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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
 
2
 12-18 Gen.

  2007
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Attualità UNIONE EUROPEA

Il mais europeo dice addio al regime di intervento

La proposta avanzata dalla commissione

Secondo la Fischer Boel mantenere il sistema costa troppo e costerebbe sempre di più. L’esclusione del mais dall’intervento pubblico farebbe risparmiare oltre 6 milioni di euro

Prima della pausa per le festività natalizie, la Commissione ha presentato ufficialmente una proposta di regolamento che modifica l’organizzazione comune di mercato nel settore dei cereali, sopprimendo il regime di intervento per il mais.
La nuova disposizione dovrà essere approvata dal Consiglio dei ministri agricoli in una delle prossime riunioni prima della primavera, per entrare in vigore a partire dalla campagna di commercializzazione 2007-2008 che avrà inizio il 1° luglio di quest’anno.
Con questa ultima e inattesa proposta legislativa, la Commissione forza ulteriormente la mano, andando a incidere su uno dei pilastri tradizionali dell’ocm, prefigurando uno scenario di progressivo disimpegno nei confronti degli strumenti di sostegno dei prezzi e dei mercati.
L’eventuale soppressione del regime di intervento per il mais avrebbe ripercussioni anche a livello italiano, benché il nostro Paese non abbia quasi mai fatto ricorso alla vendita a favore degli organismi pubblici.
Attualmente il 93% degli stock di mais a livello europeo è detenuto in Ungheria, che è uno dei maggiori Paesi produttori ed è molto lontano dai tradizionali mercati di sbocco, dove il consumo di mais è assai elevato per via di una zootecnia diffusa e molto forte.
Non è la prima volta che la Commissione europea si scaglia contro il regime di intervento nel settore dei cereali. Un primo duro colpo fu assestato nel 2003, in occasione della riforma di medio termine della pac, quando venne abolito l’acquisto pubblico per la segale. Un altro colpo è partito lo scorso mese di settembre, con un regolamento che inasprisce i requisiti merceologici che il mais deve possedere per poter essere accettato dagli organismi pubblici.
Privilegiare il mercato

La proposta di soppressione dell’intervento per il mais è fortemente sostenuta dal commissario Mariann Fischer Boel, la quale ha dichiarato che «gli agricoltori dovrebbero basare le proprie scelte sui segnali del mercato, invece di coltivare cereali unicamente per consegnarli all’intervento. Questo è il principio fondamentale sul quale si fondano le riforme che abbiamo attuato dal 2003. Se non operiamo questo cambiamento le scorte pubbliche non cesseranno di aumentare e molti agricoltori continueranno a coltivare granturco per consegnarlo all’intervento. L’esperienza maturata con la segale dimostra che l’esclusione di questo cereale all’intervento nel 2003 si è tradotta in un mercato più dinamico e in prezzi più vantaggiosi per gli agricoltori».
Con tali premesse politiche, la battaglia per il mantenimento dell’intervento nel mais si preannuncia ardua da portare a termine. Finora a opporsi fermamente sono stati l’Ungheria e il Copa-Cogeca, l’organizzazione degli agricoltori europei.
Gli ungheresi sono i principali utilizzatori del dispositivo degli acquisti pubblici nel settore del mais e i più forti beneficiari della relativa spesa europea. La soppressione dell’intervento li obbligherebbe a rinunciare a una rete di sicurezza importante per stabilizzare il mercato e farebbe diminuire le quotazioni del prodotto.
Il Copa-Cogeca non è preoccupato solo dello smantellamento di una forma efficace di protezione dei prezzi, ma pensa anche alla progressiva opera di demolizione di tutti i meccanismi di mercato della vecchia politica agricola europea, in atto ormai in modo sistematico ed evidente dagli inizi degli anni 2000. Non a caso ha chiesto alla Commissione di sospendere per il momento il processo avviato e di rimandare la discussione nell’ambito della verifica dello stato di salute della pac, in programma nel 2007 e nel 2008.
Le ragioni della Commissione
Quali sono le ragioni alla base della decisione della Commissione di accelerare i tempi e formulare una proposta che è stata accolta assai freddamente?
La prima ragione è di natura finanziaria. L’intervento nel settore del mais costa troppo e sta sfuggendo di mano. Alla fine della campagna di commercializzazione 2005-2006 c’erano in giacenza 5,6 milioni di tonnellate di mais, il 40% del totale degli stock pubblici. In assenza di misure nuove per limitare le vendite all’intervento, nel 2013 si arriverà a detenere 15,6 milioni di tonnellate. L’esclusione del granturco dal regime di acquisto pubblico permetterebbe di avere un risparmio globale di 618 milioni di euro nel periodo compreso tra il 2008 e il 2014.
A ciò si aggiungono delle motivazioni di natura logistica e mercantile. Le giacenze di mais sono concentrate in Ungheria e la vendita a favore dei principali mercati utilizzatori è difficoltosa, per via degli elevati costi di trasporto. Inoltre, c’è la complicazione del rapido declino della qualità del prodotto durante lo stoccaggio, per cui si presentano ulteriori difficoltà all’atto della vendita da parte dell’organismo pubblico.
Per finire, si deve considerare l’ingresso nell’Unione Europea della Romania che è un forte Paese produttore, con una quota di mercato attorno al 17%.
Il mais romeno potrebbe ulteriormente incrementare il fenomeno delle vendite all’intervento, fino a livelli insostenibili per le casse comunitarie.

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