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Il problema nitrati e la politica dello struzzo |
L’agricoltura italiana per troppo tempo ha ignorato questo argomento
che ora rischia di diventare «esplosivo». Una soluzione razionale non può
prescindere da un’azione strategica coordinata tra le Regioni e le
rappresentanze agricole
Sulla Gazzetta Ufficiale della Cee del 31 dicembre 1991 veniva
pubblicata la ormai famosa direttiva n. 676 «relativa alla protezione delle
acque dall’inquinamento provenienti da fonti agricole»: in questi giorni,
quindi, la direttiva ha compiuto 15 anni. Da allora sono passate ormai tre
riforme della pac: quella del 1992, la cosiddetta McSharry, Agenda 2000 e
infine, nel 2003, la cosiddetta riforma Fischler, ma il nostro Paese, ancora
una volta, non è stato particolarmente attento e celere nell’adozione di
questo provvedimento comunitario.
Il tema del rischio di inquinamento da nitrati è potenzialmente gravido di
conseguenze importanti, in particolare sull’economia agricola e zootecnica
della Pianura Padana, ma non è certamente ignorando il problema che se ne
avvia una positiva soluzione.
In fondo la direttiva proponeva un meccanismo ragionevole: identificare,
mediante attività di misurazione opportune, le «zone vulnerabili»; prevedere
per queste aree programmi d’azione idonei con misure vincolanti, oltre ad
altre misure facoltative per gli agricoltori; realizzare un monitoraggio
dell’evoluzione dell’inquinamento da nitrati nelle aree identificate e
adattare, periodicamente, sia la definizione delle zone vulnerabili che
quella delle misure da attuare.
Nel nostro Paese, è inutile negarlo, vi sono diverse situazioni di
sensibilità all’inquinamento da nitrati, sia per la particolare
conformazione del territorio e talvolta dei terreni, sia per la particolare
intensità dell’attività agricola e di allevamento nelle aree più favorevoli.
La direttiva, per queste ragioni, è stata vista, più a torto che a ragione,
semplicemente come una nuova fonte di vincoli ambientali generatori di costi
per gli agricoltori e gli allevatori e non come una possibilità di dare
origine, complessivamente, a benefici per la collettività senza contraccolpi
eccessivi sull’agricoltura.
Questo atteggiamento culturale è, prima di tutto, una delle principali cause
del problema. Una moderna agricoltura deve infatti mostrare la sua capacità
di affrontare con atteggiamento responsabile, ma anche con efficienza ed
efficacia, i problemi connessi con la gestione e la tutela delle risorse
ambientali. E ciò proprio per trovare tempestivamente e positivamente le
migliori soluzioni tecniche ed economiche per il mantenimento di un
equilibrato rapporto tra attività agricola e ambiente. Quando una direttiva
non viene applicata per troppo tempo per timore dei possibili effetti
negativi immediati sull’economia delle aziende agricole, si rinuncia di
fatto anche alla flessibilità e alla progressività che la norma stessa
prevede e si rischia semplicemente di creare una situazione «esplosiva».
Lo strumento normativo deve essere applicato in modo adeguato, chiaro ed
efficace, con tutti i necessari e possibili aggiustamenti, senza polemiche
pretestuose. Peraltro una programmazione intelligente permette anche di
sostenere economicamente i necessari adattamenti che il settore deve, nel
caso, adottare.
Un altro aspetto importante che questa direttiva permette di evidenziare è
quello della dimensione territoriale del problema e quindi, necessariamente,
anche delle soluzioni. Il nostro Paese, con la sua dinamica tra Governo
nazionale e Regioni, trova una grande difficoltà ad affrontare al giusto
livello questo tema, come altri di natura ambientale che, appare evidente
nel caso della Pianura Padana, non può che essere, razionalmente, quello
dell’intero bacino padano e quindi di natura interregionale. Bisogna
sperimentare un modo di intervento e di collaborazione che deve uscire dalle
logiche strettamente regionali, per trovare una soluzione razionale. Con ciò
non si vuole affermare né che le Regioni abbiano ignorato le questioni
legate ai rischi di inquinamento da nitrati dell’agricoltura e della
zootecnia, né che gli agricoltori non abbiano operato in questa direzione.
Ciò che chiaramente manca, tuttavia, ancora una volta, è una capacità di
azione strategica coordinata in grado di rispondere in modo complessivamente
più efficace e più efficiente anche alle questioni poste dalla direttiva
nitrati. È ormai giunto il tempo di affrontare questi temi in modo più
coordinato tra Regioni, con l’indispensabile coinvolgimento anche delle
rappresentanze degli agricoltori e degli allevatori. I campi di azione
possono essere sia quelli propri della direttiva, cioè programmi d’azione
per zone vulnerabili, che i nuovi Piani di sviluppo rurale regionali.
Nei Psr, ad esempio, si potrà ancora usare l’approccio «della carota»
piuttosto che quello «del bastone» per la riduzione del rischio di
inquinamento da nitrati, e non si tratta di una differenza trascurabile, sia
per le imprese sia per l’efficacia delle misure.
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