POLITICA INTERNAZIONALE |
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Il futuro energetico visto dai petrolieri |
Intervista a Red Cavaney, presidente dell’American petroleum institute
Washington.
Ci avevano informato che Red Cavaney non rilascia interviste. Inutile
tentare, quindi. Tuttavia, armati di fiducia, ci abbiamo provato ugualmente
e, grazie anche alla fama di serietà de L’Informatore Agrario, abbiamo
ottenuto un sì.
Red Cavaney, 64 anni, da dieci è presidente e chief executive officer
dell’American petroleum institute. Una posizione di enorme importanza nella
più grossa organizzazione mondiale riguardante il petrolio.
Il petrolio fa «girare» il mondo: fa muovere ogni giorno centinaia di
milioni di automobili e di macchinari agricoli; tiene in vita molti Stati
dell’Unione, come per esempio quello di New York, che ogni anno incassa due
miliardi di dollari di tasse tra benzina e diesel; riscalda le case; rende
potenti politicamente alcune Nazioni che senza l’oro nero non avrebbero
molto da dire.
L’American petroleum institute rappresenta 400 corporazioni collegate in
tutti gli aspetti dell’industria stessa. Abbiamo rivolto a Red Cavaney una
domanda che è nella mente di molta gente.
Mister Cavaney, quanto durerà il petrolio nel nostro globo?
Nessuno può dirlo con certezza. Comunque nel novembre dell’anno scorso la
Cambridge energy research associates affermò che le riserve di petrolio nel
globo sono di 3,74 trilioni di barili. La cifra di 1,2 trilioni di barili
stimata da altre fonti non è corretta perché non tiene conto delle
cosiddette riserve «non convenzionali» come la «cintura del catrame» dell’Orinoco.
Che cosa succederà quando tutte le riserve saranno esaurite?
Molti esperti credono che la produzione di petrolio raggiungerà il suo
termine tra molti decenni ma non sarà una fine repentina. Nel futuro il
progresso ridurrà di molto la domanda per il petrolio. Le riserve correnti
di olio e gas saranno disponibili per le prossime generazioni.
Ritiene inutili, allora, le preoccupazioni che circondano questo
importante campo?
È sempre prudente progettare per il futuro, specialmente se si tratta di un
campo importante come quello delle scorte di energia. Oggi i consumatori non
dovrebbero preoccuparsi delle scorte di oil. La nostra industria guarda
molto in avanti per essere certa che i nostri nipoti avranno l’energia
necessaria.
Lei sa che alcuni Paesi con larghe riserve di petrolio usano il prezioso
prodotto come arma politica. Esistono metodi per riuscire ad allentare la
presa?
Il miglior modo per un Paese di ridurre la vulnerabilità nel campo
dell’energia è questo: usare la tecnologia moderna per localizzare ed
estrarre petrolio e gas; sviluppare fonti di energia alternativa appropriate
alla geografia, al clima e alle risorse naturali del Paese e, in ultimo,
mettere in atto un programma di risparmio energetico.
Mr. Cavaney, può l’agricoltura giocare un ruolo importante per aiutare,
con i suoi prodotti, a usare meno benzina?
Sì, indubbiamente. L’etanolo è il carburante made in Usa, così come la canna
da zucchero in Brasile. Le ricerche odierne si avvicinano alla
trasformazione in etanolo di fibre cellulosiche da fonti come switch grass,
rifiuti agricoli e perfino trucioli di legno. Ora le tecnologie dovranno
studiare il metodo per abbassare i costi di produzione.
L’American petroleum institute è interessata a questo campo?
Le nostre compagnie sono in testa per quanto riguarda l’uso di etanolo. Da
oltre dieci anni stiamo miscelando etanolo con benzina. La nostra industria
appoggiò nel 2005 la richiesta da parte del Governo di miscelare più etanolo
con la benzina. L’anno scorso ci fu richiesto di usare 4 miliardi di
galloni, in realtà ne usammo 5,4 miliardi.
Il deputato Collin Peterson, presidente della Commissione senatoriale per
l’agricoltura, ci ha detto che l’intera produzione di mais degli Stati Uniti
convertita in etanolo rimpiazzerebbe soltanto il 15% del consumo di
petrolio.
Non sono d’accordo con Peterson. L’Università del Minnesota College of
biological sciences parla del 12%. L’etanolo cellulosico aiuterà
indubbiamente, ma gli analisti ammettono che potrà diventare un’alternativa
«visibile» dopo il 2012. Bisogna ricordare che l’etanolo ricavato dal mais
richiede molta energia, mentre frutta poco contenuto di energia per gallone.
Mr. Cavaney, gli Stati Uniti hanno risorse naturali e finanziarie per
combattere questa crisi. Ma che cosa accadrà ai Paesi più piccoli che non
hanno, per esempio, immensi campi per coltivare mais?Allora è l’energia
atomica l’unica via per sopravvivere?
Come lei sa, la mia organizzazione rappresenta compagnie che operano negli
Stati Uniti, di conseguenza sono riluttante a commentare le eventuali
opzioni per altre Nazioni. In Usa l’energia atomica provvede al 20% della
nostra elettricità; per quelle Nazioni che decidono di usarla può certamente
essere una valida fonte di energia.
Lei penserà che questa non sia una domanda da porre al capo dell’
industria del petrolio, ma le chiedo lo stesso: che cosa succederà a tutte
le compagnie che oggi vivono di petrolio allorché l’oro nero non sarà più
con noi?
La nostra industria è stata leader negli investimenti nelle tecnologie per
l’energia. Abbiamo reinvestito 98 miliardi di dollari in questo campo.
Stando a un rapporto dell’Institute for energy research nell’Università del
Texas, gli investimenti nel campo delle tecnologie rappresentano il 75% dei
135 miliardi di dollari spesi da tutte le compagnie statunitensi dal 2001 al
2005. Le nostre compagnie continueranno a diversificare per assicurare una
continua e non costosa energia alla società per molti anni a venire.
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