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Vino: la crisi non è di mercato |
Analisi di un anno vissuto difficilmente
Segnali positivi per il vino italiano arrivano dai più importanti
mercati esteri, ma il problema è che non tutte le nostre aziende sono in
grado di sfruttare questa ripresa per carenze organizzative
Siamo stati tra i primi a denunciare oltre due anni fa lo stato di
difficoltà del settore vitivinicolo italiano. Eravamo convinti che il
problema fosse in larga misura da addebitare a una situazione di mercato
difficile, a una congiuntura economica mondiale complessa, a una
aggressività dei nostri concorrenti internazionali sempre più agguerrita,
senza dimenticare la cronica frammentazione del nostro sistema produttivo.
C’eravamo sbagliati? Un po’.
Non perché le ragioni sopra descritte non abbiano inciso sui bilanci delle
nostre imprese vitivinicole, ma se oggi ascrivessimo «solo» a questi
problemi le difficoltà del nostro sistema enologico, ometteremmo un’altra
importante verità.
Una verità cruda, preoccupante, che ci dice che molte aziende vitivinicole
italiane, delle oltre 30.000 che imbottigliano, non hanno una struttura
commerciale adeguata, pagano a caro prezzo la scarsissima inclinazione al
marketing e alla comunicazione, sono penalizzate da una cronica mancanza di
dati certi sul mercato.
E, a proposito di quest’ultimo punto, diciamo subito che il mercato del vino
in Italia è «omertoso». Si fa fatica a conoscere i prezzi, non si conoscono
esattamente le giacenze, non si ha la più pallida idea delle potenzialità,
non si sanno i costi di produzione (se non con rarissime eccezioni).
Per capire meglio abbiamo voluto andare oltre i dati, pochi, di mercato
disponibili per conoscere dalla voce diretta di molte aziende il loro stato
di salute e le loro difficoltà.
Siamo stati spinti in questo dopo aver iniziato a vedere il mercato,
soprattutto quello internazionale, riprendere a muoversi, mercati strategici
per il nostro Paese, come Germania, Usa, Canada, Nord Europa, a riaprirsi e,
nonostante questo, molte imprese italiane incapaci di intercettare questa
rinascita.
Non solo. Dalle numerose interviste ad aziende in tutto il nostro Paese è
emersa chiaramente una vitivinicoltura a due velocità: da una parte aziende
dinamiche, con reti vendita efficienti e, per le realtà più piccole,
produttori disponibili a girare il mondo per trovare nuovi acquirenti,
capaci di crescere in quantità e fatturati anche in situazioni difficili;
dall’altra aziende «paralizzate», incapaci di reagire a un mercato
sicuramente più complesso, con l’unica reazione di abbassare i listini
prezzi in maniera drastica, spesso esagerata e ingiustificata. Con il
risultato che oggi per queste imprese sarà molto difficile far rialzare i
listini e con clienti «storici» che sicuramente non hanno apprezzato di aver
pagato per anni certi prezzi e oggi li vedono a volte più che dimezzati.
A proposito di prezzi va sottolineato come secondo i dati Ismea di fine
scorso anno, si è registrato un calo del 23% per i vini da tavola e del 13%
per doc e docg. Situazioni alquanto critiche per docg come il Chianti
Classico, tornato indietro agli anni più bui; meglio per le doc come
Valpolicella e Amarone.
Detto questo, andiamo allora a vedere cosa ci raccontano i dati 2005 del
vino in Italia e nel mondo.
I consumi mondiali
Partiamo dai consumi che sono sicuramente un indice chiave per capire lo
stato di salute di un settore e soprattutto le sue prospettive.
A livello mondiale si è registrato a partire dal 2004 un recupero dei
consumi che oggi sono attestati a circa 236 milioni di ettolitri (11 milioni
in più rispetto alla fine degli anni 90). La ripartizione dei consumi vede
ancora un netto predominio europeo con l’Unione Europea a 15 che assorbe il
55% dei consumi totali. In Nord America si «beve» un altro 11%, contro l’8%
del Sud America e il 7% sia del Continente asiatico che dell’Europa
centro-orientale. Rilevante anche il 5% di quota dell’ex Unione Sovietica.
Se si guardano i consumi pro capite, i primati li troviamo nei Paesi
tradizionalmente produttori, anche se è proprio qui che si denotano i cali
più rilevanti. Il primato va al Lussemburgo (61,2 L), seguito dalla Francia
(53,1 L) e dall’Italia (48,5 L).
