POLITICA |
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Unità di crisi contro l’influenza aviare |
Il virus colpisce in Turchia
I casi mortali registrati in Turchia rendono necessario intensificare
ancora di più le misure per evitare il diffondersi del contagio, ma l’Europa
stenta a prendere decisioni
Il ministro della sanità Francesco Storace ha deciso l’istituzione di una
Unità di crisi contro l’influenza aviare che avrà lo scopo di monitorare la
situazione e di coordinare gli interventi; la decisione è di martedì 10
gennaio e arriva dopo l’esplosione del «caso Turchia», che ha portato ad
accertare la presenza del virus alle porte dell’Europa.
È evidente che il primo obiettivo delle autorità è quello di difendere la
salute dei cittadini e di adottare quindi tutte le misure utili per
diminuire la possibilità dell’espandersi del contagio: dal blocco delle
importazioni di prodotti a rischio dalla Turchia fino al possibile divieto,
o comunque limitazione, dei viaggi verso quel Paese. È altrettanto evidente,
però, che l’aggravarsi della situazione comporta una ricaduta sul già
provato settore avicolo italiano, alle prese con una caduta dei consumi
immotivata e devastante.
Contro le paure collettive, purtroppo, non bastano le rassicurazioni degli
esperti, a cominciare da quelli del Ministero della salute che, in un
comunicato affermano che «i Servizi veterinari italiani, sia del territorio
che dei posti di controllo alle frontiere, sono in stato di allerta costante
e conducono i controlli in modo attento e intensificato. Pertanto il sistema
produttivo italiano non è a rischio e la rete di sorveglianza epidemiologica
e il monitoraggio sierologico sui volatili selvatici e domestici, nonché le
misure adottate, rappresentano un efficace ed efficiente sistema di tutela e
protezione della salute umana».
Sul piano della sicurezza del consumatore, che nasce anche dalla chiarezza
delle informazioni fornite, si innesta il conflitto con l’Unione Europea
sulla questione dell’etichettatura. Come si sa, l’Italia, con un’ordinanza
del Ministero della salute entrata in vigore il 17 ottobre scorso, ha reso
obbligatoria l’indicazione sull’etichetta dell’origine della carne (vedi
L’Informatore Agrario n. 45/2005 pag. 11), ma questa decisione è costata
all’Italia l’avvio di una procedura di infrazione perché, secondo i servizi
della Commissione, rappresenterebbe un ostacolo agli scambi commerciali e un
aggravio dei costi per il prodotto importato.
È difficile capire la logica di queste contestazioni, ma tant’è.
Su questo tema si è espresso lo stesso ministro Storace, il quale ha
affermato che occorre tenere duro sul contenzioso in corso con l’Ue
sull’etichettatura obbligatoria e fare ogni sforzo perché la misura venga
adottata anche dagli altri Paesi della Comunità.
La Coldiretti, che della tracciabilità ha fatto una sua bandiera, sostiene
senza mezzi termini che «la volontà dell’Unione Europea di eliminare
l’obbligo di indicare sulle etichette l’origine del pollame e dei suoi
derivati è un grave pericolo per la sicurezza alimentare dei cittadini che
va contrastato con decisione per garantire la rintracciabilità delle
produzioni e una maggiore efficienza dei controlli sui prodotti importati».
«Occorre impedire che le evidenti pressioni determinate da interessi
commerciali –sostiene la Coldiretti – prevalgano sulla necessità di tutelare
la salute dei cittadini e gli allevamenti nazionali, come dimostra il fatto
che l’Unione Europea è incredibilmente contraria all’etichetta di
provenienza».
L’Ismea ha stimato che il calo dei consumi nel nostro Paese, su base annua,
è del 10%, con danno economico per il settore intorno ai 500 milioni di
euro. Se questa è la situazione attuale, guardando al futuro c’è poco da
stare allegri.
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