prezzi aumentano in maniera abnorme, anche di
20 volte. Il probabile rincaro dei prezzi si ripercuoterà in un’ulteriore
riduzione del consumo di frutta e verdura, in un contesto di perdurante calo
dovuto alla difficile congiuntura economica.
I mercati contadini
L’orientamento del Ministero delle attività produttive rischia di alimentare
ulteriori ostacoli allo sviluppo di nuove forme di vendita diretta e di
rapporti fra consumatori e produttori.
è il caso, per esempio, dei mercati contadini che registrano anche nel
nostro Paese una crescita notevole pur tra mille difficoltà burocratiche. Il
loro sviluppo è frenato dal mancato recepimento da parte di molti Comuni
dell’articolo 4 del decreto legislativo 228/2001.
Di fronte alle sempre più numerose istanze per organizzare mercati contadini
molte amministrazioni comunali tendono a ricondurre il tutto al quadro
normativo del commercio su aree pubbliche (articolo 28 del decreto
legislativo 31-3-1998, n. 114 e singole leggi regionali di recepimento), o
delle leggi regionali che regolano la promozione e lo sviluppo delle
manifestazioni fieristiche.
Lo strumento più utilizzato in tal senso è quello della mostra mercato
avente a oggetto la promozione diretta delle produzioni tipiche locali e la
loro vendita.
Altre esperienze hanno cercato di ricondurre tali iniziative in un ambito di
protocolli d’intesa fra diverse categorie per azioni di contenimento dei
prezzi dei beni e dei servizi o di rassegne fieristiche.
In tutti questi casi le relative autorizzazioni comunali non vanno oltre
qualche mese e non consentono programmazioni a lungo termine tali da rendere
sostenibili investimenti promozionali adeguati e l’acquisto delle
attrezzature necessarie per gli allestimenti dei banchi di vendita e del
mercato nel suo complesso. è necessario, invece, sottolineare che le
esperienze dei mercati contadini debbono essere riconducibili al quadro
normativo previsto dall’articolo 4 del decreto legislativo 228/2001 e
soprattutto alla riforma dell’articolo 2135 del Codice civile che ha
ridisegnato la figura dell’imprenditore agricolo. E in tema di fonti del
diritto il Codice civile e una legge dello Stato valgono di più di un
parere, pur autorevole, del direttore generale del Ministero delle attività
produttive.
è questo il caso del Comune di Modena che, con delibera del 22-9-2005
richiamantesi proprio al dispositivo previsto dall’articolo 4 del decreto
228/2001, ha autorizzato l’istituzione di un mercato settimanale di prodotti
biologici a cadenza settimanale.
I contratti di produzione dei cittadini
La vendita diretta di prodotti di fattoria permette di eliminare rendite di
posizione e intermediazioni parassitarie che distorcono il mercato e che,
allargando la forbice tra i prezzi alla produzione e quelli al consumo,
alimentano l’inflazione. I mercati contadini rispondono alla crescente
domanda dei consumatori per prodotti di qualità, affidabili, espressione del
territorio e naturali e costituiscono la risposta migliore a diffusi bisogni
dei consumatori, in particolare di contatto diretto con i produttori e di
garanzia di origine dei prodotti.
In tali occasioni cambia il modo stesso di fare la spesa e si gettano le
basi per costruire nel tempo un sistema alimentare ecologico e solidale. Nel
caso degli ortofrutticoli, per esempio, si possono garantire condizioni di
genuinità e di freschezza uniche non essendo tali prodotti soggetti ai tempi
lunghi di trasporto di quelli importati e non locali.
