UNIONE EUROPEA |
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Il mais europeo dice addio al regime di
intervento |
La proposta avanzata dalla commissione
Secondo la Fischer Boel mantenere il sistema costa troppo
e costerebbe sempre di più. L’esclusione del mais dall’intervento pubblico
farebbe risparmiare oltre 6 milioni di euro
Prima della pausa per le festività natalizie, la
Commissione ha presentato ufficialmente una proposta di regolamento che
modifica l’organizzazione comune di mercato nel settore dei cereali,
sopprimendo il regime di intervento per il mais.
La nuova disposizione dovrà essere approvata dal Consiglio dei ministri
agricoli in una delle prossime riunioni prima della primavera, per entrare
in vigore a partire dalla campagna di commercializzazione 2007-2008 che avrà
inizio il 1° luglio di quest’anno.
Con questa ultima e inattesa proposta legislativa, la Commissione forza
ulteriormente la mano, andando a incidere su uno dei pilastri tradizionali
dell’ocm, prefigurando uno scenario di progressivo disimpegno nei confronti
degli strumenti di sostegno dei prezzi e dei mercati.
L’eventuale soppressione del regime di intervento per il mais avrebbe
ripercussioni anche a livello italiano, benché il nostro Paese non abbia
quasi mai fatto ricorso alla vendita a favore degli organismi pubblici.
Attualmente il 93% degli stock di mais a livello europeo è detenuto in
Ungheria, che è uno dei maggiori Paesi produttori ed è molto lontano dai
tradizionali mercati di sbocco, dove il consumo di mais è assai elevato per
via di una zootecnia diffusa e molto forte.
Non è la prima volta che la Commissione europea si scaglia contro il regime
di intervento nel settore dei cereali. Un primo duro colpo fu assestato nel
2003, in occasione della riforma di medio termine della pac, quando venne
abolito l’acquisto pubblico per la segale. Un altro colpo è partito lo
scorso mese di settembre, con un regolamento che inasprisce i requisiti
merceologici che il mais deve possedere per poter essere accettato dagli
organismi pubblici.
Privilegiare il mercato
La proposta di soppressione dell’intervento per il mais è fortemente
sostenuta dal commissario Mariann Fischer Boel, la quale ha dichiarato che
«gli agricoltori dovrebbero basare le proprie scelte sui segnali del
mercato, invece di coltivare cereali unicamente per consegnarli
all’intervento. Questo è il principio fondamentale sul quale si fondano le
riforme che abbiamo attuato dal 2003. Se non operiamo questo cambiamento le
scorte pubbliche non cesseranno di aumentare e molti agricoltori
continueranno a coltivare granturco per consegnarlo all’intervento.
L’esperienza maturata con la segale dimostra che l’esclusione di questo
cereale all’intervento nel 2003 si è tradotta in un mercato più dinamico e
in prezzi più vantaggiosi per gli agricoltori».
Con tali premesse politiche, la battaglia per il mantenimento
dell’intervento nel mais si preannuncia ardua da portare a termine. Finora a
opporsi fermamente sono stati l’Ungheria e il Copa-Cogeca, l’organizzazione
degli agricoltori europei.
Gli ungheresi sono i principali utilizzatori del dispositivo degli acquisti
pubblici nel settore del mais e i più forti beneficiari della relativa spesa
europea. La soppressione dell’intervento li obbligherebbe a rinunciare a una
rete di sicurezza importante per stabilizzare il mercato e farebbe diminuire
le quotazioni del prodotto.
Il Copa-Cogeca non è preoccupato solo dello smantellamento di una forma
efficace di protezione dei prezzi, ma pensa anche alla progressiva opera di
demolizione di tutti i meccanismi di mercato della vecchia politica agricola
europea, in atto ormai in modo sistematico ed evidente dagli inizi degli
anni 2000. Non a caso ha chiesto alla Commissione di sospendere per il
momento il processo avviato e di rimandare la discussione nell’ambito della
verifica dello stato di salute della pac, in programma nel 2007 e nel 2008.
Le ragioni della Commissione
Quali sono le ragioni alla base della decisione della Commissione di
accelerare i tempi e formulare una proposta che è stata accolta assai
freddamente?
La prima ragione è di natura finanziaria. L’intervento nel settore del mais
costa troppo e sta sfuggendo di mano. Alla fine della campagna di
commercializzazione 2005-2006 c’erano in giacenza 5,6 milioni di tonnellate
di mais, il 40% del totale degli stock pubblici. In assenza di misure nuove
per limitare le vendite all’intervento, nel 2013 si arriverà a detenere 15,6
milioni di tonnellate. L’esclusione del granturco dal regime di acquisto
pubblico permetterebbe di avere un risparmio globale di 618 milioni di euro
nel periodo compreso tra il 2008 e il 2014.
A ciò si aggiungono delle motivazioni di natura logistica e mercantile. Le
giacenze di mais sono concentrate in Ungheria e la vendita a favore dei
principali mercati utilizzatori è difficoltosa, per via degli elevati costi
di trasporto. Inoltre, c’è la complicazione del rapido declino della qualità
del prodotto durante lo stoccaggio, per cui si presentano ulteriori
difficoltà all’atto della vendita da parte dell’organismo pubblico.
Per finire, si deve considerare l’ingresso nell’Unione Europea della Romania
che è un forte Paese produttore, con una quota di mercato attorno al 17%.
Il mais romeno potrebbe ulteriormente incrementare il fenomeno delle vendite
all’intervento, fino a livelli insostenibili per le casse comunitarie.
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