Fuori dall’Europa, il primato spetta all’Argentina (31,6 L/anno), seguita da
Uruguay (24 L),
e Australia (20,5 L). Nel Continente americano il consumo di vino è
sostanzialmente stabile. La crescita degli Usa (+8% in 15 anni) e del
Brasile (+11%) compensa le flessioni di Cile (–34%) e Argentina (–33%).
L’area asiatica è quella che presenta le crescite più rilevanti. Qui il
consumo è più che triplicato negli ultimi 15 anni, grazie soprattutto ai
forti incrementi di Cina e Giappone.
Gli italiani, quindi, continuano
a bere meno. Probabilmente il mercato italiano, che rimane strategico per i
nostri produttori, andrà affrontato con politiche diverse a partire da una
comunicazione collettiva del sistema vino Italia che ancora stenta a
decollare.
Nel 2005, comunque, secondo i dati Ismea, gli italiani hanno speso 877
milioni di euro per i vini da tavola, 635 milioni di euro per i vini a
denominazione di origine e 200 milioni per gli spumanti.
Utile ricordare a questo proposito che l’iperaffollamento di doc, docg e igt
nel nostro Paese – siamo arrivati a ben 455 – si sta rivelando un pericoloso
boomerang per il nostro sistema vitivinicolo. La riforma della legge 164/92
che dovrà ridisegnare le regole per il riconoscimento delle denominazioni
dovrà tener conto dello scenario di mercato, della necessità di puntare su
marchi forti e visibili.
L’export si riprende
Il 2005 è stato complessivamente un anno discreto per il nostro export che
ha ricominciato a evidenziare crescite interessanti. La campagna vinicola
2004-2005 si è chiusa con una crescita dell’11% in quantità e del 5% in
valore.
Per il terzo anno consecutivo l’imbottigliato (sia da tavola che vqprd)
italiano sui mercati esteri batte lo sfuso, e anche questo è un buon dato.
Ottimo il risultato conseguito dai nostri vini nel mercato Usa con un
aumento, nel periodo gennaio-settembre, del 10% in quantità e del 15% in
valore (contro l’aumento dell’1,6% in quantità e del 2,3% in valore dei vini
francesi).
Vendemmia in calo per l’Italia
La vendemmia 2005 per l’Italia non è stata straordinaria dal punto di vista
qualitativo a parte alcune eccezioni, tra le quali va sicuramente citata la
Sicilia dove si è registrata una delle migliori vendemmie dell’ultimo
ventennio. Non ci addentriamo, comunque, nella solita valutazione della
qualità lungo il territorio nazionale per evitare la scontata diagnosi della
«macchia di leopardo».
Sappiamo bene quante differenze si possono registrare addirittura
nell’ambito di uno stesso vigneto per addentrarci in analisi così ampie.
Per quanto concerne i quantitativi, la vendemmia, secondo i dati dell’Assoenologi,
si è attestata sui 47,5 milioni di ettolitri, con un decremento dell’11%
rispetto al 2004.
Se si va a vedere cosa è successo negli altri Paesi extraeuropei nostri
competitor (per quelli europei vedi pag. 20) evidenziamo come in Australia
la vendemmia abbia superato del 6% i quantitativi del 2004 raggiungendo 1,9
milioni di tonnellate; in Nuova Zelanda sono state 142.000 le tonnellate
raccolte, un record superato solo dalle 166.000 t del 2004; in Sud Africa,
invece, vendemmia in tono minore, con un –9,3% rispetto al 2004 (circa 9,15
milioni di ettolitri).
Un dato attendibile sul vigneto Italia
Il 2005 sarà ricordato, forse, anche per essere stato l’anno in cui l’Italia
ha finalmente «scoperto» il dato certo della sua superficie vitata.
Scriviamo forse, perché è da anni che si tenta un «totosuperficie» in
mancanza di un Catasto vitivinicolo completo. Stando alle assicurazioni di
Agea, comunque, il vigneto Italia dovrebbe attestarsi sui 766.000 ha.
Non corrisponde per intero ai 792.000 comunicati a Bruxelles nel 1999 dalle
Regioni (è l’inventario di base, sempre riconosciuto dall’Ue), ma nemmeno al
«piccolo» vigneto risultato dalle dichiarazioni delle superfici vitate del
2002 (modello B1) che era di 653.000 ha. Ancora non è certo il dato relativo
al vigneto a denominazione di origine italiano: allo stato attuale il dato
più attendibile è di 260.000 ha circa.
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