Grano duro italiano: il seme non certificato supera il 50%

Anche quest’anno l’impiego di seme non certificato per le coltivazioni del frumento duro italiano rischia di essere superiore al 50%, con la conseguenza che la tracciabilità di una produzione come la pasta, alimento principe della nostra dieta e simbolo di italianità nel mondo, rischia di venire meno.
A lanciare l’allarme è Assosementi, l’associazione che rappresenta le aziende sementiere italiane, in occasione di From Seed to Pasta, il congresso internazionale dedicato alla filiera grano-pasta tenutosi a Bologna dal 19 al 21 settembre scorso.

«Per garantire ai consumatori la costante qualità della pasta, un’eccellenza del made in Italy − ha dichiarato Franco Brazzabeni, presidente della Sezione cereali di Assosementi − è fondamentale partire dal seme certificato, strumento indispensabile per valorizzare produzioni ad alto valore aggiunto, garantire la salubrità del prodotto e prevenire il rischio dello sviluppo di micotossine. Tracciare la filiera senza partire dal seme significa mettere in piedi un sistema incompleto, perché privo dell’elemento iniziale, quello che dà origine al prodotto alimentare e da cui trae molte delle sue caratteristiche».
«Tra alcuni agricoltori − ha aggiunto Brazzabeni − si sta purtroppo diffondendo la falsa convinzione che l’impiego di seme non certificato permetta un risparmio significativo nei costi di produzione. In realtà, il costo della certificazione del seme non incide per più di un 2% sulle spese di produzione sostenute dall’agricoltore per ogni ettaro, un esborso ampiamente compensato dai vantaggi produttivi e qualitativi garantiti».