Fra cittadini e acquirenti si instaurano legami talmente stretti da arrivare
a siglare veri e propri contratti di produzione in cui i cittadini divengono
coproduttori: scelte varietali, prezzi, modalità di coltivazione vengono
concordati insieme. Il mercato contadino è il punto di riferimento dei
gruppi di acquisto locali, di molti ristoratori cittadini e delle mense
cittadine e contribuiscono alla rivitalizzazione dei centri storici delle
città. Nei giorni in cui si svolgono i mercati contadini, il volume di
affari dei commercianti che insistono sulle piazze interessate all’evento
spesso raddoppia. Il successo di questa esperienza dipende dalla capacità di
comunicare la propria specificità fra tante modalità di vendita. Il mercato
rappresenta il luogo di commercializzazione dei prodotti realizzati in
fattoria e il consumatore ha la possibilità di constatare di persona le
modalità produttive, di trasformazione e lavorazione naturale dei prodotti
posti in vendita. Queste caratteristiche sono proprio quelle importanti
peculiarità che determinano la differenza rispetto ad altri luoghi
d’acquisto (mercati settimanali, supermercati, fornai, macellai).
I mercati contadini, insieme alle altre forme di vendita diretta, sono
strumenti indispensabili per coloro che hanno scelto di collocare le proprie
produzioni all’interno di un quadro a filiera corta, anche se per molti
agricoltori la vendita presso i mercati contadini rappresenta solo una delle
molteplici modalità di commercializzazione e, normalmente, chi ha la
possibilità di vendere i propri prodotti direttamente al pubblico non lo fa
solo tramite il mercato contadino, ma percorre molte altre strade
sinergiche.
I prodotti locali nella gdo
Un altro importante strumento potrebbe essere la legge 11-11-2005, n. 231
«Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 9-9-2005, n.
182, recante interventi urgenti in agricoltura e per gli organismi pubblici
del settore, nonché per contrastare andamenti anomali dei prezzi nelle
filiere agroalimentari» pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 263
dell’11-11-2005.
L’articolo 2-bis di tale norma prevede che le strutture della grande
distribuzione e i centri commerciali definiscano azioni per promuovere, in
forma congrua, la vendita di prodotti agricoli locali. In alcuni casi, come
nella realtà di Mantova, sono stati stipulati accordi per riservare almeno
il 10% della superificie di vendita alimentare allo smercio di prodotti
tipici e di qualità del territorio mantovano.
Il problema sarà però definire cosa si intende per produzioni tipiche e di
qualità e di capire le condizioni contrattuali. Gran parte delle
denominazioni d’origine sono ormai controllate dall’industria agroalimentare
in quanto la costituzione e la gestione di un consorzio di tutela costerebbe
troppo per un piccolo gruppo di contadini.
«Prodotti di fattoria» da tutelare
Nasce allora l’esigenza di lavorare per superare alcune contraddizioni del
regolamento Cee 2081/1992 al fine di introdurre al più presto a livello
europeo una nuova denominazione «prodotto di fattoria» che tuteli le
produzioni di nicchia connesse al mondo agricolo, trasformate e vendute
direttamente dagli stessi agricoltori, e di tutelare al meglio tutte quelle
denominazioni che possono essere collegate al mondo rurale (contadino,
fattoria, ecc.) ma che sono sempre più «scippate» dall’agroindustria.
I prodotti di fattoria, freschi o trasformati, sono sempre più richiesti dai
consumatori, in quanto si va ampliando la fascia dei consumi alimentari
orientati alla qualità, alla tradizione, alla sicurezza alimentare, alla
certezza della provenienza, alla connessione con il territorio e con il
ciclo stagionale, all’espressione di messaggi ambientali, etici e di
attenzione al benessere animale.
Di ciò si è ben presto accorta anche l’industria agroalimentare che ha messo
in campo strategie per sfruttare questo patrimonio. I prodotti industriali,
infatti, spesso si propongono «vestiti» da prodotti agricoli, o con una
forte immagine rurale e campestre.
Ma il recupero di molte tradizioni produttive è possibile solo se ciò
innesca un processo di redditività economica, se si trasforma in iniziativa
d’impresa e inizia ad avere una concreta collocazione sul mercato,
altrimenti si fa solo un «museo delle lavorazioni rurali».
Perció non è più comprensibile l’ostilità delle organizzazioni dei
commercianti verso queste nuove tipologie di vendita diretta.
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