Garantire la qualità delle sementi aumenta il reddito

Un protocollo dedicato ai cereali a paglia che garantisce la qualità del seme e, di conseguenza, pone le basi per la redditività del raccolto.
Questa, in sintesi, la mission del disciplinare «Seme di qualità» elaborato da Convase (Consorzio per la valorizzazione delle sementi) con il supporto di Confagricoltura, Cia-agricoltori italiani, Copagri, Alleanza cooperative agroalimentari e Assosementi.
Il progetto, presentato a Roma lo scorso 25 febbraio, ha ottenuto già un primo successo: quello di mettere allo stesso tavolo la parte agricola e quella dell’industria sementiera per collaborare a un grande e comune interesse.

Eugenio Tassinari

«L’attenzione che abbiamo ricevuto da parte delle organizzazioni sindacali dei produttori agricoli ha generato un dialogo tra due attività strettamente dipendenti l’una dall’altra: il sementiero utilizza infatti come materia prima i “prodotti agricoli” e li trasforma per riconsegnarli all’agricoltore come “mezzo tecnico” con un sistema di filiera che ha anticipato di decenni i contratti di coltivazione dei prodotti agricoli, oggi ritenuti fondamentali per garantire il reddito agli agricoltori».
A sottolinearlo è Eugenio Tassinari, presidente di Convase, al quale abbiamo posto alcune domande.

Tassinari, da cosa è nata l’esigenza di un protocollo dedicato alle sementi?
Il seme è la base di partenza per il reddito della coltura e questo accordo affronterà tutte le tematiche relative alla produzione sementiera, dal mercato alla condivisione di indirizzi di ricerca, alla certificazione passando per la produzione di sementi per l’esportazione. Non dobbiamo infatti dimenticare il ruolo delle coltivazioni finalizzate all’export, che hanno una importantissima ricaduta sui bilanci delle aziende agricole nazionali.

Secondo la legge, la vendita, l’acquisto e lo scambio di seme non certificato è illegale. Ritiene che il disciplinare rappresenterà uno strumento utile per la lotta al cosiddetto «reimpiego aziendale» del seme?
Il commercio e la produzione delle sementi sono regolati da una apposita legge che ne vieta la commercializzazione se non «certificate» e questo obbligo è presente in tutti i Paesi dove è sviluppata un’agricoltura moderna e avanzata. La certificazione del seme non è un sistema per creare artificialmente reddito ai «soliti noti», ma è una pratica indispensabile per una agricoltura sostenibile. La nostra iniziativa non è mirata a combattere il seme autoriprodotto in azienda, pratica riconosciuta legittima se «veramente autoriprodotto», ma a far comprendere all’agricoltore che solo con un seme di qualità si hanno maggiori certezze di reddito.
Il ricorso al seme certificato o, meglio, al seme di qualità, può aumentare solo se i risultati in campo lo premiano e anche per questo obiettivo la collaborazione e il sostegno delle organizzazioni sindacali saranno fondamentali.

Il nuovo disciplinare è un vero e proprio protocollo di certificazione realizzato da enti terzi accreditati, quali saranno i vantaggi per l’agricoltore?
Il disciplinare è la normativa scritta, la legge, all’interno della quale le società aderenti alla sezione dovranno organizzare e gestire la loro attività. Per definire queste regole ci sono voluti alcuni anni, abbiamo dovuto creare un percorso comune di gestione dell’attività tra le aziende sementiere per renderlo accreditabile dall’ente terzo.
Quindi la garanzia offerta agli agricoltori è che la produzione del seme avviene con un processo controllato da terzi che garantisce qualità, tracciabilità e, soprattutto, informa l’utilizzatore sull’effettiva germinabilità alla densità di semina adeguata.
Quest’ultimo è un fattore molto importante per evitare inutili, e a volte dannosi, sovrainvestimenti.

La tracciabilità è un caposaldo del protocollo, uno strumento che sarà sicuramente utile a tutti gli attori della filiera cerealicola, dal produttore all’industria. Cosa può dirci di più?
L’azione di controllo della tracciabilità da parte dell’ente terzo è il vero valore della garanzia dello strumento che abbiamo attivato. Noi ci auguriamo, perché lo riteniamo di interesse dei produttori agricoli, che per tutte le produzioni agricole italiane si attivi un sistema di tracciabilità che oggi, se non per un numero limitato di casi, non esiste. Questo a garanzia del consumatore ma anche e soprattutto dell’agricoltore, che solo così può realmente vedersi riconosciuto il valore di «italianità» della sua produzione.

 

Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 10/2020
Garantire la qualità delle sementi aumenta il reddito
Di L. Andreotti
L’articolo completo è disponibile per gli abbonati anche su Rivista Digitale