|
|
I tre nodi dell'ortofrutta |
Aumentare la dimensione delle imprese è sicuramente necessario,
insieme però a diverse strategie di mercato e a una migliore logistica. I
prodotti dop e igp non hanno ancora trasformato la denominazione da costo a
vantaggio commerciale
Gli ultimi mesi dell'anno appena concluso sono stati forieri per il
comparto ortofrutticolo di molti buoni propositi che meritano attenzione e
un approfondimento.
Si è parlato della necessità di concentrare ulteriormente il sistema delle
imprese per raggiungere dimensioni idonee al mutato contesto commerciale;
finalmente è stata tirata in ballo la logistica come fattore competitivo più
che come argomento da convegno e, infine, qualcuno ha cominciato a
domandarsi come trasformare sul mercato le dop e le igp dell'ortofrutticoltura
da puri costi e vincoli in valore aggiunto.
Sulla necessità di imprese di maggiori dimensioni per competere in un
mercato ormai veramente globale non credo esistano dubbi. Dal punto di vista
pratico nasce però qualche preoccupazione perché, se possono essere note a
priori le dimensioni tecniche delle aggregazioni da proporre, più aleatoria
è la portata delle stesse in termini commerciali, soprattutto quando nessuna
delle aziende oggetto della concentrazione porta in dote nuovi clienti o,
meglio, nuovi mercati, ma solo agricoltori, stabilimenti e prodotti.
Le prime grandi concentrazioni realizzate nel nostro comparto ortofrutticolo
hanno sofferto di questa problematica, soffocate nei tradizionali mercati
della vecchia Europa, dove domina un pugno di agguerriti distributori, con
masse di prodotto sempre più ingenti e senza la flessibilità delle più
piccole imprese da cui provenivano. Non voglio però essere frainteso: non
penso che le crisi degli ultimi anni siano state originate o anche solo
aggravate dai grandi gruppi, tutt'altro; infatti queste imprese, grazie alle
economie di scala realizzate, sono state in grado di ridurre i costi fissi
e, quindi, anche le perdite dei propri agricoltori in questi anni difficili.
Quello che però è mancato anche alle punte di diamante del nostro sistema
ortofrutticolo è stato un vero orizzonte di mercato internazionale con cui
almeno parzialmente equilibrare le difficoltà sul mercato della vecchia
Europa. Senza questa capacità la portata di nuove aggregazioni è modesta,
così come i benefici.
Anche a questo livello voglio essere chiaro: non è il numero di Paesi in cui
si è commercialmente presenti che fa la differenza, ma il modo in cui vi si
opera e quanto risulta equilibrato il portafoglio clienti sui diversi
mercati. Un conto è servire un mercato straniero con una propria succursale,
cosa diversa è agire con intermediari; così come operare con un portafoglio
clienti in cui nessuno supera il 10% delle vendite e nessun mercato arriva
al 20% o, viceversa, con due mercati e cinque clienti che rappresentano
oltre il 70% del totale commercializzato.
Venendo alla logistica devo ammettere che stiamo assistendo a un cambio di
mentalità da parte dei nostri operatori. Non vi è ancora nulla di concreto
ma mi sembra si stia radicando la convinzione che la gestione del prodotto
oltre i cancelli dell'azienda non è più vista come un problema da scaricare
sul cliente, ma un'opportunità per governare meglio il mercato ritraendo
valore aggiunto.
Questo risulta vero soprattutto se pensiamo alla logistica terrestre nel
continente europeo, ma si può pensarla anche come uno strumento per
approcciare nuovi mercati, se consideriamo ad esempio quella marittima.
Quello che ancora manca sono progetti concreti che andrebbero anche
adeguatamente incentivati.
Infine, venendo alle protezioni europee sulle dop e sulle igp, dopo anni
trascorsi ad acquisire il primato fra i Paesi della Comunità come numero di
riconoscimenti ottenuti, sembra sia venuto il momento di domandarsi come
recuperare i costi sostenuti. Per la verità, escludendo qualche sparuta
eccezione che, però, come al solito, conferma la regola, la
commercializzazione di dop e igp ortofrutticole procede molto a rilento e,
soprattutto, con modesti risultati sia sul differenziale di qualità
percepita dal consumatore sia sul valore aggiunto ritratto dai produttori,
con rischio di disaffezione per entrambi.
A mio avviso, ciò che più manca in questo caso è un programma di marketing
collettivo con cui supportare il nostro portafoglio prodotti che, escluse
poche eccezioni, è costituito da nicchie senza masse critiche, con modesta
capacità di spesa in attività di marketing e con scarso peso commerciale sul
mercato.
|