Lebbra dell’olivo, ciclo biologico e sintomi

lebbra dell'olivo

L’antracnosi è una delle malattie fungine più gravi e diffuse dell’olivo (Olea europaea L.), causata da complessi di specie appartenenti al genere Colletotrichum. Chiamata localmente «lebbra» in Italia, la malattia è diffusa in tutto il mondo e determina gravi perdite di produzione, sia qualitative sia quantitative.

Le diverse specie di Colletotrichum utilizzano diverse strategie di colonizzazione dell’ospite, che vanno dalle infezioni dei frutti in fase di maturazione, con sviluppo rapido della sintomatologia, alle infezioni latenti. Recenti acquisizioni sul ciclo della malattia, infatti, hanno dimostrato che le infezioni primarie sui frutti e sulla vegetazione si verificano in primavera, durante la fioritura e l’allegagione.

L’agente patogeno rimane per tutta l’estate nei frutti in fase latente (infezioni asintomatiche), per poi riprendere lo sviluppo nell’autunno seguente, a partire dall’invaiatura.

I sintomi sulle drupe si manifestano solitamente a partire dall’invaiatura, come tacche tondeggianti, depresse, bruno-scuro, di consistenza cuoiosa, che si espandono fino a occupare l’intero frutto. In condizioni di elevata umidità, sulla drupa si sviluppano numerose pustole rossastre che rappresentano le fruttificazioni conidiche del patogeno contenute nei caratteristici corpi fruttiferi (acervuli). Sulle drupe ancora verdi le infezioni sono meno frequenti e si manifestano come aree bruno-marrone, a volte leggermente infossate.

Tipiche tacche necrotiche ricoperte di acervuli, con abbondante sporificazione rossastra su drupe acerbe delle cv Kalamata (a sinistra) e Arbequina (a destra)

I conidi sono dispersi dalla pioggia e causano nuove infezioni sui frutti in via di maturazione, con conseguenti cicli di infezione secondaria, tanto più rapidi e devastanti quanto più favorevoli allo sviluppo della malattia sono le condizioni ambientali (piogge, elevata umidità e temperature miti). Le infezioni secondarie in fase di invaiatura-maturazione sono difficili da controllare, a causa della rapida colonizzazione della polpa da parte del fungo. In tale fase le drupe infette possono cadere al suolo precocemente, oppure possono rimanere attaccate ai rami fino alla completa mummificazione. Le «mummie» costituiscono fonte di inoculo per l’anno successivo. Dal peduncolo della drupa, inoltre, il fungo passa al rametto, quindi alle foglie e, l’anno successivo, ai fiori e alle drupe appena allegate, dove però l’infezione rimane latente fino all’invaiatura.

I sintomi si manifestano anche sui rametti e sulle foglie, con clorosi che evolve in necrosi, grave defogliazione, disseccamento dei rametti fruttiferi, deperimento e riduzione del vigore dell’albero. Le foglie possono essere infettate dai conidi attraverso la cuticola o indirettamente dal micelio vegetante nei rami, attraverso il picciolo.

Durante la primavera la pioggia funge da principale veicolo di dispersione dei conidi presenti sulle drupe mummificate e su organi vegetativi infetti (rami fruttiferi dell’anno precedente), trasportandoli sui fiori e/o frutti in via di sviluppo, dando nuovamente origine alle infezioni latenti.

Inoltre, la malattia può anche sviluppare rapidamente sulle drupe già raccolte, durante lo stoccaggio in frantoio, prima dell’avvio del processo di estrazione dell’olio. La presenza di frutti marci influenza fortemente la qualità dell’olio, aumentandone l’acidità libera e il numero di perossidi, alterandone profondamente il colore (dal giallo-verde al rosso-marrone) e le caratteristiche organolettiche.

Gravi manifestazioni epidemiche di lebbra sono state registrate in Puglia e in altre regioni italiane nel corso delle ultime campagne olivicole. In particolare, in Puglia la malattia interessa un areale che dalle originarie zone di diffusione della malattia, provincie di Brindisi e Lecce, si è esteso alla provincia di Taranto e alla parte meridionale di quella di Bari.

 

Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 24/2017
Lebbra dell’olivo, epidemiologia e strategie di difesa
di F. Nigro, I. Antelmi, V. Sion
L’articolo completo è disponibile anche su Rivista Digitale