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Sviluppo rurale,l’efficienza di spesa non è
sufficiente |
I nuovi Piani di sviluppo rurale dovranno essere più incisivi di
quelli della programmazione 2000-2006. Perchè questo obiettivo possa essere
raggiunto è necessario però avere idee chiare sull’agricoltura che si vuole
avere nel 2020
Con la ricevibilità del Piano strategico nazionale e la
pubblicazione del regolamento applicativo sul sostegno allo sviluppo rurale
le Regioni possono inviare a Bruxelles i propri Piani di sviluppo rurale. Si
concretizza, così, la nuova programmazione finanziaria anche se per l’avvio
dovremo aspettare l’approvazione della Commissione che arriverà entro sei
mesi. Una programmazione che dovrà essere più incisiva ed efficace di quella
passata in quanto dovrà sostenere l’inevitabile processo di cambiamento
avviato con la riforma della politica agricola comune.
Questa volta non basterà avere l’efficienza della spesa, di cui negli ultimi
tempi si sono fatte forti la gran parte delle regioni italiane, in risposta
allo scarso impatto rilevato per molte misure.
Occorre effettuare scelte strategiche, cioè avere idee chiare
sull’agricoltura che vogliamo avere nell’anno 2020, sugli attori da
coinvolgere e soprattutto rispetto a quali esigenze prioritarie della
società civile il Piano di sviluppo rurale intende dare risposta.
Questa volta la mancanza di risultati concreti nell’uso delle risorse non si
risolverà solo con l’analisi critica della Corte dei conti europea, ma
rischia di compromettere il futuro stesso delle imprese agricole e del mondo
rurale italiano.
I primi segni sono già presenti nelle statistiche europee che denunciano un
ritardo dell’economia agricola italiana rispetto agli altri Paesi membri sia
in termini di reddito, sia di adattamento strutturale e organizzativo.
Non si può non rilevare che molte misure della scorsa programmazione hanno
avuto un ruolo soprattutto di «tiraggio della spesa», ma scarso impatto,
come ad esempio la misura per il primo insediamento che, sebbene grandemente
utilizzata, non ha consentito di aumentare la percentuale di giovani
agricoltori e che molto spesso ha drenato soldi dal settore invece di
divenire uno strumento di attrazione di nuovi capitali umani e finanziari.
Lo stesso si deve rilevare per molte misure agroambientali che non hanno
portato a risultati significativi per l’ambiente e spesso hanno ridotto la
qualità commerciale delle produzioni e l’attenzione dell’agricoltore allo
sviluppo di innovazioni nelle pratiche e nei prodotti.
A questo si aggiunge lo scarso coordinamento tra le misure che ha spesso
portato a una sostituzione delle finalità. È questo il caso dei premi per le
produzioni biologiche che sono andati alla gestione dei prati pascoli.
Questo ha certo consentito il mantenimento di attività pastorali nelle zone
interne, ma non ha contribuito a sviluppare un mercato per le produzioni
biologiche e le necessarie innovazioni nei prodotti e nelle tecniche. Lo
stesso risultato sulla pastorizia è stato ottenuto in Francia utilizzando
ampiamente la più adeguata misura di indennità compensativa per i prati
pascoli, senza costi aggiuntivi di certificazione e senza effetti
diseducativi per gli agricoltori.
Se nel caso del primo insediamento il correttivo a una spesa inefficace
viene direttamente dalla nuova regolamentazione comunitaria, che impone un
piano aziendale all’interno del quale evidenziare la finalizzazione del
premio, per le altre misure occorre una attenta riflessione, da parte delle
Amministrazioni, sulle modalità e procedure di spesa.
La scarsa efficacia della spesa deriva dal fatto che nella programmazione
spesso mancano i progetti concreti su cui finalizzare le misure e modulare
gli strumenti.Progetti per la cui realizzazione non è sufficiente l’utilizzo
di una misura, ma hanno bisogno delle sinergie che è possibile creare con
più misure e più fonti finanziarie. Questo significa individuare priorità e
accettare che alcuni progetti vengano prima e altri, invece, debbano
aspettare correndo anche il rischio di effettuare errori che comunque
possono trovare aggiustamenti durante il lungo periodo di programmazione.
Abbiamo davanti fino a sei mesi di negoziati tra regioni e Commissione per
l’approvazione dei piani. Utilizziamo questo periodo per preparare quei
progetti sui quali far convergere le risorse, almeno quelle iniziali.
Non abbiamo una grande necessità di fare spesa subito poiché gran parte
delle risorse dei primi anni sono già destinate a coprire gli impegni presi
nella passata programmazione, il ben noto trascinamento. Finalizziamo subito
le risorse libere, così da avere elementi, risultati ed esperienza per la
seconda fase di programmazione e riuscire a coniugare efficacia ed
efficienza della spesa senza dover dare priorità alla seconda.
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