Slow breeding? No, grazie

vite in vitro

Pubblichiamo la risposta della Società italiana di genetica agraria all’articolo di Francesco Sottile «L’editing genetico e l’esaltazione della prepotenza» apparso su www.slowfood.it il 22 luglio 2019 e al comunicato stampa di Slow Food del 25 luglio 2019 «L’Ue tenga le porte chiuse alle nuove tecniche di mutagenesi».

Sotto accusa è il miglioramento genetico delle piante coltivate. Il titolo dell’articolo di Francesco Sottile di Slow Food, membro del Comitato Esecutivo e docente di arboricoltura presso l’Università di Palermo, presenta già la tesi: le nuove tecnologie di editing genetico sono «prepotenti». Al contrario l’attività di miglioramento genetico degli agricoltori singoli (quella praticata nel mondo ad agricoltura moderna fino ai primi del ‘900) sarebbe virtuosa. Secondo Sottile le pratiche genetiche derivate dalle conoscenze scientifiche da Mendel in poi e collegabili con l’iniziativa privata, sono prepotenti.

Rincara la dose delle accuse il comunicato stampa ufficiale di Slow Food del 25 luglio, in cui viene presa una posizione di totale chiusura verso le nuove tecniche di mutagenesi. Questo anche con un uso del termine «porte chiuse» che sembra rincorrere la moda politica del momento, e con un esordio in cui Slow Food sostiene che: «I rappresentanti dell’industria e diversi Stati membri dell’Unione europea stanno attualmente esercitando pressioni sugli organi legislativi dell’UE affinché le Nbt siano escluse dalla normativa vigente che li equipara agli ogm», nascondendo il fatto che da anni sono innanzitutto gli scienziati di decine e decine di grandi istituzioni pubbliche di ricerca e università, nonché accademie e società scientifiche europee, che fanno questa richiesta, basandosi su evidenze scientifiche.

Buoni e cattivi

La genetica agraria è una delle applicazioni delle scoperte scientifiche oggetto di attacchi politici e mediatici più potenti, a livello globale e in particolar modo in Italia. La strategia di questi attacchi è tanto semplice quanto efficace, ed è la stessa utilizzata in altri campi delle campagne politiche. Si definiscono alcuni termini come «positivi» oppure «negativi», ci si appropria di quelli definiti positivi e si assegnano i negativi al campo che si è scelto come avversario, indipendentemente dal fatto che tutto ciò sia vero o no.
In questo caso i termini positivi sono: biodiversità, sostenibilità, partecipazione, saperi, tradizioni, agricoltori; quelli negativi: prepotenza, multinazionali, brevetti, laboratorio, ibridi, profitto economico. Il quadro che ne emerge è che i tutti laboratori scientifici sono al servizio del profitto e delle multinazionali, contro gli agricoltori che con i loro saperi difendono la biodiversità e le tradizioni.

Il primo atto di prepotenza sarebbe stata l’introduzione delle varietà ibride, iniziata per il mais da enti pubblici statunitensi all’inizio del secolo scorso e poi sviluppata fino ad oggi dal settore pubblico e da aziende private in numerose altre specie coltivate.
Per noi genetisti agrari, gli ibridi sono una grande innovazione della genetica applicata all’agricoltura e hanno permesso, ad esempio, non solo di quintuplicare la produttività nel mais ma anche di aumentare fortemente la produttività del riso in Asia. In Cina questi hanno dato un importante contributo a uscire dagli spettri della fame che affliggevano il Paese fino alla fine degli anni settanta dello scorso secolo. L’IRRI, la più grande organizzazione pubblica internazionale di ricerca sul riso, è particolarmente attiva nella ricerca sugli ibridi.

Il secondo atto di prepotenza sarebbe stata l’introduzione degli ogm. La prima produzione di una pianta ogm è avvenuta in laboratori pubblici europei, ma è innegabile che l’imprenditoria Usa è stata molto più efficace nell’utilizzo pratico di questa invenzione. Da genetisti agrari non possiamo ignorare che gli ogm hanno avuto un grande successo in alcune specie coltivate perché hanno contribuito a risolvere problemi pratici degli agricoltori: la lotta contro le piante infestanti e contro gli insetti.

Tradizione contro progresso

Sottile esalta la lentezza del miglioramento genetico tradizionale e condanna la rapidità permessa dalle nuove tecnologie. Se i nostri antenati avessero avuto i mezzi per ottenere rapidamente i nuovi caratteri che cercavano li avrebbero utilizzati: se si giudica utile una caratteristica agronomica è meglio ottenerla in due anni o in quindici?

Ma è proprio vero che la lentezza aiuta a tenere conto «della pressione ambientale, della selezione in campo, dell’agricoltore, dell’equilibrio con l’ambiente e con il clima in continua evoluzione»? Quando compare una nuova malattia epidemica delle piante, i breeder si attivano con la massima tempestività per fornire agli agricoltori varietà resistenti. Siamo sicuri che la lentezza sia una virtù? Basta vedere gli effetti della lentezza a fronte di un’emergenza come quella dell’epidemia di Xylella sulle piante di olivo. Oppure fare una piccola indagine storica per capire le conseguenze di questa lentezza oggi tanto decantata: carestie dovute a malattie e parassiti delle piante, come la Grande carestia in Irlanda causata da un parassita della patata.

