Seminare bene o meglio non seminare

semente frumento

Oggi i prezzi dei cereali sono bassi ed è legittimo porsi la domanda: seminare o non seminare? Ma se si decide di seminare, occorre programmare la coltura nei minimi dettagli, effettuare tutte le scelte al top della tecnica colturale nell’ambito di una filiera di destinazione del prodotto finale.

In primo luogo, occorre scegliere la destinazione dell’offerta, che può essere la sottoscrizione di un contratto di filiera, l’adesione a una cooperativa o a una organizzazione dei produttori (op) o, come scelta residuale, lo stoccaggio in conto deposito. Dopo avere scelto il cliente del prodotto finale, si capisce la qualità richiesta e, di conseguenza, tutte le scelte devono portare all’ottenimento di quella qualità, che può essere alta o bassa, in base al cliente.

In secondo luogo, occorre un’attenta valutazione economica della situazione aziendale. Quanto mi costa la coltura? Quanto mi costa una tonnellata di prodotto? A quanto ammontano i miei costi fissi e variabili? Solo i conti economici permettono di avere gli elementi per fare le scelte.

L’importanza del seme certificato

Nell’ambito delle scelte tecnico-economiche, un’attenzione fondamentale deve essere rivolta alla semente. Una coltivazione eccellente, in quantità e qualità, richiede una semente di qualità. L’utilizzo di semente certificata va valutato attentamente da parte degli agricoltori poiché, se da un lato si sostengono dei costi per il suo acquisto, dall’altro lato si hanno indubbi vantaggi di natura agronomica ed economica.

Inutile spingere sulle concimazioni o sul diserbo, se il seme non è eccellente. È come spingere l’alimentazione di una vacca che non ha una base genetica per produrre più latte.

Conviene o non conviene l’utilizzo di semente certificata? Bisogna mettere a confronto il costo per l’acquisto della semente certificata e i diversi costi per l’autoproduzione aziendale della semente. Ad esempio, nel caso di una semente certificata di grano duro, un dosaggio di 220 kg/ha e un prezzo di 0,55 euro/kg genera un costo a ettaro di 125 euro per l’acquisto della semente. Altrimenti l’agricoltore sostiene un costo per l’utilizzo della semente autoprodotta in azienda che deve sommare: il valore della granella (21 euro/100 kg), il costo per la pulizia-selezione (circa 6 euro/100kg), le operazioni legate allo stoccaggio e manipolazione (circa 3 euro/100 kg), i costi della concia con fungicida (circa 8,8 euro/100 kg).

Sommando tutte le spese si ottiene un costo per l’utilizzo della semente aziendale di 39 euro/100 kg. Però, nel caso della semente aziendale bisogna considerare un aumento dei dosaggi a ettaro a causa della minor germinabilità dei semi, della minor purezza e degli scarti in fase di selezione. Si arriva così a un dosaggio intorno a 270 kg/ha, che corrisponde a un costo di 105 euro/ha (a fronte dei 125 della semente certificata).

Il risparmio di 20 euro/ha è surclassato dall’aumento della mole di lavoro per gli agricoltori, soprattutto nel caso in cui non si dispone di impianti di selezione e vagliatura, e soprattutto il differenziale di standard qualitativo della semente certificata: certezza della varietà utilizzata, tracciabilità, sanità, assenza delle fusariosi o di altri agenti del mal del piede, germinabilità, purezza, efficacia della concia, facilità d’uso e utilizzazione dei più recenti ritrovati della ricerca.

Inoltre, la semente certificata è un elemento chiave in tutti i contratti per la filiera del grano duro, poiché le imprese della trasformazione richiedono specifici standard qualitativi, che possono essere raggiunti solo con l’utilizzo di determinate varietà certificate. I consumatori sono sempre più esigenti e chiedono una pasta che non scuoce, con un colore intenso, ecc.

Gli agricoltori devono tenere in considerazioni queste esigenze e devono cercare di rispondere con prodotti all’altezza: l’utilizzo di varietà certificate è il punto di partenza. Se si decide di seminare, bisogna seminare bene, altrimenti meglio non seminare.

 

L’Opinione di A. Frascarelli pubblicata su L’Informatore Agrario n. 10/2019