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In Coldiretti finisce «l'era Bedoni» |
Dimissioni a un anno dalla fine del mandato
Dopo nove anni di presidenza, in un periodo
caratterizzato da grandi cambiamenti sia a livello mondiale che nazionale,
il presidente della maggiore organizzazione agricola italiana ha lasciato la
carica. A febbraio il successore
Paolo Bedoni, eletto presidente della Coldiretti nel 1997, si è dimesso
il 21 dicembre scorso al termine dell’assemblea dell’Organizzazione. Lo ha
reso noto un comunicato stampa con il quale si informa che la decisione è
stata presa per motivi strettamente personali e che entro il 10 febbraio
l’assemblea dei delegati eleggerà il successore.
Alcune settimane fa Bedoni aveva assunto la presidenza della Cattolica
Assicurazioni, quarto gruppo assicurativo italiano, ed è probabile che il
nuovo incarico, pur non incompatibile formalmente con il primo, sia
all’origine della decisione di lasciare con un anno di anticipo la guida
della Coldiretti.
Bedoni ha presieduto questa grande organizzazione, fondata nell’immediato
Dopoguerra da Paolo Bonomi, attraverso un percorso di deciso rinnovamento
organizzativo, di immagine e di filosofia sindacale. Obiettivo del nuovo
corso è stata la rigenerazione dell’agricoltura italiana. Un obiettivo tutt’altro
che evanescente, essendosi tradotto nel corso degli anni in una concreta –
seppure sofferta –
trasformazione della Coldiretti da corporazione a forza sociale aperta al
confronto con i consumatori, assurti anche in Italia proprio in questi anni
a un ruolo di protagonisti difficilmente ignorabile.
Il risultato è stato in gran parte positivo sia per questi ultimi sia per
gli agricoltori, per i quali non può non essere di giovamento la battaglia
che Coldiretti ha combattuto per l’etichettatura trasparente, per la
tracciabilità del prodotto e per la difesa del made in Italy. Una battaglia
che ha avuto un impatto mediatico significativo e duraturo.
Dalla scelta di riscrivere il rapporto tra l’organizzazione professionale e
il resto del mondo è derivato anche un nuovo modo di interpretare il
rapporto con l’Unione Europea. Si è rafforzata innanzitutto l’adesione della
Coldiretti agli ideali europeisti e al progetto di allargamento ai Paesi
dell’Est.
In secondo luogo la trasformazione della politica agricola comune, a partire
dalla riforma attuata dal commissario all’agricoltura Franz Fischler per
arrivare all’attuale corso del suo successore Mariann Fischer Boel, è stata
molto più accompagnata ed elaborata che contrastata, nella convinzione che
le alternative a quei progetti fossero ben più dannose per gli agricoltori.
Diverso è stato infine, anche in dipendenza di un’obiettiva rivoluzione
nello scenario politico italiano, il rapporto con le forze politiche. Per
rimarcare la fine di ogni collateralismo o sospetto tale, la Coldiretti ha
preso sempre più le distanze dai partiti, pur mantenendo con singoli
esponenti di varia estrazione divenuti poi ministri – da Pecoraro Scanio a
Gianni Alemanno, a Paolo De Castro – buoni se non ottimi rapporti.
La rivoluzione culturale avvenuta nel corso della presidenza Bedoni ha
creato un notevole sconcerto sia tra le organizzazioni sorelle sia in alcuni
settori confindustriali e i rapporti sono stati tutt’altro che idilliaci. In
particolare è stata aspramente contestata la decisione della Coldiretti di
chiamarsi letteralmente fuori da quella che, con un linguaggio un po’
aulico, Bedoni ha sempre definito «la cittadella dell’agricoltura».
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