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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
 
1
 5-11 Gen.

  2007
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Editoriale

Il problema nitrati e la politica dello struzzo
Gabriele Canali

L’agricoltura italiana per troppo tempo ha ignorato questo argomento che ora rischia di diventare «esplosivo». Una soluzione razionale non può prescindere da un’azione strategica coordinata tra le Regioni e le rappresentanze agricole

Sulla Gazzetta Ufficiale della Cee del 31 dicembre 1991 veniva pubblicata la ormai famosa direttiva n. 676 «relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provenienti da fonti agricole»: in questi giorni, quindi, la direttiva ha compiuto 15 anni. Da allora sono passate ormai tre riforme della pac: quella del 1992, la cosiddetta McSharry, Agenda 2000 e infine, nel 2003, la cosiddetta riforma Fischler, ma il nostro Paese, ancora una volta, non è stato particolarmente attento e celere nell’adozione di questo provvedimento comunitario.
Il tema del rischio di inquinamento da nitrati è potenzialmente gravido di conseguenze importanti, in particolare sull’economia agricola e zootecnica della Pianura Padana, ma non è certamente ignorando il problema che se ne avvia una positiva soluzione.
In fondo la direttiva proponeva un meccanismo ragionevole: identificare, mediante attività di misurazione opportune, le «zone vulnerabili»; prevedere per queste aree programmi d’azione idonei con misure vincolanti, oltre ad altre misure facoltative per gli agricoltori; realizzare un monitoraggio dell’evoluzione dell’inquinamento da nitrati nelle aree identificate e adattare, periodicamente, sia la definizione delle zone vulnerabili che quella delle misure da attuare.
Nel nostro Paese, è inutile negarlo, vi sono diverse situazioni di sensibilità all’inquinamento da nitrati, sia per la particolare conformazione del territorio e talvolta dei terreni, sia per la particolare intensità dell’attività agricola e di allevamento nelle aree più favorevoli.
La direttiva, per queste ragioni, è stata vista, più a torto che a ragione, semplicemente come una nuova fonte di vincoli ambientali generatori di costi per gli agricoltori e gli allevatori e non come una possibilità di dare origine, complessivamente, a benefici per la collettività senza contraccolpi eccessivi sull’agricoltura.
Questo atteggiamento culturale è, prima di tutto, una delle principali cause del problema. Una moderna agricoltura deve infatti mostrare la sua capacità di affrontare con atteggiamento responsabile, ma anche con efficienza ed efficacia, i problemi connessi con la gestione e la tutela delle risorse ambientali. E ciò proprio per trovare tempestivamente e positivamente le migliori soluzioni tecniche ed economiche per il mantenimento di un equilibrato rapporto tra attività agricola e ambiente. Quando una direttiva non viene applicata per troppo tempo per timore dei possibili effetti negativi immediati sull’economia delle aziende agricole, si rinuncia di fatto anche alla flessibilità e alla progressività che la norma stessa prevede e si rischia semplicemente di creare una situazione «esplosiva».
Lo strumento normativo deve essere applicato in modo adeguato, chiaro ed efficace, con tutti i necessari e possibili aggiustamenti, senza polemiche pretestuose. Peraltro una programmazione intelligente permette anche di sostenere economicamente i necessari adattamenti che il settore deve, nel caso, adottare.
Un altro aspetto importante che questa direttiva permette di evidenziare è quello della dimensione territoriale del problema e quindi, necessariamente, anche delle soluzioni. Il nostro Paese, con la sua dinamica tra Governo nazionale e Regioni, trova una grande difficoltà ad affrontare al giusto livello questo tema, come altri di natura ambientale che, appare evidente nel caso della Pianura Padana, non può che essere, razionalmente, quello dell’intero bacino padano e quindi di natura interregionale. Bisogna sperimentare un modo di intervento e di collaborazione che deve uscire dalle logiche strettamente regionali, per trovare una soluzione razionale. Con ciò non si vuole affermare né che le Regioni abbiano ignorato le questioni legate ai rischi di inquinamento da nitrati dell’agricoltura e della zootecnia, né che gli agricoltori non abbiano operato in questa direzione. Ciò che chiaramente manca, tuttavia, ancora una volta, è una capacità di azione strategica coordinata in grado di rispondere in modo complessivamente più efficace e più efficiente anche alle questioni poste dalla direttiva nitrati. È ormai giunto il tempo di affrontare questi temi in modo più coordinato tra Regioni, con l’indispensabile coinvolgimento anche delle rappresentanze degli agricoltori e degli allevatori. I campi di azione possono essere sia quelli propri della direttiva, cioè programmi d’azione per zone vulnerabili, che i nuovi Piani di sviluppo rurale regionali.
Nei Psr, ad esempio, si potrà ancora usare l’approccio «della carota» piuttosto che quello «del bastone» per la riduzione del rischio di inquinamento da nitrati, e non si tratta di una differenza trascurabile, sia per le imprese sia per l’efficacia delle misure.
 

Sommario rivista Gabriele Canali


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