POLITICA |
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Diamo un valore alla qualità del grano |
Il contratto di filiera Grand’Italia.
Obiettivo del contratto è la fornitura all’industria pastaria di grano duro
italiano di qualità a un prezzo che remuneri gli sforzi dei produttori.
Non sempre ce ne rendiamo conto ma siamo testimoni in questi anni di una
rivoluzione silenziosa dell’agricoltura italiana. Le profonde modifiche del
mercato e le radicali evoluzioni delle politiche comunitarie stanno
ridisegnando completamente il settore agricolo all’interno dell’Ue.
Vi sono comparti, poi, dove queste modifiche stanno avvenendo in maniera
ancor più repentina. Tra questi vi è sicuramente quello del grano duro,
coltura strategica di estrema importanza per l’agroalimentare italiano nel
suo complesso.
È noto da tempo come l’industria pastaria italiana, leader a livello
mondiale, dipenda in gran parte dalle importazioni dall’estero e numerosi in
questi anni sono stati i tentativi per ridare slancio al grano duro italiano
e renderlo maggiormente «appetibile» ai pastifici nostrani. Purtroppo con
risultati finora non certo esaltanti.
Per uscire dalla purtroppo sterile e poco fruttuosa polemica tra l’industria
(che chiede ai produttori la fornitura di materia prima di maggiore qualità,
partite più uniformi, centri di stoccaggio più adeguati) e i produttori di
grano duro italiano (che chiedono prezzi che riconoscano lo sforzo
qualitativo in maniera adeguata) a Foggia, il 1° giugno scorso, è stato
presentato ufficialmente un progetto di filiera innovativo, e per certi
aspetti rivoluzionario, per la produzione, trasformazione,
commercializzazione del grano duro italiano di alta qualità.
Capofila del progetto è la società Grand’Italia, creata dalla volontà comune
di due importanti realtà nazionali come la Coseme e la Molino Casillo
Francesco.
«Obiettivo del progetto – ha spiegato Armando Martino, presidente di Grand’Italia
e di Assocer Foggia, nell’ambito di una interessante tavola rotonda alla
quale ha partecipato praticamente oltre il 60% della realtà pastaria del
nostro Paese – è di creare le condizioni per la concreta soddisfazione
economica di tutti gli operatori della filiera. Il mezzo per raggiungre tale
obiettivo è quello di un maggiore coinvolgimento, abbattendo le tradizionali
diffidenze che caratterizzano il settore e sostituendole con rapporti di
partnership».
Si guarda avanti
Con
questo tipo di progetto, quindi, si vuole superare il classico modello di
accordi interprofessionali «che – ha sottolineato Martino – non hanno mai
portato a nulla di concreto perché di fatto non danno certezze né ai
produttori, né ai trasformatori e tanto meno determinano precise regole di
mercato».
«Siamo convinti – ha evidenziato Francesco Casillo – che per superare il
problema delle importazioni di grano duro dall’estero si debba migliorare
decisamente la qualità del prodotto italiano attraverso il riconoscimento
economico di questo sforzo da parte dei produttori. Sarebbe un deciso
vantaggio per l’industria pastaria italiana poter ricorrere maggiormente al
grano duro nazionale, perché con il prodotto importato siamo costretti a
pagare prezzi talvolta superiori anche fino al 35% rispetto al duro
italiano».
«È importante, però – ha con veemenza sottolineato Mario Rummo, presidente
dell’Unipi (l’Unione dei pastai italiani) – uscire velocemente dalla
demagogia che tutta la pasta italiana può essere realizzata con grano duro
italiano. Può essere decisamente aumentata questa quota, e ne beneficerebbe
sicuramente anche l’immagine della nostra pasta made in Italy, ma sarebbe
poco utile continuare a insistere sulla questione del 100% grano duro
italiano».
In concreto, il progetto prevede un contratto di coltivazione con il quale
tutti gli agricoltori coinvolti, che avranno rapporti con gli operatori
convenzionati, dovranno impegnarsi a consegnare allo stesso conferitore
affinché questo sottoscriva un contratto di coltivazione con Grand’Italia, e
quest’ultima, con il Molino acquirente, che preveda sia l’individuazione
dell’origine del seme, unicamente tra le varietà indicate nel disciplinare
di produzione, sia la consegna presso un centro di stoccaggio autorizzato e,
infine, l’immissione del prodotto sul mercato gradualmente nel tempo, con
fissazione del prezzo in base al contenuto proteico, rilevato oggettivamente
da società specializzate.
«La differenza – ha sottolineato Martino – fra gli accordi e il contratto è
evidente: i primi non garantiscono la disponibilità del prodotto da parte di
chi li sottoscrive mentre il secondo si basa proprio sulla certezza che da
tale rapporto emerge: quella di produrre effettivamente ciò che si contratta
mesi prima, immettendolo sul mercato gradatamente e assicurando alla parte
agricola e all’operatore convenzionato un premio che li ripaga concretamente
degli sforzi compiuti per produrre la qualità e tenerla separata dal resto
delle masse».
Già da quest’anno, con questo contratto, Grand’Italia pensa di ottenere
circa 450.000 q di grano duro da macina e 150.000 q da seme, con cui coprire
60.000 ha la prossima annata.
Altro elemento importante inserito nel progetto è il ruolo delle Borse
merci. «Un processo di filiera – ha spiegato Martino a questo riguardo – non
può prescindere da parametri oggettivi. Essi sono rappresentati e forniti
dalle Borse merci. L’auspicio sarebbe quello di avere un omogeneo principio
e criterio nella fissazione dei prezzi, da Nord a Sud. Medesimi parametri
per tutte le Borse, atti a identificare univocamente le quotazioni, tenendo
conto della logistica e della differenziazione delle stesse in base
all’origine dello scambio, derivi esso dal produttore o dall’operatore
commerciale».
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