Il miglioramento genetico moderno viene dipinto come avulso dalla realtà dell’agricoltura. In realtà le novità ottenute in laboratorio, spesso pensate proprio per rispondere alle sfide dei cambiamenti climatici (che sono tutt’altro che lenti, a quanto pare), e alle esigenze degli agricoltori, vengono provate in campo e, in ultima analisi, sono sempre sottoposte al vaglio degli agricoltori.

Il problema, secondo Sottile, è sempre il solito: quello della «logica del profitto» che muove l’iniziativa privata. Ci domandiamo perché il successo commerciale viene presentato come positivo quando si tratta dei prodotti dell’agricoltura biologica o biodinamica, mentre invece è considerato come stigma quando si tratta degli ibridi o degli ogm. È da rilevare che il profitto economico muove qualsiasi iniziativa imprenditoriale, compresa quella degli agricoltori, incluso chi pratica agricoltura biologica o biodinamica, o chiede un presidio Slow Food.

Si biasima anche la brevettazione, espressione massima della logica del profitto. Vogliamo far notare che il termine «biodinamico» è un marchio registrato che si può utilizzare solo a titolo oneroso, il Kamut è un marchio registrato, Slow Food è un marchio registrato. L’Università di Scienze Gastronomiche è un’impresa privata. Sono tutte attività con interessi economici.
Al contrario, la ricerca di laboratorio applicata al miglioramento genetico, che ultimamente sta sviluppando le applicazioni dell’editing del genoma, è svolta in molti enti pubblici, e sfugge alla logica del profitto, perché si fonda sul desiderio di conoscere e migliorare degli scienziati. La stragrande maggioranza delle pubblicazioni scientifiche dei biotecnologi e genetisti delle piante italiani è finanziata esclusivamente da enti pubblici.

La sua applicazione pratica dovrà poi avere la necessaria remunerazione dei diritti di proprietà intellettuale, tutelati in questo caso non dalla normativa che regolamenta i brevetti industriali o i marchi registrati, come nel caso dei prodotti a base di Kamut e dei prodotti biodinamici Demeter, ma da un’apposita normativa sulle privative vegetali che è stata sviluppata per contemperare le esigenze di protezione del costitutore varietale e quelle di avanzamento continuo del miglioramento genetico («breeder’s exemption»).

Nel comunicato stampa di Slow Food del 25 luglio leggiamo anche: «… l’agricoltura non è una materia da laboratorio». Qui si propugna addirittura un’agricoltura «lab-free», ignorando la ricerca di un gran numero di laboratori che nel mondo hanno dato e danno un essenziale contributo di conoscenze e tecnologie che troviamo oggi applicate nei campi coltivati.
Vi si legge anche: «Non si tengono in considerazione i fattori esterni come la pressione ambientale, l’equilibrio degli ecosistemi e la crisi climatica, negando il valore del lavoro dell’agricoltore e della selezione in campo»: come se i risultati ottenuti in laboratorio non fossero applicati a piante che dovranno essere provate e coltivate dagli agricoltori nei campi.

Si cerca di separare l’agricoltura pratica dalla ricerca biologica e genetica sulle piante agrarie: è un po’ come dire che i ricercatori di genetica umana negano il lavoro dei medici di base. Un ragionamento fuori della realtà.

Cosa è sostenibile?

Veniamo alla sostenibilità. Le nuove tecnologie di breeding non sarebbero «sostenibili». L’editing del genoma viene in realtà applicato a molti obiettivi diretti di sostenibilità, come la riduzione dell’uso di fitofarmaci, dei fertilizzanti e dell’irrigazione, il miglioramento del valore nutrizionale dei prodotti agricoli. Osserviamo, al contrario, che non c’è evidenza scientifica che le coltivazioni biologiche e biodinamiche siano più sostenibili a parità di prodotto ottenuto.

In conclusione dell’articolo di Sottile c’è una sorta di «scelta di campo» per l’agricoltura di piccola scala capace di custodire cultura rurale, biodiversità, saperi, tradizioni, conoscenze…. Tutto bene, ma non dimentichiamo che quella stessa agricoltura non è oggi quella di settant’anni fa, e settanta anni fa non era la stessa di duecento anni prima. Ogni attività umana, e l’agricoltura non è un’eccezione, è sempre stata innovata basandosi sulle nuove conoscenze.

Da quando la scienza è stata sostenuta da forti investimenti pubblici, queste innovazioni sono diventate più rapide, con grandi vantaggi per tutta l’umanità. All’inizio degli anni ’70 eravamo 3,5 miliardi con più di 1 miliardo di denutriti, mentre oggi siamo quasi 8 miliardi con meno di 1 miliardo di denutriti.

Diciamo la verità: non vi è alcuna contraddizione fra agricoltura su piccola scala e innovazione. Quasi tutta l’agricoltura italiana è su piccola scala, ma ora utilizza i satelliti, i droni, i sensori, le conoscenze sulla composizione del suolo e le nuove varietà prodotte dai genetisti: in questo modo produce meglio, alimenti più sani e nutrienti, e in modo più sostenibile.
Non ci si è mai fermati con l’innovazione, quindi perché nel breeding bisognerebbe tornare indietro a pratiche di cento anni fa?

L’agricoltura deve produrre, con una maggiore sostenibilità ambientale ed economica, alimenti nutrienti e sufficienti per una popolazione mondiale in rapida crescita, e non solo per consumatori benestanti e sofisticati. Se non si vuole tornare alla fame.

 

Mario Pezzotti
Presidente Società Italiana di Genetica Agraria

Michele Morgante, Daniele Rosellini, Ignazio Verde, Alessandro Vitale
Gruppo Comunicazione Società Italiana di Genetica Agraria